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Valutazione dell’efficacia degli interventi strutturali di mitigazione del rischio da frana

Il presente lavoro intende fornire un contributo sul tema della valutazione dell’efficacia degli interventi strutturali di mitigazione del rischio da frana seguendo un percorso che, valorizzando la pratica corrente italiana e tenendo conto del quadro normativo vigente, si spinge verso la proposta di un cambio di paradigma basato sull’adozione di analisi quantitative del rischio da frana.

Tra le fasi singolarmente più importanti della progettazione degli interventi di mitigazione del rischio da frana vi è quella riguardante la valutazione della loro efficacia, ovvero della loro reale capacità di salvaguardare persone e cose rispetto al verificarsi di frane di assegnata magnitudo e/o intensità.

Tale efficacia dovrà poi essere garantita durante tutta la vita nominale di progetto degli stessi interventi (efficienza) mediante adeguate attività di manutenzione.

Il presente lavoro intende fornire un contributo sul tema seguendo un percorso che, valorizzando la pratica corrente italiana e tenendo conto del quadro normativo vigente, indichi nuove strade da percorrere per coniugare al meglio la citata efficacia con i costi di realizzazione e di manutenzione degli interventi (ottimizzazione).

Il percorso a cui si fa cenno segue, di fatto, la logica sottesa al processo di gestione del rischio da frana che prevede tre fasi (Fell et al., 2005, 2008):

  • analisi,
  • valutazione
  • e mitigazione del rischio (Fig. 1).

  

Figura 1 - Il processo di gestione del rischio da frana (modificata da Fell et al., 2005).
Figura 1 - Il processo di gestione del rischio da frana (modificata da Fell et al., 2005).

  

In particolare, l’analisi del rischio si sostanzia di attività finalizzate, innanzitutto, alla stima della pericolosità associata alla frana o alle frane (di assegnata tipologia e magnitudo) ricadente/i nell’area oggetto di studio e, successivamente, a quella concernente le conseguenze attese a una o più categorie di elementi esposti al rischio.

Tali attività possono essere svolte, in dipendenza dell’estensione dell’area da investigare e degli obiettivi da perseguire, a differenti scale topografiche di riferimento e utilizzando metodi appropriati (euristici, empirici o statistici, deterministici o probabilistici, muovendosi dalle scale più piccole a quelle più grandi).

Dalla combinazione di pericolosità e conseguenze discende il rischio, in accordo con la formula proposta da Varnes and the International Association of Engineering Geology Commission on Landslides and other Mass Movements on Slopes (1984):

  

R = P · E · V = P · C                         (1)

essendo

  • R il rischio,
  • P la pericolosità (intesa come probabilità di accadimento di un fenomeno franoso di assegnata intensità in una data area e in un dato intervallo di tempo),
  • E l’esposizione degli elementi a rischio (nel caso delle persone) o il valore ad essi associato (per le rimanenti categorie),
  • e V la loro vulnerabilità (intesa come grado di perdita atteso di uno o di un insieme di elementi esposti al rischio per effetto del verificarsi di un fenomeno franoso di assegnata intensità);
  • le conseguenze (C) corrispondono al prodotto di E per V.

I risultati ottenuti possono essere differenziati sulla base di scale nominali (come succede nel caso delle analisi qualitative) o quantificati con un numero (è questo il caso delle analisi quantitative).

L’analisi qualitativa del rischio è stata privilegiata in Italia nell’ambito delle attività svolte dalle ex Autorità di Bacino (istituite con la L. 183/89) o dalle Regioni per come stabilito dalla L. 365/2000 ai fini della redazione dei Piani stralcio di Assetto Idrogeologico – Rischio da frana (PsAI-Rf).

I metodi implementati, prevalentemente di tipo euristico, hanno richiesto l’impiego di matrici da applicare a più pendii (Cascini et al., 2005) e hanno condotto alla produzione – su tutto il territorio nazionale – della cartografia ufficiale di zonazione del rischio da frana a scala media (1:25.000) o grande (da 1:25.000 a 1:5.000) avente scopi prescrittivi.

In ottemperanza al D.P.C.M. del 29 settembre 1998, le aree a rischio da frana sono state zonate sulla base di quattro livelli così definiti:

  • molto elevato (R4): per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socioeconomiche;
  • elevato (R3): per il quale sono possibili problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità dei medesimi, la interruzione di funzionalità delle attività socioeconomiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale;
  • medio (R2): per il quale sono possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità delle persone, l’agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche;
  • moderato (R1): per il quale i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono marginali.

La preziosa cartografia prodotta rende oggi possibile il confronto dei rischi (relativi) stimati e conduce alla identificazione delle porzioni di territorio che richiedono azioni prioritarie, incluse la manutenzione dei versanti (con la rimozione di alberi caduti/abbattuti e/o di rifiuti solidi) e degli interventi di mitigazione del rischio (se presenti), la verifica dell’efficacia degli interventi di regimentazione delle acque superficiali e di smaltimento delle acque reflue (nelle zone pedemontane), la manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni esposti, lo svolgimento di attività di presidio territoriale e l’ulteriore approfondimento delle conoscenze. 

 

Interventi di mitigazione del rischio da frana e approcci per il loro dimensionamento

Una volta che il rischio è stato stimato, lo stesso deve essere valutato per accertarne o meno la accettabilità o tollerabilità (Fell et al., 2005).

A tal riguardo, è accettabile un rischio che, per ragioni di vita o di lavoro, la società è pronta ad accettare così per come esso è senza alcun riguardo alla sua gestione (generalmente la società considera come non giustificabili le spese necessarie all’ulteriore riduzione di tale rischio).

D’altra parte, è tollerabile l’intervallo di rischio con il quale la società è disposta a convivere in modo da garantire a sé stessa determinati benefici netti (tale intervallo appare come non trascurabile e necessita di essere aggiornato e ulteriormente ridotto, laddove possibile).

In presenza di una scala nominale di differenziazione dei livelli di rischio, qual è quella adottata in Italia, il rischio tollerabile corrisponde a quello accettabile ed entrambi coincidono con il rischio medio (R2); ovvero per il quale (o al di sotto del quale) non sono da attendersi conseguenze sulle persone esposte.

In altre parole, le aree zonate a rischio molto elevato (R4) e elevato (R3) sono quelle che richiedono prioritariamente la riduzione del rischio a un livello compatibile con la sua accettabilità/tollerabilità (≤ R2), con l’obiettivo primario di garantire la salvaguardia della vita umana (D.P.C.M. del 29 settembre 1998).

 

Interventi di mitigazione di tipo non strutturale o strutturale

A tal fine si può ricorrere a interventi di mitigazione di tipo non strutturale o strutturale (Fig. 2), comunque accompagnati da serie campagne di informazione – se non anche di condivisione secondo logiche proprie dei processi partecipati (Linnerooth-Bayer et al., 2016) – rivolte a tutti i portatori di interesse.

Rientrano negli interventi non strutturali quelli basati su sistemi di allerta per la riduzione dell’esposizione delle persone a rischio.

Sono, invece, annoverabili tra gli interventi strutturali quelli volti alla riduzione della pericolosità del generico fenomeno franoso ovvero della vulnerabilità degli elementi esposti al rischio (in particolare, di quelli appartenenti all’ambiente costruito).

Focalizzando l’attenzione sugli interventi volti alla riduzione della pericolosità, realizzati con materiali artificiali, questo obiettivo può essere perseguito mediante la riduzione della probabilità di accadimento di frane di primo distacco che possono propagarsi con una cinematica rapida (prevenzione) ovvero della probabilità che le stesse possano raggiungere gli elementi esposti al rischio, intercettandone il percorso (protezione).

Laddove le frane siano esistenti, la riduzione della pericolosità avviene attraverso la stabilizzazione delle masse spostate tipicamente caratterizzate da una cinematica lenta (prevenzione).

Una volta scelte le tipologie di intervento che appaiono più adeguate alla mitigazione del rischio, avendo acquisito gli elementi conoscitivi utili a una compiuta caratterizzazione dei fenomeni franosi da un punto di vista geologico e geotecnico, occorre procedere al loro dimensionamento.

Rimandando alle Linee Guida AGI-ISPRA (2022) per un approfondimento del tema, preme in questa sede rilevare come questo obiettivo possa essere perseguito adottando uno fra i seguenti tre approcci.

PER APPROFONDIRE LEGGI L'ARTICOLO
Progettazione degli interventi di mitigazione del rischio da frana: le Linee Guida AGI-ISPRA
Sintesi delle “Linee guida per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio da frana” in Italia redatte dall'Associazione Geotecnica Italiana (AGI) e dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Dalle classificazioni ai diversi approcci progettuali.

   

Figura 2 - Tipologie di interventi di mitigazione del rischio. All’interno dei riquadri blu si rinvengono quelle attenzionate nel presente lavoro, unitamente ai materiali costituenti.
Figura 2 - Tipologie di interventi di mitigazione del rischio. All’interno dei riquadri blu si rinvengono quelle attenzionate nel presente lavoro, unitamente ai materiali costituenti.

  

Il primo corrisponde all’approccio basato sul calcolo del fattore di sicurezza globale (in lingua anglosassone, Factor of Safety Approach – FSA).

In accordo con l’aggiornamento delle Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. del 17 gennaio 2018), tale approccio si applica agli interventi strutturali di prevenzione; prevede il calcolo del fattore di sicurezza definito dal rapporto tra la resistenza al taglio disponibile e quella mobilitata lungo la superficie di scorrimento.

Quest’ultima “dovrà avere geometria coerente con il modello geologico ed essere individuata nel modello geotecnico sulla base della tipologia del movimento franoso e del meccanismo che ne contraddistingue la fase di attivazione/riattivazione (nel caso di processi instabili in atto) o di innesco (nel caso di eventi potenziali)” (AGI-ISPRA, 2022).

Il secondo si rifà al concetto di evento di progetto (in lingua anglosassone, Design Event Approach – DEA). Si applica agli interventi strutturali sia di prevenzione sia di protezione; la finalità dell’intervento può essere quella di contenere i valori di progetto della magnitudo (in termini di volumi mobilitati/mobilitabili) e/o dell’intensità (ad esempio, in termini di velocità di spostamento del corpo di frana) entro un determinato valore limite.

Il terzo si associa all’analisi quantitativa del rischio (QRA) che “si basa su valori numerici della probabilità, della vulnerabilità e delle conseguenze, e conduce a un valore numerico del rischio” (Fell et al., 2005).

In particolare, quest’ultimo può essere rappresentativo del rischio annuale, che può esprimersi come danno monetario per anno (€/anno) o come probabilità annuale che una ben definita persona – ad esempio, quella maggiormente esposta al rischio – possa perdere la propria vita (rischio per l’individuo).

Nell’ipotesi che le tipologie di fenomeni che generano il rischio totale siano tra loro indipendenti, il rischio per l’individuo può essere calcolato mediante l’espressione (Corominas et al., 2014):

nella quale:

  • P(DI) è la probabilità annuale che la persona maggiormente esposta al rischio (dentro un’abitazione o in spazi aperti) possa perdere la propria vita;
  • P(L)i,j è la frequenza dell’evento franoso j avente magnitudo (ad esempio, volume) i;
  • P(T:L)i,j è la probabilità che l’evento franoso j avente magnitudo i raggiunga l’assegnata persona;
  • P(S:T) è la probabilità spazio temporale della persona maggiormente esposta al rischio;
  • V(D:T)i,j è la vulnerabilità della persona maggiormente esposta al rischio all’evento franoso j avente magnitudo i;

essendo n i valori di magnitudo considerati per ciascuno degli m eventi franosi presi a riferimento.

Nel caso di strutture/infrastrutture, l’espressione (2) va modificata introducendo al posto di V(D:T)i,j la vulnerabilità della assegnata proprietà nei confronti dell’evento franoso j di magnitudo i (V(prop:S)i,j) e considerandone il valore E (ad esempio, in euro). In generale, i termini che concorrono alla espressione (2) sono affetti da incertezze di natura epistemica e aleatoria.

I risultati del QRA possono essere proficuamente diagrammati anche in termini di curve F-N, come quelle che sul piano bi-logaritmico riportano la frequenza cumulata annuale di eventi in grado di determinare N o più vittime rispetto al numero N di vittime, tenendo conto di tutti gli scenari di rischio plausibili.

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L'articolo continua con  la valutazione dell’efficacia e rischio residuo.

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