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Titolo edilizio falso? Il progettista non può non sapere, il costruttore invece non è tenuto alla verifica!

Cassazione: il costruttore non è tenuto a verificare la veridicità del permesso di costruire

Cassazione: il costruttore non è tenuto a verificare la veridicità del permesso di costruire, mentre il progettista non può non sapere che un titolo edilizio è stato ottenuto fraudolentemente

Permesso di costruire fasullo: le responsabilità di progettista e costruttore

Non vedo, non so, non ho colpa: se il titolo edilizio è falso ma il costruttore non ne era a conoscenza, non può essere accusato. Non solo: non è tenuto a verificarne la veridicità! Lo ha stabilito la Corte di Cassazione in una recente sentenza, la 11519/2019 del 15 marzo scorso, relativa al caso di un villino rustico che, in realtà, è una casa di civile abitazione, con una cubatura incrementata grazie a una compensazione urbanistica irregolare.

Attenzione: il permesso di costruire è stato ottenuto truccando le carte e l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Soprintendenza "indotta in errore". Insomma: la colpevolezza di committente e tecnico progettista incaricato non è in dubbio in primo e secondo grado, ma il costruttore, per la Cassazione, va graziato. Egli, infatti, ha realizzato l'intervento su incarico del committente e per gli ermellini l'imputazione, assente nel primo grado di giudizio, ma decisa in appello, è "insufficiente e, comunque, manifestamente illogica". Ma vediamo di fare il punto analizzando i tratti più interessanti della sentenza.

Falso ideologico: la responsabilità di proprietari, committenti, progettisti e costruttori secondo la Corte d'Appello

L'affermazione di responsabilità concorsuale si fonda sul fatto che gli imputati, quali proprietari e committenti della realizzazione di una casa di civile abitazione in zona agricola vincolata, e il tecnico progettista - autore delle relazioni allegate alle istanze, contenenti false attestazioni - e direttore dei lavori, avevano richiesto ed ottenuto dal comune di Castrignano del Capo, in persona del tecnico comunale, un permesso di costruire ed una autorizzazione paesaggistica (quest'ultima rilasciata a seguito di nulla-osta concesso dalla Soprintendenza, indotta in errore) ed in forza dei medesimi provvedimenti, illecitamente rilasciati perché affetti da falsità ideologica ed in contrasto con le previsioni normative e urbanistiche e da ritenersi dunque inesistenti, con il concorso dell'esecutore materiale avevano quindi realizzato l'opera, peraltro in difformità dal progetto presentato.

In particolare, la falsità ideologica delle relazioni allegate all'istanza e delle autorizzazioni conseguentemente rilasciate era stata ritenuta in relazione all'attestazione di conformità dell'intervento alle norme di legge ed agli strumenti urbanistici, laddove la volumetria edificata - non consentita dall'indice di fabbricabilità del fondo agricolo - era stata ottenuta in base ad un illecito asservimento urbanistico di terreni distanti ed in assenza dei requisiti soggettivi e oggettivi relativi ad un'edificazione connessa all'esercizio di attività imprenditoriale agricola.

Proprio l'esecutore materiale, cioè il costruttore, ricorre lamentando il difetto assoluto di motivazione circa la sua ritenuta responsabilità - correttamente e motivatamente esclusa in primo grado - in ordine alle difformità tra quanto eseguito ed il progetto approvato, deducendo essere stato provato in giudizio che egli realizzò soltanto il rustico della struttura, in conformità al progetto, terminando l'incarico nel 2010, quando fu presentata la fattura di saldo dei lavori. Le opere in difformità, dunque, sarebbero state solo successivamente, da altri, eseguite, senza che la Corte territoriale abbia in alcun modo affrontato l'argomento.

Ricordiamo che la Cassazione ha ribadito che, ai fini dell'integrazione dei reati di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. 380/2001, fatta salva la necessità di ravvisare in capo all'agente il necessario elemento soggettivo quantomeno colposo, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche quando il titolo, pur apparentemente formato, sia (oltre che inefficace, inesistente o illecito) illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia sostanziale di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice e aa., non massimata; nello stesso senso, Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno e a., non massimata). In tali casi - diversamente da quanto ritenuto nella sentenza di primo grado del presente procedimento - la "macroscopica illegittimità" del permesso di costruire non è condizione essenziale per la oggettiva configurabilità del reato, ma l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento soggettivo anche riguardo all'apprezzamento della colpa (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice e aa.).

Verifica della veridicità del titolo edilizio: il costruttore non ne è tenuto

Ricapitolando: al costruttore viene contestato il fatto di non aver verificato il titolo edilizio, che era infatti irregolare

Ma per la Cassazione "il contestato profilo di colpa per non aver adeguatamente controllato la validità dei titoli non è logicamente spiegato",. In altre parole "se - come la sentenza afferma - gli stessi erano ideologicamente falsi, nel senso che consideravano essere stati verificati ed essere sussistenti tutti i presupposti di validità per il loro rilascio, non è chiaro cosa si addebiti al costruttore (...), titolare della omonima ditta individuale edile, con titolo di studio della licenza media". Di più: la sentenza della corte d'appello "non chiarisce cosa avrebbe dovuto fare per accertarne l'invalidità o come egli potesse rendersi conto della loro illegittimità".

La domanda quindi è: cosa avrebbe dovuto fare il costruttore per accertare l'invalidità del permesso di costruire? Forse "andare in Comune e verificare la pratica edilizia per rendersi conto che le autorizzazioni erano state rilasciate in base ad un illegittimo accorpamento di volumetria tra fondi lontani?"

In definitiva la Corte d'Appello, diversamente da quanto fatto dal giudice di priomo grado, ha deciso di condannare il costruttore senza "quella motivazione rafforzata che il consolidato orientamento di questa Corte richiede sul condivisibile presupposto che, in tema di motivazione della sentenza d'appello, per la riforma di una pronuncia assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado (...) ma occorre, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio". Insomma: ci sono troppi dubbi, la sentenza va annullata e il costruttore riabilitato.

La responsabilità del progettista

Il tecnico progettista deduce l'inosservanza di norme di cui si sarebbe dovuto tener conto nell'applicazione della legge penale in ordine al delitto di cui all'art. 480 cod. pen. ed alla contestata falsa attestazione circa la compatibilità ambientale dell'intervento e la valorizzazione del sito, con particolare riguardo al D.P.C.M. 8 luglio 2003 e al d.m. 29 maggio 2008, che fissano le fasce di rispetto in relazione alle linee elettriche di alta tensione, sì che le particelle accorpate erano gravate da vincolo di inedificabilità assoluta. Inoltre lamenta anche violazione dell'art. 429 cod. proc. pen. per mancata indicazione nell'imputazione per il delitto di cui al decreto che dispone il giudizio dei dati ideologicamente falsi che sarebbero contenuti nei provvedimenti amministrativi oggetto di contestazione.

La sentenza impugnata afferma che "dall'esame della pratica edilizia in atti si comprende che" anche il progettista conosceva "perfettamente la normativa applicabile" e che ha "scientemente cercato di aggirarla cercando di conferire all'illegittimo accorpamento da cui derivava l'aumento della volumetria assentibile...una parvenza formale di legittimità nonostante l'assenza dei necessari requisiti. Si pensi, a tal proposito, alla conclamata distanza tra i fondi e all'assenza di ogni collegamento tra il fabbricato assentito e l'attività agricola".

Trattandosi di professionisti del settore, la conclusione è indubbiamente corretta e non vale addurre, in contrario, l'esistenza di un'illegittima prassi in tal senso da parte degli organi comunali. Del tutto logicamente la sentenza impugnata al proposito afferma che l'esistenza di numerose pratiche edilizie nel comune di Castrignano del Capo con il medesimo iter procedurale se mai dimostra come "l'ufficio tecnico di detto Comune e il tecnico comunale, in particolare, nonché i tecnici dei privati fossero avvezzi, per ragioni rimaste sconosciute, a falsificare sistematicamente permessi di costruire e autorizzazioni ambientali per favorire la realizzazione di abitazioni stagionali specie, ma non solo, da parte di persone residenti fuori dal comune".

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