Condoni e Sanatorie | Legno
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Tettoia di legno trasformata in vano abitabile e condono edilizio: come provare la data di costruzione?

Il Tar Lazio, in una recente sentenza, "spiega" come deve avvenire la prova della data di costruzione di un manufatto affinché possa essere correttamente inquadrato il titolo edilizio

Come deve avvenire la prova della data di costruzione di un manufatto affinché possa essere correttamente inquadrato il titolo edilizio?

A questa, importante domanda, risponde il Tar Lazio nella sentenza 8308/2021 dello scorso 13 luglio, relativo al caso del diniego per l'integrazione di un permesso in sanatoria (condono) relativo ad una tettoia di legno, poi diventata vano abitabile.

Il diniego attiene - nello specifico - all'integrazione del 31.3.1995, concernente la realizzazione di “tettoie uso box pertinenze del fabbricato principale, per un totale di 60 mq (Snr)”, dell’istanza di condono presentata dal dante causa del ricorrente il 31.12.1994 per sanare la realizzazione “di un portico in legno al piano terra e del piano primo”.

 

Il caso

Il ricorrente aveva acquistato nel 1995 il fabbricato in relazione al quale il suo dante causa aveva inoltrato al Comune, in data 31.12.1994, un’istanza di condono edilizio ex art. 39 della legge 724/1994, poi accolta, per un portico in legno al piano terra e per il primo piano, e di aver presentato in data 31.3.1995 un’integrazione (dell’istanza stessa) per alcune pertinenze quali box e locale a uso caldaia con superficie di mq. 36.

Chiede, pertanto, l’annullamento del diniego opposto dal Comune su quest’ultima richiesta, prospettando tra l'altro violazione e falsa applicazione degli artt. 10-bis e 2 legge 241/1990, in combinato disposto con gli artt. 35 legge 47/1985 e 39 legge 724/1994; violazione e falsa applicazione dell’art. 20 d.P.R. n. 380/2011.

 

Integrazione del permesso in sanatoria illegittima: ecco perché

Il Tar ricorda che l'atto è motivato sui seguenti rilievi:

  • nel “titolo di proprietà” (atto notarile di acquisto in data 25.1.1995) “non vengono descritti i fabbricati accessori all’abitazione, ma esclusivamente un fabbricato residenziale costituito da piano terra e primo piano […]”, da ciò deducendosi come “gli stessi siano stati realizzati successivamente al 25.1.1995 e pertanto non esistenti al 31.12.1993”;
  • dopo il 31.3.1995 (data dell’“integrazione” al condono) “il portico in legno è stato trasformato in volume residenziale di annesso all’abitazione principale”; sennonché lo stesso ricorrente – a seguito della comunicazione (25.9.2008) dei “motivi ostativi all’accoglimento in parte dell’istanza” – “ha ripristinato il portico in legno al piano terra come da domanda di condono e conformemente alla documentazione fotografica e perizia giurata ad essa allegata e pertanto per lo stesso è stato rilasciato permesso di costruire in sanatoria” (n. 59 del 28.11.2011).

Il Comune ha pertanto respinto l’istanza di condono “limitatamente agli accessori annessi all’abitazione principale […] in quanto realizzati successivamente al 31.12.1993”.

Il diniego - spiega il Tar - riguarda gli “accessori annessi all’abitazione principale come precisamente descritti nell’istanza di condono “integrata”, atto nel quale si parla soltanto della “tettoia installata nel giardino circostante l’abitazione primaria e destinata a box auto” ma non del “locale caldaia (mai menzionato).

Non solo, ma la chiara descrizione del manufatto abusivo impedisce di trarre dalla mera indicazione della “superficie non residenziale” da condonare (mq. 60 x 0,6 al piano terra; cfr. cit. all. 4 ric. e all. 7 amm.) l’inclusione del manufatto stesso nella richiesta di sanatoria (v. mem. 28.4.2021 ric., in cui si sostiene che l’“integrazione” avrebbe avuto a oggetto anche le “pertinenze del fabbricato principale, ossia box e locale ad uso caldaia per una superficie di 36 mq”, in quanto “indicate in tale domanda d’integrazione con l’acronimo “snr” del piano terra”).

Tettoia di legno trasformata in vano abitabile e condono edilizio: come provare la data di costruzione?

Onere della prova: riepilogo delle regole

Per quel che riguarda l'onere della prova, nella sentenza si evidenzia che, per pacifica giurisprudenza:

  • grava esclusivamente sul privato l’onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell’opera edilizia al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio per essere stata l’opera medesima realizzata secondo il regime originariamente previsto dall’art. 31, primo comma, della l. n. 1150 del 1942, ossia prima della novella introdotta dall’art. 10 della c.d. ‘legge ponte’ n. 765 del 1967”;
  • tale onere “discende attualmente, in linea di principio, dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a. in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità”;
  • più in generale, la “giurisprudenza, sia antecedente che successiva all’entrata in vigore dell’attuale codice del processo amministrativo, è comunque ferma nell’affermare che la prova circa il tempo dell’ultimazione delle opere edilizie grava in via esclusiva sul privato, atteso che soltanto questi può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di quanto è stato costruito”.

Nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto al proprio onere di provare la data di realizzazione del manufatto, non potendo esser valorizzati nel senso da lui voluto:

  • né il “rilievo aerofotogrammetrico” o le “fotografie” dell’area interessata, atteso che dall’unica fotografia (presa dall’alto) versata in atti non si riesce in alcun modo a percepire l’esistenza delle tettoie uso box (v. all. 13 ric.);
  • né la “dichiarazione sostitutiva” del 31.12.1994, dal momento che il dichiarante si limita comunque a menzionare (generici) “lavori aggiuntivi sull’immobile”.

 

E il silenzio assenso?

L'ultima parte della sentenza verte sul motivo di ricorso inerente il silenzio-assenso.

L'art. 35 della legge 47/1985 specifica che "decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento".

Ma - spiega il Tar - il silenzio-assenso presuppone "la realizzazione di tutte le condizioni prescritte dalla legge per conseguire il titolo abilitativo, non essendo possibile per silentium ottenere più di quanto sarebbe possibile ottenere con un provvedimento espresso".

In assenza della prova della realizzazione di questi accessori oltre 30 anni fa, non si sarebbe mai potuto formare il silenzio-assenso sull'istanza di sanatoria

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