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Tra benaltrismo e bollini blu, quanto le professioni possono incidere sul futuro del Paese

Stanno lavorando “energicamente” sul Codice degli Appalti, con l’obiettivo di rispettare la scadenza del 18 aprile 2016, o almeno questo è quanto ci stanno dicendo. Nel frattempo circolano interviste e news in cui si narra di copie semidefinitive del Codice, di testi già approvati, di pareri scritti … e così via.

E in questo fiorire di ipotesi ovviamente si stanno creando i due partiti di sempre: quelli dei benaltristi, ovvero coloro che sostengono e sosterranno che occorre ben altro per cambiare il paese, e quelli del bollino blu, ossia quelli che vorrebbero che ogni sua fosse da subito obbligatoria e certificata.
 
Tra i commentatori di quanto stia accadendo uno dei più attivi e il Prof. Angelo Ciribini, che nel suo linguaggio forse ermetico sta evidenziando alcune carenze del sistema Italia che se non affrontate in modo corretto rischiano di pesare in modo sensibile su qualsiasi tentativo normativo di riorganizzare il sistema Paese. Si tratta di una visione che ben si stacca dalle due categorie suddette, e se ben interpretata può fare da riferimento per chi oggi opera nel settore delle costruzioni.
 
Innanzitutto la necessità di affrontare il problema del committente, pubblico e privato. In uno dei suoi ultimi articoli Ciribini evidenzia come ormai la Gran Bretagna, con il lavoro svolto negli ultimi 5 anni, sia il benchmark di riferimento per qualsiasi paese che voglia intraprendere un serio percorso nella direzione della digitalizzazione degli appalti. Percorso che non può prescindere da un’azione che riguarda le committenze. In Italia abbiamo ancora troppi committenti, spesso troppo piccoli, spesso senza le competenze che possono essere necessarie per avviare il percorso su richiamato. Riduzione delle committenze, focalizzazione del ruolo dei tecnici che vi operano (da professionisti tuttofare, e quindi impegnati anche sulla progettazione, a figure finalizzate alla prescrizione dei bandi e al successivo controllo), forte azione di formazione, anche attraverso un percorso che preveda un’esperienza internazionale. Altrimenti il rischio è quello di avere una serie di bandi impugnati per vizi vari, e quindi costi e ritardi ulteriori per l’organizzazione.
 

Il problema però lo abbiamo anche sul resto della filiera. Ciribini in un articolo recentissimamente pubblicato scrive: “Anche allorché si voglia attestarsi su una concezione tradizionale del mestiere, la semi-automazione dei percorsi autorizzativi cancellerà un indotto di Professionalismo Amministrativo oggi cospicuo, le combinatorie computazionali sostituiranno tanti mediocri Progettisti.”

Seppur il professore usi un linguaggio molto forte, in cui evidenzia che la gran parte del lavoro dei professionisti di oggi nasca da una giungla normativa che impone a chi vuole avvicinarsi al mondo delle costruzioni di avvalersi di un “tecnico forense”, denuncia che non condivido nella sua totalità, noi tutti non possiamo però porci il problema di quale dovrà essere l’organizzazione della professione dei prossimi anni in cui la digitalizzazione da un lato, l’uso dell’internet of things dall’altro, e infine l’internazionalizzazione cambieranno in modo fondamentale il paradigma della progettazione.
Più volte abbiamo auspicato che la Rete delle Professioni si faccia carico di questo onere: più che dedicarsi alle problematiche del presente dedicarsi al disegno di un futuro prima che siano altri a imporcelo. Disegno dove vedo molto antiquato e quindi superato l’attuale dispositivo che prevede ordini microterritoriali, obblighi formali di formazione, e soprattutto lo schema riguardante i modelli societari, dove la SdP ha veramente mostrato di essere una soluzione non efficace.
 
Ma questa rivoluzione dovrà riguardare anche le imprese e le società fornitrici. 
 
Di recente Claudio De Albertis, Presidente ANCE, ha espresso un parere molto forte sulla necessità che le imprese di costruzione realizzino un cambio di passo:  "io credo che il BIM sia la più grande opportunità in questo momento per il nostro settore per ripartire dalla crisi, per un vero rinnovamento, penso che sia una opportunità che non ci si debba far sfuggire. Lo stesso legislatore nazionale, adesso, anche dietro nostro stimolo, ha introdotto questo concetto nell'ambito lavori pubblici. Per cui credo che questa sia evidentemente la strada.
 
Una posizione talmente forte che in questi giorni ha creato una forte spaccatura in seno alla sua Associazione.
Ma senza questa presa di coscienza da parte della filiera difficilmente si potrà da un lato dare vita a una riqualificazione del settore, dall’altro avviare una reale e profittevole applicazione del BIM.
 
Stesso dicasi per le imprese di filiera, se non si sveglieranno per tempo le aziende del mondo anglosassone, che già da quest’anno devono essere in linea con il Building Information Modelling, avranno un passo commerciale in più su scala internazionale, soprattutto in quei Paesi dove il mercato delle costruzioni cresce a due cifre, dove il BIM è già diventato un elemento di capitolato.
 
Al di là quindi della prossima uscita del Codice degli Appalti, ci accorgiamo che alcuni cambiamenti non potranno essere rimandati in funzione esclusiva delle regole locali, ma saranno trainati da una evoluzione globale in cui chi non risponde all’appello è di fatto tagliato fuori ed escluso, per oggi a titolo provvisorio, ma a breve potrebbe esserlo a titolo permanente.
 

In una rivoluzione copernicana di questo tipo è indubbio che le chiavi del cambiamento stanno in mano a chi è depositario da sempre della cultura all’interno del settore, ovvero le PROFESSIONI. Ma abbiamo l’impressione che questa responsabilità non sia ancora stata colta appieno, distratti forse dalle quotidiane emergenze e dalle lotte “di classe” che ancora esistono tra OICE e Consigli Nazionali, e tra diverse specializzazioni. Solo attraverso la creazione di un tavolo comune, in cui si superino concetti obsoleti nel resto del mondo occidentale (società di ingegneria, liberi professionisti, SDP, …) sarà possibile costruire della base che potrà trainare non solo il resto del mondo delle costruzioni, ma l’intero Paese fuori da una crisi che non è solo economica, ma soprattutto culturale. 

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