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Un caso storico per la giustizia climatica: la sfida al Tribunale Internazionale

Questa settimana, al Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia, si discute un caso storico che potrebbe ridefinire il ruolo del diritto internazionale nella lotta al cambiamento climatico. Un’azione guidata da Vanuatu, una nazione insulare vulnerabile, chiede di stabilire le responsabilità degli Stati nel mancato controllo delle emissioni di gas serra, con implicazioni globali per la giustizia climatica.

Questa settimana, al Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia, si discute un caso destinato a segnare un passaggio fondamentale nella storia della giustizia climatica.

Una questione di portata globale, capace di ridefinire le responsabilità degli Stati di fronte alla crisi climatica, ma che rimane sorprendentemente ignorata al di fuori degli ambienti diplomatici e accademici.

L’ICJ, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, è stato chiamato a esprimere un parere su due temi cruciali: cosa richieda il diritto internazionale agli Stati per affrontare il cambiamento climatico e quali conseguenze dovrebbero affrontare i Paesi che, con le loro azioni o omissioni, danneggiano il clima globale.

   

Chi è responsabile legalmente del cambiamento climatico:

la decisione su spinta delle nazioni più vulnerabili

Come riportato dal New York Times in un articolo di Karen Zraick, l’iniziativa nasce da una campagna guidata da Vanuatu, un piccolo Stato insulare del Pacifico particolarmente esposto agli effetti del riscaldamento globale, come l’innalzamento del livello del mare.

La richiesta al Tribunale Internazionale è il risultato di un lavoro diplomatico e sociale che parte dal basso: l’idea è stata concepita da un gruppo di studenti di diritto delle isole del Pacifico, i quali nel 2019 hanno lanciato il motto: “Stiamo portando il problema più grande del mondo davanti alla corte più alta del mondo”.

Il caso si basa sull’idea che la crisi climatica non sia solo un problema ambientale, ma anche una questione di diritti umani. Paesi come Vanuatu sostengono che il mancato controllo delle emissioni di gas serra costituisca una violazione del diritto internazionale, oltre a rappresentare una minaccia esistenziale per le nazioni più vulnerabili.

Ralph Regenvanu, inviato speciale di Vanuatu per il clima e l’ambiente, ha descritto il caso come “il più consequenziale nella storia dell’umanità” e ha avvertito che le future generazioni potrebbero giudicare duramente la nostra inerzia attuale.

   

Il valore del parere dell’ICJ

Il parere del Tribunale, previsto per il prossimo anno, sarà consultivo e quindi non vincolante.

Tuttavia, potrebbe avere implicazioni profonde, fornendo una base giuridica per collegare i diritti umani alla crisi climatica e aprendo la strada a ulteriori cause legali.

I sostenitori del caso sperano che il parere rafforzi la posizione dei Paesi più vulnerabili nei negoziati internazionali, aumentando la pressione sugli Stati maggiormente responsabili delle emissioni.

Non sorprende che vi siano opposizioni: Stati Uniti, Cina e Arabia Saudita hanno espresso la loro contrarietà, sostenendo che gli accordi esistenti, come l’Accordo di Parigi, siano strumenti sufficienti per affrontare la crisi climatica. Tuttavia, l’effettiva attuazione di questi accordi lascia molto a desiderare.

Rachel Cleetus, direttrice politica del Climate and Energy Program presso l’Union of Concerned Scientists, ha criticato duramente l’ipocrisia degli Stati Uniti: “È ironico sentirli lodare l’Accordo di Parigi mentre il loro impegno reale ne tradisce gli obiettivi.”

   

Una riflessione necessaria

Il caso attualmente in discussione presso il Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia non rappresenta un unicum nel panorama legale internazionale riguardante la responsabilità degli Stati nei confronti del cambiamento climatico. Numerosi precedenti hanno già tracciato un percorso significativo in questa direzione.

Un esempio emblematico è il caso Urgenda nei Paesi Bassi che abbiamo trattato nell’articolo Saranno le corti di giustizia a salvare il pianeta?

Nel 2015, la Corte Distrettuale dell’Aja ha stabilito che il governo olandese doveva ridurre le emissioni di gas serra del 25% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, riconoscendo l’insufficienza degli obiettivi precedenti e sottolineando il dovere dello Stato di proteggere i propri cittadini dagli effetti del cambiamento climatico.

Analogamente, in Svizzera, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha recentemente condannato il governo per non aver adottato misure adeguate contro il cambiamento climatico, riconoscendo che tale inazione viola i diritti umani dei cittadini.

Per chi volesse approfondire può trovare maggiori informazioni sul nostro articolo Cambiamenti climatici: il cittadino può fare causa al governo per scarso impegno

Anche in Italia si è assistito a iniziative legali simili. La campagna “Giudizio Universale” ha portato alla prima causa climatica nel paese, con l’obiettivo di costringere lo Stato a intraprendere azioni più incisive per ridurre le emissioni.

Questi casi evidenziano una crescente tendenza globale a utilizzare il sistema giudiziario per affrontare l’inazione climatica, sottolineando la responsabilità legale degli Stati nella protezione dell’ambiente e dei diritti umani.

Invitiamo per chi volesse approfondire l’argomento a leggere l’articolo della Prof. Sara Valaguzza Climate Change: dal contenzioso climatico al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.

Tuttavia, il caso attuale presso il Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia si distingue per la sua portata e le potenziali implicazioni a livello internazionale.

Una questione di portata globale, capace di ridefinire le responsabilità degli Stati di fronte alla crisi climatica, ma che rimane sorprendentemente ignorata al di fuori degli ambienti diplomatici e accademici.

Come cittadino, come cittadini, come comunità, dobbiamo riconoscere l’importanza di iniziative come quella di Vanuatu. Esse rappresentano un richiamo alla responsabilità collettiva e un invito a ripensare le dinamiche di potere globale, dove spesso sono i più deboli a pagare il prezzo più alto.

Inoltre, questo caso evidenzia una verità scomoda: gli strumenti attuali, per quanto utili, non bastano.

Le Conferenze sul Clima, gli accordi e le promesse devono essere affiancati da azioni concrete, vincolanti e sorvegliate. Non possiamo più permettere che la giustizia climatica resti un ideale lontano, mentre intere nazioni lottano per la loro sopravvivenza.

L’esito di questo caso, qualunque esso sia, rappresenterà un punto di svolta. E noi, come comunità globale, dobbiamo essere pronti a cogliere l’occasione per spingere verso un futuro più equo e sostenibile.

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