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Un muro di confine con funzione strutturale deve rispettare la distanza tra costruzioni

Il muro di cinta è generalmente un muro posto sul confine tra due proprietà fondiarie con funzione puramente divisoria, distinguendosi dal muro divisorio tra due edifici adiacenti posti in aderenza in prossimità del confine. Quest’ultimo infatti non è isolato e svolge anche una funzione strutturale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione analizza e chiarisce queste differenze nel contesto di una controversia tra proprietari confinanti. Nella sentenza si stabilisce che un setto murario prossimo al confine se non dovesse essere inquadrato come muro di cinta, risponderebbe alla legislazione delle nuove costruzioni, obbligando i proprietari a rispettare le distanze legali.

La differenza tra muro di cinta e setto murario

Quando ci sono proprietà confinanti le dispute e i problemi dovuti ai confini sono ordinari, soprattutto quando le problematiche coinvolgono elementi o setti murari e muri di cinta posti lungo il confine.
Infatti spesso essi sono oggetto di confusione, ma in realtà sono tipologie di strutture con funzioni differenti.

Il muro di cinta è una struttura il cui compito è quello di circoscrivere una proprietà privata, e presenta una serie di caratteristiche come ad esempio:

  • la sua funzione è essenzialmente divisoria o di recinzione;
  • non deve presentare collegati con ad altri edifici o strutture;
  • l’altezza massima è di 3 metri.

Di solito viene, quindi, costruito soprattutto per:

  • evitare discussioni tra proprietari confinanti;
  • definire i limiti della proprietà;
  • creare delle separazioni fisiche, anche mediante siepi;
  • garantire la privacy tra le parti.

 

Muro di cinta (Crediti: A. Capone)

 

Inoltre esso può essere realizzato in:

● calcestruzzo armato gettato in opera;
● muratura portante in mattoni o blocchi;
● elementi prefabbricati in calcestruzzo o metallo.

A chiarire quando un muro di cinta è esonerato dal rispetto delle distanze legali tra costruzioni previste dall’art. 873 è l’art. 878 del Codice Civile, il quale sancisce che “Il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’articolo 873. Esso, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo d’appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai tre metri.”.

Diverso invece è il setto murario realizzato in aderenza o in condivisione tra edifici e posto sul confine, il quale, pur essendo una struttura posizionata lungo il confine tra due proprietà, ha come uno scopo essenzialmente strutturale tra i corpi di fabbrica confinanti.

Secondo l’art.880 del codice civile “Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto.
Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi.”
Quindi un muro di separazione tra fabbricati si presume comune, salvo disposizioni differenti.

A chiarire ulteriormente la differenza tra muro di confine isolati e setti murari di strutture in aderenza è la sentenza della Corte di Cassazione n. 4872/2025.

 

Costruzione o muro di cinta? I chiarimenti

Con la recente sentenza della Corte di Cassazione vengono esaminati i parametri distintivi tra costruzione (art. 873 c.c.) e muro di cinta (art. 878 c.c.), facendo riferimento alle distanze tra edifici.
Il caso coinvolge una disputa tra due proprietari confinanti, ha visto la Corte confermare la sentenza d’appello che aveva qualificato un setto murario come costruzione, imponendone il rispetto delle distanze minime.

Il ricorrente, proprietario di un immobile, aveva fatto ricorso al Tar di Trani sostenendo che il proprietario del fondo confinante avesse realizzato un corpo di fabbrica (pilastri e rampe) in violazione delle distanze legali dal confine e della servitù di passaggio tra i fondi.

Il Tribunale di Trani aveva accolto il ricorso stabilendo che “(…) accoglieva la domanda di riduzione in pristino proposta da *** *** ex art. 872, comma 2, c.c., e 873 c.c., condannando *** *** «alla demolizione, a sue spese, della muratura attualmente presente a cavallo tra le proprietà», nonché alla «ricostruzione, a sue spese, di doppia muratura di confine, una insistente sulla proprietà *** *** e l’altra insistente sulla proprietà *** ***, con rispetto della distanza di 6 m dal confine dell’immobile *** *** e della larghezza della servitù di passaggio di 5 m in favore di *** *** ».”

A questo punto la controparte ha presentato ricorso alla Corte di Appello di Bari confermando che il setto murario fosse una costruzione e non un semplice muro di confine, condannando quindi la controparte alla demolizione di alcune opere (pilastri e rampa) che violavano le distanze legali.

A questo punto la controparte sostenendo che il setto murario fosse un muro di cinta esente dalle distanze legali presenta ricorso in Cassazione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d'Appello e chiarendo che “La censura risulta inammissibile, perché attinge la valutazione del fatto e delle prove condotta dalla Corte di merito, in relazione alla funzione svolta dal setto murario oggetto di causa e alla sua qualificabilità come costruzione o muro di cinta. Ad avviso del ricorrente, infatti, poiché tale manufatto assolverebbe al compito di delimitare le proprietà delle parti, lo stesso non poteva essere considerato costruzione né assoggettato all’obbligo di rispettare le distanze, giusta il disposto di cui all’art. 878 c.c.. La Corte distrettuale, riformando la decisione di prime cure, ha ritenuto, invece, all’esito della valutazione del fatto e delle prove, che il setto murario in questione non giacesse sul confine, ma costituisse parte dell’edificio di proprietà del controricorrente Ursi Nicola. Di conseguenza, ha considerato che l’opera costituisse costruzione e che il manufatto successivamente eretto dall’odierno ricorrente dovesse rispettare la distanza minima da esso.

Quindi la sentenza d’appello aveva correttamente valutato che il muro non fosse un semplice confine, ma parte di un edificio preesistente, con funzione strutturale e non meramente divisoria. Inoltre la collocazione quasi interamente sul fondo del ricorrente (come accertato dalla CTU) escludeva la natura di muro di cinta, tipico dei manufatti posti esattamente sul confine. Per le sue caratteristiche il paramento murario va quindi posizionato nel rispetto delle distanze dai confini.

 

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.

 

Articolo integrale in PDF

L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
Il file PDF è salvabile e stampabile.

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