Un uomo senza storia è un uomo senza sé stesso.
La storia non è solo il passato, è il racconto che lo costruisce. Senza narrazione, gli eventi restano muti, privi di connessione. Byung-Chul Han parla di una crisi della narrazione, un mondo spezzato dove il senso si dissolve. Il transumanesimo promette di riempire il vuoto, ma è solo un'illusione. Il vero pericolo è la perdita dell’identità.
La crisi della narrazione e il pericolo del vuoto: dal racconto storico al transumanesimo come simulacro di identità
Dire che la narrazione storica è selettiva è un'ovvietà. Lo sappiamo, lo accettiamo.
Quello che ancora ci sfugge, o che viene deliberatamente occultato, è che non esiste storia senza narrazione. Non è la realtà che si impone alla memoria collettiva, ma il racconto che la costruisce, la storia separa gli eventi dal flusso della vita, li riorganizza, li plasma in una sequenza dotata di senso, pronta per essere assimilata e memorizzata.
I fatti, di per sé, sono noumenici: esistono, ma restano muti, isolati, privi di connessione.
È la narrazione che li rende fenomeni, che li trasforma in parte di un disegno comprensibile. Senza di essa, la storia è un accumulo di detriti senza legame, un caos inerte. Il problema, quindi, non è solo che la narrazione storica seleziona, ma chi e come la seleziona, chi decide quali eventi diventino fondamentali e quali scompaiano nel nulla.
Ma cosa accade quando il meccanismo della narrazione si spezza? Quando il racconto del mondo si disintegra e lascia spazio solo a un pulviscolo di micro-eventi, percepiti e consumati senza connessione né memoria?
Per dare una risposta a queste domande possiamo fare riferimento alla recente analisi di Byung-Chul Han.
La crisi della narrazione: il mondo spezzato
Nel suo libro La crisi della narrazione, Han descrive il declino della capacità umana di costruire storie coerenti, di trasformare il vissuto in un racconto dotato di struttura e significato. Viviamo in un'epoca di frantumazione narrativa. Non riusciamo più a inserire gli eventi in un orizzonte interpretativo ampio, tutto si riduce a un flusso di informazioni senza profondità.
I social network accelerano questa dissoluzione.
Ogni giorno, miliardi di contenuti vengono prodotti e consumati nell’arco di pochi secondi, senza sedimentazione, senza memoria. Le esperienze non diventano storia, rimangono meri impulsi momentanei. Il passato si scioglie in un eterno presente fatto di notifiche e aggiornamenti.
Questa crisi ha una conseguenza devastante: senza narrazione, non c’è identità.
L’essere umano ha sempre costruito sé stesso attraverso il racconto – personale, collettivo, storico. Se la narrazione viene meno, l’individuo si trova di fronte a un vuoto. Un vuoto che spaventa, che paralizza. E che qualcuno è pronto a riempire.
"Le città moderne rispecchiano questa crisi della narrazione. Gli spazi pubblici si svuotano di significato, trasformandosi in ambienti funzionali ma privi di anima. Le architetture modulari, perfette ed efficienti, cancellano il vissuto e la memoria del luogo. Come la storia viene ridotta a un flusso di eventi isolati, così l’urbanistica moderna produce spazi sterili, senza connessione con il passato."
Il transumanesimo come finta risposta al bisogno di ego
Di fronte alla crisi della narrazione, il transumanesimo si presenta come una nuova mitologia, una risposta tecnologica al bisogno umano di significato. L’idea di trascendere i limiti biologici attraverso la tecnologia si propone come una via di fuga dalla frammentazione dell’identità. Se non possiamo più costruire un senso attraverso la storia e la cultura, allora possiamo reinventarci come altro: post-umani, ibridi digitali, coscienze eterne caricate su server immortali.
Ma questa non è una soluzione. È un simulacro di narrazione, una costruzione fittizia che non restituisce senso, ma lo annulla. Il transumanesimo promette di liberarci dal tempo e dallo spazio, ma in realtà ci consegna a un’estraneità ancora più profonda. Non ci radica in una storia, ci dissolve nel nulla.
Perché la verità è che il problema dell’uomo non è il corpo, ma il significato. Il transumanesimo si presenta come il superamento della condizione umana, ma in realtà non fa altro che amplificare la crisi dell’identità: ci dice che possiamo vivere per sempre, ma non ci dice perché dovremmo farlo.
Il vero pericolo oggi non è la morte, ma il vuoto.
Il vuoto di senso, il vuoto narrativo, il vuoto di appartenenza. Senza storie, senza passato, senza radici, l’individuo diventa un’entità modulare, perfettamente adattabile al mercato e alle esigenze di produzione. Siamo diventati l'uomo modulare richiamato da Zygmunt Bauman nel suo libro "La solitudine del cittadino Globale".
Il transumanesimo non è la soluzione alla crisi della narrazione, ne è la conferma.
"Il transumanesimo afferma di liberarci dai limiti della carne, ma il suo vero obiettivo è un altro: dissolvere l’individualità in un sistema digitale, in un'eterna riproduzione di dati. Ciò che resta non è un uomo potenziato, ma un uomo svuotato, ridotto a un codice pronto per essere aggiornato o eliminato."
Riprendersi la storia, ricostruire il senso
Come scrive Bernard Stiegler ci troviamo in uno stato di assenza di epoca.
Il problema non si risolve con il caricamento della coscienza su un cloud, né con il potenziamento del corpo attraverso la tecnologia. Si risolve recuperando la capacità di costruire storie, di connettere gli eventi in un quadro dotato di senso, di riconoscersi in un passato che non sia solo un file archiviato, ma un’eredità viva.
È il momento di tornare a narrare, a radicare l’individuo in una memoria condivisa. Solo così possiamo resistere alla dissoluzione dell’identità e alla falsa promessa di un’umanità che si supera annullandosi.
Perché un uomo senza storia è un uomo senza sé stesso.
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