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Vizi dell'opera edilizia: quando direttore dei lavori e progettista hanno comunque diritto al compenso

Cassazione: è legittimo il pagamento del residuo compenso corrispondentemente maturato al progettista, con l'esclusione del corrispettivo richiesto "per attività che risultano pretermesse o comunque rese violando gravemente l'obbligazione di diligenza", quali risultano accertate in via definitiva dal tribunale, che non portano alcuna utilità per i committenti.

In caso di vizi dell'opera edilizia, il progettista e il direttore dei lavori hanno comunque diritto al compenso pattuito oppure scattano decurtazioni e/o risarcimenti? Chi decide se i difetti sono gravi o no?

Ci sono questi, interessanti 'interrogativi' al centro dell'ordinanza civile n.28614/2022 dello scorso 3 ottobre, nata dal ricorso di due privati contro un'impresa di costruzioni e un professionista tecnico, nella rispettiva qualità di impresa incaricata della demolizione e della ricostruzione di un immobile di loro proprietà e di progettista e direttore dei lavori.

I ricorrenti chiedono la condanna degli stessi al risarcimento dei danni conseguenti ai vizi e ai difetti delle opere eseguite.

Vizi dell'opera edilizia: chi paga? La decisione del Tribunale

Il tribunale ordinario, in primo grado, ha condannato la società e il progettista, in solido, al pagamento, in favore degli attori, della somma di 53.951,37 euro + IVA, pari ai costi direttamente sostenuti dagli stessi per emendare i vizi accertati, egualmente imputabili all'impresa costruttrice e al direttore dei lavori, ed ha condannato gli attori al pagamento in favore del progettista della somma di 81.028,27 euro + interessi di mora, non avendo i committenti tempestivamente e specificamente contestato né il regolare svolgimento della prestazione né la quantificazione del corrispettivo.

Dopo una parziale 'riassegnazione' degli importi in secondo grado, si è quindi arrivati in Cassazione.

Il compenso del progettista

I ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che l'architetto/progettista avesse il diritto di ricevere il compenso per la direzione dei lavori con la riduzione dei due terzi rispetto a quello esposto in parcella.

Tradotto: la Corte d'appello non poteva attribuire all'architetto alcun compenso per la direzione dei lavori dal momento che le prestazioni dedotte in causa dagli attori come ad essa afferenti, erano state tutte ritenute dal tribunale, con decisione passata in giudicato, non correttamente adempiute, senza, peraltro, che il convenuto avesse dedotto e provato, pur avendone l'onere, di aver effettuato, a tale titolo, prestazioni diverse da quelle denunciate dagli attori e di qualche utilità per i committenti.

Inoltre, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che l'architetto avesse il diritto di ricevere il compenso per la redazione del progetto esecutivo senza, tuttavia, considerare che gli attori sin dall'atto introduttivo del giudizio avevano eccepito la mancata redazione dei progetto esecutivo da parte dello stesso e che il convenuto non aveva minimamente contestato tale deduzione.

In ultimo, si contesta che l'architetto avesse il diritto al compenso relativo alla redazione dei progetti, compresi quelli esecutivi, senza, tuttavia, considerare che lo stesso aveva l'onere di provarne l'effettiva redazione e che, ad onta di quanto ritenuto sul punto dalla corte d'appello, tale onere, come si evince dalla documentazione prodotta in giudizio,
non è stato adempiuto, dal momento che gli elaborati progettuali redatti dal professionista erano idonei unicamente
all'ottenimento dei titoli abilitativi e non certamente progetti esecutivi in quanto privi dei requisiti richiesti dagli artt. 35 e 36 del d.P.R. n. 207/2010.

Inoltre, hanno aggiunto i ricorrenti, la corte ha riconosciuto all'architetto il compenso esposto in parcella per i progetti esecutivi senza considerare che tale compenso è stato quantificato secondo la tariffa prevista dalla legge 143/1949 che, però, è stata abrogata, con la conseguente necessità di applicare gli artt. 33-39 del DM 140 del 2012.

Le prestazioni d'opera professionale vanno pagate

La Cassazione respinge tutti i motivi di ricorso, partendo dal presupposto che qui si contestano le deduzioni/argomentazioni raccolte dalla Corte d'Appello la quale, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto, indicando le ragioni di tale convincimento in modo nient'affatto apparente, perplesso o contraddittorio, che l'architetto aveva "utilmente ed effettivamente" reso, nell'interesse degli attori, prestazioni d'opera professionale sia quale progettista, che come direttore dei lavori.

Detto diversamente: i ricorrenti, pur lamentando la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, hanno, in sostanza, censurato la ricognizione asseritamente erronea dei fatti materiali che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle asserite emergenze delle stesse, hanno ritenuto che l'architetto avesse eseguito prestazioni d'opera professionale, quale progettista e direttore dei lavori, nell'interesse dei committenti, non viziate dai difetti (definitivamente) riscontrati sulle opere realizzate.

La Cassazione, quindi, precisa che il proprio compito non è quello di condividere non convidivere la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d'Appello, ma solo controllare, a norma degli artt. 132 n. 4 e 360 n. 4 c.p.c., se costoro abbiano
dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria
e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com'è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile.

In definitiva: non si presta a censure in diritto la decisione che la corte d'appello ha di conseguenza assunto, e cioè l'accoglimento, sia pur in parte, della domanda proposta dal professionista, in quanto volta, appunto, al pagamento del (residuo) compenso corrispondentemente maturato, e cioè con l'esclusione del corrispettivo richiesto "per attività che risultano pretermesse o comunque rese violando gravemente l'obbligazione di diligenza", quali risultano accertate in via definitiva dal tribunale, "sì da non tradursi in alcuna utilità per i committenti".


LA SENTENZA 28614/2022 DELLA CASSAZIONE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE

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