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Tra ristrutturazione e nuova costruzione 'balla' la continuità tra vecchio e nuovo edificio: le regole del Testo Unico Edilizia

Sussiste una ristrutturazione edilizia nel caso in cui viene modificato un immobile già esistente, ma nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre se il manufatto viene totalmente trasformato, non solo con un apprezzabile aumento volumetrico, ma anche mediante un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria, l'intervento deve essere considerato di nuova costruzione.

Sempre più spesso ci imbattiamo in sentenze relative a contenziosi dovuti all'inquadramento di un dato intervento edilizio: quando si parla di nuova costruzione e quando, invece, si può rientrare nell'alveo della ristrutturazione edilizia?

Uno di questi casi è affrontato dal Consiglio di Stato nella sentenza 5769/2023 del 13 giugno, che per la parte che ci interesse deve sbrogliare una matassa relativa alla “bozza di calcolo” degli oneri concessori di una concessione edilizia comunale, limitatamente alla parte in cui l’intervento edilizio oggetto di causa - secondo parte ricorrente - viene erroneamente qualificato come “nuova costruzione con trasformazione da produttivo in abitazioni, ufficio e commercio al dettaglio”.

Oneri di urbanizzazione e carico urbanistico

L’appellante ritiene che ai fini del calcolo degli oneri urbanizzazione occorra guardare non al tipo di opera realizzata bensì all’eventuale incremento del carico urbanistico rispetto a quello che generava l‘edificio esistente.

Secondo il quadro delle definizioni uniformi allegato allo schema di regolamento edilizio tipo, per “carico urbanistico” si intende il «fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entità e destinazione d'uso; costituiscono variazione del carico urbanistico l'aumento o la riduzione di tale fabbisogno conseguenti all'attuazione di interventi urbanistico-edilizi ovvero a mutamenti di destinazione d'uso».

Secondo questa definizione, il cambio di destinazione d’uso comporta di per sé una variazione del carico urbanistico. E siccome, nella specie, il cambio di destinazione si è avuto da “Zona produttiva D1” a “Zona residenziale A – Centro storico”, ne deriva l’aumento del carico urbanistico provocato dalla realizzazione del nuovo edificio rispetto al precedente.

E si tratta - sottolinea Palazzo Spada - di un cambio di destinazione particolarmente significativo (Cons. Stato, sez. IV, 13/12/2013, n. 6005: Il mutamento di destinazione d'uso da agricola a residenziale comporta aumento del carico urbanistico trattandosi di passaggio tra due categorie funzionalmente autonome, in quanto il mutamento di destinazione d'uso comporta un maggiore carico urbanistico, al quale si correla l'imposizione di pagamento del contributo concessorio).

Come chiarito da Cons. Stato, sez. VI, 26/09/2022, n.8256, il cambio di destinazione d'uso di un manufatto preesistente non richiede alcun titolo abilitativo unicamente nel caso in cui si realizzi fra categorie edilizie omogenee; diversamente, qualora tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una modificazione edilizia, con effetti che incidono sul carico urbanistico ed è quindi soggetta a permesso di costruire.

Ristrutturazione o nuova costruzione? Le discriminanti

Il Consiglio di Stato riepiloga alcuni principi sovente ribaditi dalla giurisprudenza amministrativa:

  • sussiste una ristrutturazione edilizia nel caso in cui viene modificato un immobile già esistente, ma nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, nel caso in cui invece il manufatto sia stato totalmente trasformato, non solo con un apprezzabile aumento volumetrico, ma anche mediante un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria, l'intervento deve essere considerato quale intervento di nuova costruzione (Cons. Stato, sez. VI, 19/10/2022, n. 8906);
  • anche se qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva o sagoma, tuttavia occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente (Cons. Stato, sez. VI, 13/10/2022, n. 8751);
  • il criterio che distingue l'intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è rappresentato dall'assenza di variazioni del volume, dell'altezza o della sagoma dell'edificio, di conseguenza, in mancanza di tali indefettibili e precise condizioni, l'intervento deve essere configurato come una nuova costruzione (Cons. Stato, sez. IV, 23/03/2022, n. 2106);
  • nella nozione di nuova costruzione possono rientrare anche gli interventi di ristrutturazione qualora, in considerazione dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione dell'immobile, possa parlarsi di una modifica radicale dello stesso, con la conseguenza che l'opera realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente (Cons. Stato, sez. II, 06/04/2020, n. 2304).

Se non c'è continuità tra gli edifici non è una ristrutturazione

Nel caso di specie, sottolinea Palazzo Spada, correttamente il TAR ha statuito che il progetto non può essere qualificato come demolizione e ricostruzione ai sensi dell’art. 66, comma 4-bis, della legge urbanistica provinciale, in quanto fra l’edificio originario e l’edificio di nuova costruzione non sussiste alcuna continuità, sotto nessun punto di vista.

Qui non esiste più alcun collegamento fra l’edificio originario e quello nuovo perché:

  • l’ubicazione è diversa;
  • è diverso il tipo di edificio;
  • il volume urbanistico non è più lo stesso;
  • con la riduzione dell’altezza dei vani in progetto si arriva ad un aumento sostanziale della superficie utile nonostante
  • la cubatura sia pressoché la stessa, 17.758,51 m³;
  • ed altro ancora.

Cambio di destinazione d'uso: l'ultimo paletto

In ogni caso - chiudono i giudici del Consiglio di Stato - assume carattere dirimente il fatto che sia mutata la destinazione d’uso.

Come chiarito da Cons. Stato, sez. VI, 13/07/2022, n. 5907 il mutamento di destinazione d'uso di un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto di per sé all'ottenimento di un titolo edilizio abilitativo.

A ragione il primo giudice ha sostenuto che:

  • la modifica della destinazione d’uso interrompe in modo radicale la continuità fra cubatura preesistente (fabbrica nella zona produttiva D) ed il nuovo edificio in progetto (realizzazione di un complesso residenziale con negozi ed attività terziarie in zona residenziale A);
  • la possibilità di realizzare il progetto di cui è causa non deriva dalla preesistenza di un volume edilizio, ma è riconducibile direttamente alla modifica del piano urbanistico (ed è questo il punto che rende non persuasive ed accoglibili le doglianze del motivo in esame centrate invece sul piano di recupero che va letto alla luce della modifica del piano urbanistico).

Quanto detto, priva di fondamento anche la tesi prospettata dall’appellante secondo la quale la nozione di “ristrutturazione edilizia” fatta propria dall’art. 59, comma 1, lett. d) della legge urbanistica provinciale è più ampia di quella accolta dall’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. 380/2001: nella specie siamo di fronte ad una nuova costruzione.

Come già si è detto, la modifica della sagoma, dell'altezza, dei prospetti e del volume dell'originaria costruzione non consentono di qualificare l'intervento come ristrutturazione edilizia ordinaria.

Le fattispecie quale quella di cui si discute rientrano nella diversa categoria della cosiddetta ristrutturazione edilizia “pesante”, contemplata dall'art. 10 TUE, norma che sostanzialmente assimila l'intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di una nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza, subordinandone la realizzazione al previo rilascio del permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. I, 15/02/2022, n.378).


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