Tra dehor e pergotenda: come fare l'identikit giusto ed evitare l'abuso edilizio
Consiglio di Stato: la necessita di richiedere il titolo abilitativo per la realizzazione di un dehor dipende dai materiali utilizzati e dal carattere di temporaneità o stabilità dell'opera
Di recente, ci siamo occupati di una finta pergotenda che in realtà era una nuova costruzione da più di 50 metri quadri.
Oggi, continuando su quel solco, andiamo a verificare quali siano le differenze tra un dehor e una pergotenda e soprattutto se e quando si può realizzare una simile opera 'liberamente', oppure bisogna richiedere al comune il permesso di costruire, allargando gli orizzonti a tutte le tipologie attuali di libertà edilizie tra Glossario dedicato e articoli 5 e 6 del Testo Unico Edilizia.
Un classico: la pergotenda del bar. O era un dehor?
La sentenza 32/2022 del Consiglio di Stato si occupa del caso di un bar, che fruisce di un’area esterna sulla quale l'appellante ha realizzato, in base ad una SCIA, una pedana della altezza di 10/15 cm, funzionale a livellare l'andamento del terreno in pendenza.
La signora, dopo aver ultimato la realizzazione della pedana, vi ha installato una struttura con chiusure laterali plastificate elettricamente avvolgibili: l'ha fatto senza presentare una SCIA, o altro titolo edilizio, ritenendo che si trattasse di attività edilizia libera, in particolare ritenendo che la struttura potesse essere annoverata tra le c.d. “pergotende”.
Il comune, dopo un sopralluogo, ha avviato il procedimento sanzionatorio, sul presupposto della realizzazione, in assenza di permesso di costruire, di un “dehor, realizzato in aderenza al lato ovest del fabbricato, avente una superficie di circa 13 mq; tale manufatto è stato realizzato con struttura portante lignea di colore bianco, avente copertura lignea piana con altezza interna sotto travetto pari a 2,28 m e chiusa sui lati con teli plastificati trasparenti; la pavimentazione risulta sopraelevata rispetto al piano dei parcheggi di circa 25 cm…”.
In ulteriore sopralluogo, il tecnico accertatore ha ulteriormente rilevato che “Considerato le caratteristiche e dimensioni degli elementi strutturali che compongono il manufatto (pilastri, travi, tetto), i materiali utilizzati ed il sistema costruttivo adottato, si ritiene che il manufatto non possa rientrare nelle opere di “attività edilizia libera” di cui al punto n. 50 del D.M. 2/03/2018. Non è possibile assimilare tale opera ad una tenda, tenda a pergola, pergotenda o copertura leggera di arredo, in quanto non si tratta di una struttura leggera né di una copertura a tenda. Si tratta di una struttura con caratteristiche portanti tali da farla ritenere una vera e propria costruzione per altro ancorata al suolo e all’edificio principale, dotata di elementi strutturali (pilastri in legno di dimensioni 12 x 16 cm, assito in legno, guaina bituminosa----) fissi, non retraibili, né facilmente amovibili e che certamente non hanno le caratteristiche di “leggerezza” tipiche di una pergotenda o di altro elemento qualificabile come attività edilizia libera di cui al citato D.M.”.
Il tecnico accertatore ha precisato quindi che il manufatto doveva essere qualificato, ai sensi dell’art. 4, punto 3, lett. o) delle N..T.A., quale “portico” in ampliamento all’edificio esistente, per la realizzazione del quale sarebbe stata necessaria la preventiva richiesta di un titolo edilizio, anche ai fini della verifica della conformità degli impianti elettrici e di climatizzazione ivi posati, della distanza dalle strade e della superficie lorda utile.
Il comune, quindi, ne ha ingiunto la demolizione ai sensi dell'art.31 del Testo Unico Edilizia, che la signora ha impugnato al Tar Brescia, vedendosi respinto il ricorso.
Il dehor senza permesso è abusivo e va demolito
Il TAR Brescia, dopo aver qualificato il manufatto oggetto di demolizione come un “dehors”, ha affermato che simili strutture costituiscono, in linea di principio, delle nuove costruzioni ai sensi dell’art. 3, lett. e.5) e lett. e.6), del dpr 380/2001, ma possono essere sottratte alla disciplina delle nuove costruzioni dai comuni che scelgano di dotarsi di una regolamentazione specifica delle strutture pertinenziali agli esercizi pubblici, regolamentazione che, però, il Comune in questione non ha adottato.
Ciò premesso il TAR ha verificato la possibilità di ricondurre il manufatto ad alcuna delle categorie edilizie già tipizzate dal legislatore (segnatamente, nel D.M. 2 marzo 2018) come soggette ad attività edilizia libera, pervenendo ad una risposta negativa.
Infine il TAR ha ritenuto il manufatto in questione effettivamente assimilabile ad un “porticato chiuso” - come ritenuto nell’ingiunzione di demolizione -, la cui superficie lorda di pavimento supera la soglia che consentirebbe di qualificarlo, ai fini edilizi ed urbanistici, quale pertinenza, conseguendo da ciò il totale assoggettamento del manufatto alla disciplina delle nuove costruzioni, sia in punto di verifica della distanza dalle strade che dalle proprietà limitrofe.
Si è quindi arrivati al Consiglio di Stato.
Edilizia libera: gli elenchi sono tassativi?
L’appellante, si duole, in primo luogo, del fatto che il TAR ha escluso di poter qualificare l’intervento edilizio in questione tra quelli soggetti ad edilizia libera, senza considerare che tanto l’elencazione contenuta nell’art.6 del dpr 380/2001 che quella di cui al punto 50 dell’allegato al D.M. 2 marzo 2018 sarebbero meramente esemplificative, e dunque non impedirebbero di ritenere soggetti ad edilizia libera anche interventi non ivi specificamente menzionati: invoca, sul punto, il precedente della Sezione di cui alla sentenza n. 2715/2018.
Palazzo Spada evidenzia che:
- l'art. 6 del dpr 380/2001 elenca una serie di opere eseguibili senza alcun titolo abilitativo, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali: tale elencazione, consentendo la realizzazione di interventi edilizi che non comportano/consentono alcun tipo di controllo da parte dell’autorità pubblica, deve ritenersi in sé tassativo, ferma restando l’eventuale elasticità delle definizioni utilizzate, che può richiedere un’opera interpretativa del giudicante;
- in tale elenco nessuna voce si adatta al manufatto realizzato dalla appellante, poiché non si tratta di un’opera stagionale ai sensi dell’art. 6, lett. e-bis), dal momento che non è facilmente smontabile ed è stata concepita e realizzata come opera permanente e neppure di mera opera di pavimentazione, ai sensi dell’art. 6, lett. e-ter), dal momento che ciò che è stata contestata dal Comune è solo la struttura soprastante la pedana, i cui elementi portanti sono costituiti da pilastri, travi e tetto;
- il manufatto non può essere assimilato ad una “area ludica senza fini di lucro” o ad un “elemento di arredo” di area pertinenziale all’edificio, ai sensi dell’art. 6, lett. e-quinques), tenuto conto del fatto che si tratta di un’area destinata ad ospitare la clientela dell’esercizio, perciò destinata ad un fine non ludico né di mero arredo, ma invece di lucro.
Le opere di edilizia libera del Glossario
Ma cosa dice in merito il Glossario dell'edilizia libera ovverosia il DM 2 marzo 2018?
Esso individua tra le principali opere di edilizia libera, riconducibili all’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies):
- singoli arredi (quali barbecue, fioriere, fontane, muretti, panche);
- giochi per bambini;
- pergolati di limitate dimensioni;
- ricoveri per animali domestici e da cortile;
- ripostigli per attrezzi, sbarre d’accesso;
- separatori, stalli per biciclette, elementi divisori;
- “tende, tende a pergola, pergotende, coperture leggere di arredo”;
e tra le opere riconducibili all’art. 6, comma 1, lett. e-bis):
- gazebo;
- stand fieristici;
- servizi igienici mobili;
- elementi di esposizione vari;
- aree di parcheggio;
- tensostrutture, pressostrutture e assimilabili.
Glossario edilizia libera: maneggiare con cura
L’analisi sul decreto ministeriale 2 marzo 2018 di Ermete Dalprato: il ‘caso’ Glossario
Pergotenda: l'identikit giusto
La sentenza è sicuramente interessante perché 'si preoccupa' di identificare al meglio cosa significa pergotenda.
Si tratta di manufatti accomunati da fatto che creano degli ambienti simili ai pergolati, con la differenza che l’ombreggiatura è determinata da una tenda orizzontale, o lievemente inclinata, sostenuta da bracci mobili che si protendono da un edificio oppure da una struttura fissa, composta di pilastrini e da elementi orizzontali, comunque non adatta a portare carichi pesanti e tale da comportare un irrisorio impatto visivo:
Il Collegio ritiene condivisibile in ogni caso l’assunto del TAR secondo cui il manufatto realizzato dalla signora non può essere ricondotto a tale categoria, non fosse che per il fatto che la copertura è di materiale ligneo e che l’ambiente è stato dotato di tamponature perimetrali di chiusura e degli impianti elettrico e di climatizzazione, che sostanzialmente consentono di utilizzare l’area anche come locale chiuso.
Del resto, se con il DM 2 marzo 2018 si fosse inteso allargare il concetto di edilizia libera a tutte le strutture “precarie” e “leggere”, a prescindere dalla loro effettiva somiglianza alle “pergotende”, sarebbe stata utilizzata una definizione assai più generica, che non si ritrova nel D.M. 2 marzo 2018, né nell’art. 6 del dpr 380/2001.
Non solo: il manufatto in questione non può considerarsi neppure come tensostruttura o pressostruttura, in quanto si tratta di edifici realizzati con materiali mantenuti in posizione tramite tensione oppure tramite pressione - in genere la pressione forzata dell'aria -: non è il 'nostro caso'.
Se il manufatto non rientra nell'elenco...
L'allegato al DM 2 marzo 2018 contiene un'elencazione non tassativa o non esaustiva delle “principali opere” soggette ad edilizia libera?
Secondo il Consiglio di Stato si tratta di rilievo non pertinente, posto che un intervento edilizio, per essere considerato di edilizia libera, deve essere riconducibile ad almeno una delle categorie, più o meno generali, indicate all’art. 6 del dpr 380/2001, ciò che nel caso di specie non è predicabile: si ribadisce, in particolare, la impossibilità di qualificare il manufatto ai sensi dell’art. 6, lett. e-bis), per mancanza di temporaneità dell’opera, nonché ai sensi dell’art. 6, lett. e-quinques), per la ragione che nel caso di specie esso manufatto è chiaramente destinato, dalla proprietà, ad una finalità di lucro, ed inoltre per il fatto che quella oggetto di contestazione è una struttura portante destinata a svolgere una autonoma funzione (ospitare i clienti dell’esercizio pubblico), e come tale non è sussumibile nel concetto di “elemento di arredo”.
Per esclusione, si tratta di un gazebo o dehor
Alla fine, quindi, l'inquadramento del manufatto in 'gazebo', altrimenti detto dehor, arriva per esclusione, soprattutto per il fatto che comunque il manufatto in questione non è destinato a soddisfare esigenze temporanee.
L'esigenza temporanea (che non c'è)
All'edilizia libera, conclude Palazzo Spada, sono riconducibili anche alcuni interventi individuati dall’art. 3, lett. e.5), del dpr 380/2001, cioè manufatti “diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”, nonché “delle tende e delle unita' abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti”.
Ma questo manufatto non è riconducibile ad alcuna delle anzidette opere, perché:
- non é destinato a soddisfare esigenze temporanee;
- si trova all’esterno dell’edificio, ma non è collocato in una “struttura ricettiva all’aperto”;
- non afferisce ad una struttura ricettiva per turisti;
- non è assimilabile ad una “tenda”, né costituisce una “unità abitativa mobile” o relativa pertinenza, non avendo una destinazione residenziale.
Pertinenza? No, perché...
Ma non è ancora finita.
A prescindere dalla qualificazione del manufatto come porticato, e volendo ad esso riconoscere natura pertinenziale, il Collegio osserva che l'appellante non ha dedotto né dimostrato che la volumetria compresa nel manufatto in contestazione non supera il 20% di quella esistente negli spazi interni.
Pertanto, anche qualificando il manufatto come “pertinenza” non è possibile affermare che esso sfuggisse al regime delle nuove costruzioni.
Abuso edilizio e demolizione
Siamo arrivati quindi al dunque: essendo stato il manufatto realizzato in assenza del titolo edilizio relativo alle nuove costruzioni, esso è automaticamente abusivo e pertanto il Comune non era onerato di dimostrarne la non conformità ai parametri edilizi ed urbanistici prima di ordinarne la demolizione.
Peraltro l’appellante non ha in alcun modo tentato di dimostrare la conformità del manufatto a tutti i parametri vigenti e la conseguente possibilità di ottenere la sanatoria di conformità, che infatti non risulta sia stata richiesta.
Dehors permanenti: non esiste una disciplina specifica, ma...
In ultima istanza, va rilevato che il passaggio della sentenza in cui il TAR ha affermato che “finché non sarà approvata una disciplina specifica per i dehors permanenti, la decisione del Comune di emettere un ordine di demolizione appare corretta” non costituisce affatto una implicita ammissione del fatto che i dehors, e comunque il manufatto di che trattasi, possano considerarsi di edilizia libera, in quanto manufatti non specificamente disciplinati.
Come già precisato, gli interventi di edilizia libera sono tipici e sono quelli di cui sopra si è dato conto, ragione per cui ove un intervento non tipizzato non sia riconducibile ad uno di essi deve considerarsi soggetto al titolo edilizio pertinente, che dovrà essere individuato assimilando l’intervento ad una delle tipologie individuate dal legislatore.
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