Umidità nelle murature: le barriere chimiche e i trattamenti antisale per attenuare i fenomeni di degrado
Risolvere il problema dell’umidità nelle murature è a volte un intervento che richiede conoscenze multidisciplinari e tanta esperienza, le tecnologie per fortuna ci sono d’aiuto ma devono essere viste come una parte del lavoro, che non prescinde dal realizzare tutte le procedure operative che servono a dare durabilità all’intervento stesso.
In questo articolo affronteremo il degrado derivante dall’umidità nelle murature, delineando quali sono gli interventi per attenuare questo fenomeno degenerativo, con un approccio molto “pratico” cioè che possa dare gli elementi base per decidere che ciclo d’intervento d’adottare tra quelli che vi vengono proposti dal mercato, quindi questo articolo si vuole rivolgere a progettisti e imprese che devono affrontare questi interventi.
L'umidità di risalita e gli interventi di barriera
Da molti anni si studiano le dinamiche fisiche e chimiche legate all’umidità nelle murature, non è intenzione in questa sede descrivere le innumerevoli ricerche svolte, e chi fosse interessato ad approfondire potrà documentarsi con dei buoni libri scritti anche dai colleghi che partecipano alla stesura di questi brevi articoli di approfondimento.
Ritorniamo all’approccio “pratico” che ci siamo ripromessi, quando si affrontano problematiche riguardanti la muratura umide, innanzitutto si deve fare una prima macro distinzione tra muratura “fuori terra e “muratura contro terra” perché l’approccio e le metodologie d’intervento sono differenti, la regola ferrea e imprescindibile è che se la muratura e controterra la si deve impermeabilizzare, se invece è fuori terra la si deve “deumidificare” (uso questo termine tecnico-commerciale che però chiarisce bene il concetto) di seguito faremo degli esempi applicativi.
Altro concetto tecnico-pratico è: le murature umide hanno due problematiche insite in loro, cioè sono umide e contengono sali, l’umidità pregiudica la resistenza termica e a lungo andare può deteriore la stabilità degli elementi murari, i sali con il cambiamento di stato, soluzione e cristallizzazione, degradano le porosità dei conci murari, degli intonaci e delle finiture posti sulla muratura stessa; quindi trattare solo uno di questi elementi significa pregiudicare la durabilità dell’intervento.
Sicuramente la conoscenza della muratura stessa è basilare per decidere gli interventi da eseguire, composizione dei conci murari: sassi, pietre, mattoni, tufo, misti ecc. Le malte d’allettamento: terra, inerti con leganti idraulici o aerei, ma anche presenza di malte cementizie dovute a rimaneggiamenti dopo i primi del ‘900 ect.
Un esempio tra i molti è la muratura detta alla lombarda, che consiste nell’utilizzo di sassi di fiume come conci primari, allineamento con una fila di mattoni, normalmente di recupero, allettamento con malte a base di calce e sabbie miste a terra, e rincoccio con materiali di risulta vari; vecchie tegole, bottiglie, zoccoli ecc. normalmente a singolo paramento, ma a volte anche “a sacco”.
Fatte queste doverose premesse passiamo ad analizzare qualche ciclo d’intervento, con prodotti che hanno qualche decennio d’utilizzo, frutto di prove ed analisi che negli anni hanno definito quali tra essi dessero maggior durabilità.
Murature umide: un'analisi delle principali patologie e indicazioni su come intervenire
Al fine di ridurre l’apporto di acqua per suzione diretta sulla parte basamentale della muratura fuori terra, un intervento da utilizzare è quello di creare una “barriera” all’ingresso dell’acqua, cioè un intervento che permette di ridurre la suzione dell’acqua da parte delle porosità dei conci murari e delle malte d’allettamento.
Storicamente si utilizzavano dei corsi di pietra sia per stabilizzare la fondazione che per impedire la risalita dell’acqua, questo accorgimento però era utilizzato solamente per edifici nobili, per il resto delle costruzioni la muratura era a contatto con il terreno, si aggiunga che per gli edifici rurali la presenza di animali, le murature potevano essere interessate da una forte presenza di nitrati, sali che assorbiti dal terreno si trasmettevano poi alla muratura.
I composti nitrati sono tra i sali che presentano una azione espansiva di cristallizzazione più rilevante, quindi non stupisce che gli interventi di risanamento murario di vecchie cascine, se si sottovalutano le interazioni che umidità e sali possono provocare, riservi a volte spiacevoli insuccessi.
Quindi, ancora una volta, vediamo come le patologie siano legate ed interconnesse.
Sempre storicamente, durante le fasi di riuso il risanamento degli edifici esistenti, venivano utilizzate tecniche diverse per creare una “barriera” all’ingresso dell’umidità di risalita con inserimento di lamine metalliche, cuci e scuci, ecc.
In parte queste tecnologie sono sopravvissute anche a giorni nostri, come il taglio meccanico con inserimento di lamine di vario genere per formare una barriera, interventi comunque invasivi anche sotto l’aspetto della stabilità statica della muratura stessa.
Contrastare la risalita dell'acqua attraverso l'uso barriere chimiche
Nella chimica per l’edilizia “moderna” ovvero negli ultimi decenni, si sono utilizzati prodotti di varia natura per realizzare una barriera alla risalita, definita in gergo “barriera chimica”.
Alcuni di questi anche molto fantasiosi, mentre i prodotti che hanno dato i migliori risultati negli anni sono quelli a base di resine silaniche, sia in soluzione acquosa che idroalcolica, oppure a base solvente, in quanto permettono di ridurre la suzione capillare senza alterare traspirabilità interna della muratura, cioè senza occludere i pori.
Ovviamente le “barriere chimiche”, come tutte le operazioni fatte alla cieca, non possono dare la garanzia che lo sbarramento sia uniforme e costante, quindi dobbiamo accettare che il 100% del risultato sarà estremamente difficile da ottenere, ma avremo sicuramente una riduzione importante della suzione d’umidità nella muratura.
Come detto in precedenza non c’è prodotto che funzioni se la posa in opera non segue le metodologie applicative corrette.
Le metodologie applicative più comunemente utilizzate sono due: le iniezioni di formulati silossanici fluidi e quelli formulati in gel.
I formulati fluidi possono essere in soluzione acquosa oppure idroalcolica; queste ultime hanno un potere di penetrazione maggiore perché riescono in parte a sciogliere i sali presenti nella muratura.
Le soluzioni vengono iniettate nella muratura effettuando dei fori inclinati nella stessa (normalmente si effettuano due file di fori a quinconce) introducendo a gravità il liquido per mezzo di piccoli serbatoi che saranno continuamente rabboccati sino a saturazione della muratura.
Il limite di questi interventi sono i vuoti presenti nella muratura stessa, pertanto sono consigliate solo su murature a paramento unico e con conci abbastanza omogenei, come le murature in mattoni e tufo, mentre sulle murature miste o a sacco, prima di effettuare le iniezioni di sbarramento, si dovrà riaggregare la muratura con iniezioni di boiacche fluide compatibili con le caratteristiche fisico chimiche della muratura, al fine di riempire i macro vuoti interni al paramento murario.
Se non si procede con questo accorgimento, il formulato silanico (che solitamente ha una densità inferiore all’acqua) si disperderebbe inutilmente, con la conseguenza che lo sbarramento ridurrebbe drasticamente la sua efficacia.
Altro limite operativo delle iniezioni fluide è la modalità di perforazione, che deve essere realizzata in modo inclinato per poter interessare un tratto di muratura più ampio, anche se, mentre da una parte impregnando più muratura si aumenta il successo dell’effetto barriera, dall’altra si trasmettono vibrazioni a volte eccessive al debole legame delle malte d’allettamento.
Nelle murature in pietra, invece, la perforazione risulterebbe estremamente dispendiosa e potrebbe provocare ancora più danni e infatti, anche per questa ragione, qualora si volesse utilizzare questa tecnologia, la riaggregazione con boiacche sarebbe essenziale anche per la stabilità della muratura stessa.
Peraltro, a conferma dell’approccio multidisciplinare, la riaggregazione muraria è una tecnologia che è stata oggetto di molti studi nelle Università e nei Politecnici, soprattutto per il consolidamento statico delle murature e in generale per vari interventi di adeguamento statico.
Un sistema innovativo di “barriera chimica” utilizza prodotti in gel silossanico che s’iniettano o, meglio, si estrudono nella muratura con semplici pistole (tipo quelle per estrudere i sigillanti), l’applicazione avviene praticando dei fori orizzontali perforando la muratura in tutta la sua sezione, fermandosi a circa 5 cm dal filo del lato opposto della muratura, praticando solo una fila di fori, e questo consente di controllare meglio la dislocazione delle perforazioni aggirando o evitando la presenza di eventuali impianti. Ad estrusione avvenuta il gel comincerà a migrare impregnando i materiali porosi circostanti idrofobizzandoli in modo stabile, sempre senza alterare la naturale traspirabilità della muratura.
Contrastare gli effetti dei sali solubili nelle murature con trattamenti antisalini
Continuando l’analisi dell’effetto dei sali solubili presenti all’interno della muratura, vediamo come il degrado comporta la disgregazione degli intonaci e delle finiture per effetto della cristallizzazione dei sali, cioè quel fenomeno espansivo che agendo all’interno della capillarità dei materiali porosi sollecita i materiali stessi, rompendoli.
Comunemente vengono chiamate efflorescenze saline e si evidenziano con delle formazioni biancastre asportabili facilmente, e la forza espansiva dipenderà dalla quantità e dalla natura chimica dal composto salino che cristallizza; i nitrati sono più espansivi dei solfati o dei cloruri.
La cristallizzazione dei sali non avviene solo in superficie, ma anche più in profondità, normalmente nell’interfaccia tra la muratura e l’intonaco.
In questo caso si parla di subefflorescenze o criptoefflorescenze, che determinano distacchi anche molto estesi dell’intonaco, provocando il crollo anche di ampie porzioni, le subefflorescenze, inoltre, sono anche la causa di distacco dei rivestimenti, generalmente lastre di pietra naturale, posti a protezione della zoccolatura della muratura.
I sali quindi, e la loro capacità disgregativa, sono una buona parte della patologia che affligge le murature umide, ed è per questo motivo che sottovalutare la loro presenza comporta la riduzione della durabilità degli interventi di risanamento.
Per ovviare a questa problematica si sono iniziati ad utilizzare trattamenti “antisalini” come commercialmente vengono definiti, e anche in questo caso si sono intrapresi vari percorsi formulativi con prodotti e metodologie molto diverse.
Anche in questo caso, come per le barriere chimiche, i formulati a base silossanica hanno dato gli esiti migliori anche per il facile sistema applicativo, grazie ad un principio abbastanza simile: impregno i pori capillari, idrofobizzandoli, in modo che la soluzione salina non arrivi in superficie o quanto meno ne arrivi una minima parte, che potrà essere più facilmente assorbita dall’intonaco di risanamento.
Il trattamento su supporti disomogenei non può dare la sicurezza di una barriera totale, quindi la procedura applicativa dovrà essere scrupolosa, per esempio si dovrà irrorare la muratura almeno 2 o 3 volte sino a quando la muratura assorbirà tutto il prodotto applicato e, come per le “barriere chimiche”, la sensibilità dell’operatore sarà importante per la buona riuscita del trattamento.
I formulati con la miglior penetrazione sono quelli in fase idroalcolica, ai quali vengono richieste anche altre caratteristiche, quali ad esempio, far aderire al meglio i successivi strati malta o di intonaco deumidificante.
L’applicazione si esegue con pompe a bassa pressione in modo da irrorare uniformemente la muratura poi, successivamente quando l’impregnante è assorbito ma ancora “fresco”, si deve applicare subito il primo rinzaffo di malta da risanamento.
In questo modo daremo continuità al trattamento ed eviteremo subefflorescenze.
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