Vasche termali con camminamenti, piscine e pedane in legno: non basta la CILA, serve il permesso di costruire
Consiglio di Stato: una serie di opere coi connotati tipici per la modificazione del territorio vanno valutate nel complesso e necessitano del permesso di costruire
CILA o permesso di costruire? Il dilemma capita spesso, soprattutto quando 'siamo al limite' tra la manutenzione straordinaria e l'opera edilizia vera e propria, anche se in questo caso di dubbi non ce ne sono poi tanti.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza 4789/2022 del 13 giugno, conferma gli orientamenti del TAR, che aveva dato ragione al comune sull'ingiunzione di demolizione per alcune opere edilizie realizzate in un centro benessere (centro termale).
Le opere edilizie contestate
Nel 2015 i comproprietari inviavano al Comune una CILA per alcuni interventi atti a sistemare l’area esterna e la pavimentazione in legno; a questa succedevano altre CILA:
- a) una nel 2016, sempre per sistemare l’area esterna, con una pedana in legno con arredo giardino con vegetazione;
- b) tre nel 2017:
- una prima per la sistemazione esterna, pulizia, sfalcio, taglio erba, chiusura buche, smorganatura;
- una seconda per opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni (anche per aree di sosta), la realizzazione di intercapedini interamente interrate, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;
- una terza per regolarizzare otto diversi manufatti in legno su pedane in legno.
Il Comune ha ingiunto la demolizione di alcune di tali opere, ritenute prive di corrispondenti titoli edilizi abilitativi.
Oggetto del contendere, quindi, è la legittimità dell’ordine di demolizione limitatamente a 5 manufatti:
- un parcheggio per autoveicoli e camper, con un campo da bocce a fianco;
- una vasca/piscina di forma circolare, con una pedana in legno;
- un camminamento in legno con gradini che porta ad una struttura in legno con all’interno distributori di snack e bevande composta da un portico, da una parte chiusa contenente i distributori e struttura in legno chiusa e coperta;
- una pedana in legno di forma irregolare con sovrastanti 2 pergolati in legno;
- una ulteriore pedana in legno con sovrastante struttura in legno senza copertura e adibita a spogliatoi.
Secondo i ricorrenti, il TAR ha sbagliato a ritenere che le sopracitate 'opere', oggetto dell’ordinanza di demolizione, avrebbero avuto bisogno di un permesso di costruire, in quanto non erano idonei a generare una qualsiasi trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ai sensi dell’art. 10 del DPR 380/2001.
Per questo, non sarebbe servito un previo permesso di costruire.
Peraltro, aggiungono i ricorrenti, il TAR doveva accertare che le opere, avendo avuto l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167, co. 4, del d.lgs. 42/2004, potevano solamente essere qualificate come interventi improduttivi di nuovi o maggiori superfici utili o volumi, e quindi sottratti al regime del permesso di costruire.
Opere da demolire: ecco perché
Palazzo Spada 'non sente ragioni': l'ordinanza di demolizione si prospetta immune da vizi, essendo corretta sia la rilevazione dei manufatti senza titolo sia l’inquadramento urbanistico dell’area.
L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria non esclude comunque la necessità del rilascio del permesso di costruire, essendo procedimenti distinti ed autonomi (art. 146, co. 4, del d.lgs. 42/2004), diverse sono le funzioni amministrative degli enti che rilasciano i provvedimenti (l’autorizzazione paesaggistica è finalizzata alla salvaguardia del paesaggio, il permesso edilizio è funzionale alla corretta gestione del territorio).
Questo è stato confermato tra l’altro espressamente nell’autorizzazione della Regione Lazio, che
- i) era limitata ai soli fini paesaggistici;
- ii) lasciava al Comune l’accertamento, nella propria competenza, dell’ammissibilità o meno del progetto in ordine alle vigenti norme urbanistiche ed edilizie e a vincoli di altra natura, nonché alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e sovra comunali.
In ogni modo, il Collegio, di fronte all’evidenza delle opere contestate, non condivide l’assunto che siano di modeste dimensioni o di complementarità, rilevandosi invece chiaramente di aumento di superfici e volumetrie, idonee ad esprimere trasformazioni urbanistico-edilizie.
Passando ad esaminare ogni singolo motivo di ricorso, si evidenzia che:
- la serie di interventi realizzati (un parcheggio ben delimitato da strutture in legno, con segnaletica stradale, una sbarra metallica di limitazione dell’accesso; un manto erboso sostituito dallo sterrato; un cartellone indicante il regolamento del campeggio camper; l'indicazione della collocazione dei posti di parcheggio; il campo da bocce delimitato da una struttura in legno, con fioraie lungo il perimetro e una panchina; il manto erboso sostituito dalla tipica terra rossa) non possono far discendere l’utilizzazione spontanea dell’utenza, ma sono usuali e tipici, concepiti per tali funzioni;
- per quanto riguarda la tesi che le opere contestate possano essere configurate come manufatti dell’edilizia libera, la serie di interventi di cui sopra presenta connotati tipici a provare invece la modificazione del territorio, dovendola valutare nel suo complesso, e non in maniera atomistica, aderendo anche questo Collegio all’orientamento consolidato della Sezione (Cons. Stato, sez. VI, n. 3620/2016) sulla realizzazione di parcheggi e strutture simili;
- in merito alle difese riguardanti le opere alla piscina (non inserite nella CILA e non contenute nella autorizzazione paesaggistica), dal verbale del sopralluogo del 2020 emerge che “Si è riscontrato, inoltre, che sono in corso lavori di sostituzione di una vasca preesistente con una nuova di forma circolare, avente un diametro di circa ml. 10,00. La nuova vasca è costituita da strutture in muratura aventi uno spessore di circa 25 cm. e un’altezza di circa 1,10 ml., al suo interno sono presenti impianti e bocchette presumibilmente per idromassaggio. Per la realizzazione della vasca è stato effettuato uno sbancamento del terreno avente una profondità di circa ml. 0,90” (doc. n. 12 di primo grado). Si deve quindi sia escludere la mera manutenzione dell’opera sia l’intervento di natura solo complementare, mentre si profila un intervento di rinnovo con dimensioni ed elementi nuovi;
- le opere di camminamento e le connesse strutture in legno per distributori di snack e bevande e gli strumenti di alimentazione elettrica, di notevoli dimensioni e volumi, non presentano aspetti di “mera pavimentazione” e “sistemazione”, ma piuttosto sono nuove costruzioni, dove l’uso permanente risulta evidente. Il rispettivo accertamento del TAR risulta corretto e logico, immune da irrazionalità;
- la pedana con due pergolati non è neppure automaticamente sanata con l’autorizzazione paesaggistica, come accertato prima, e non emerge neanche qui la precarietà dell’opera. Risulta invece corretta la giurisprudenza richiamata dal TAR, in quanto chiariva aspetti della pertinenza urbanistica che si può accertare solo per opere di modesta entità ed accessorie rispetto a una struttura edilizia principale; la precarietà non si può provare né con materiali usati per la realizzazione (Cons. Stato, sez. II, n. 6653/2020; id., n. 1951/2020), né per la breve durata del titolo concessorio (che il Collegio nel caso di specie rileva invece ampio, essendo il periodo 2012-2027). La giurisprudenza consente in tali casi solo “esigenze temporanee”, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 260/2020);
- gli appellanti non riescono a provare altro neanche per la pedana con sovrastante struttura in legno ed adibita a spogliatoi, costituenti opere destinate ad avere una durata di oltre 14 anni, e pertanto non idonee ad integrare elementi di precarietà, sia dal punto di vista funzionale che di quello temporale.
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