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Testo Unico Edilizia: serve il permesso di costruire per i locali accessori usati a fini residenziali

I locali accessori e le unità ad uso residenziale appartengono a categorie edilizie non omogenee e come tali autonome. Pertanto, affinché i primi possano essere utilizzati per finalità residenziale, è necessario il permesso di costruire.

Quando si effettua una mutazione (cambio) di destinazione d'uso di alcuni locali, bisogna stare molto attenti all'omogeneità o meno delle categorie edilizie tra il 'prima' e il 'dopo', perché a livello urbanistico cambia davvero tanto.

Cambio di destinazione d'uso con opere e passaggio di categoria edilizia: serve il permesso di costruire

Nel caso della sentenza 6572/2023 del 5 luglio scorso del Consiglio di Stato, ad esempio, ci troviamo di fronte alla presentatazione una DIA (oggi sarebbe una SCIA) per ottenere il mutamento di destinazione d’uso, con opere, da autorimessa e magazzino a residenziale.

Il comune aveva annullato la DIA ed il dichiarante aveva impugnato tale annullamento dinanzi al TAR competente che, in primo grado, aveva respinto il ricorso.

Si arrivava così al Consiglio di Stato, che ha confermato il tutto osservando che i locali accessori e le unità ad uso residenziale appartengono a categorie edilizie non omogenee e come tali autonome, con la conseguente necessità del permesso di costruire affinché i primi possano essere utilizzati per finalità residenziale.

I motivi

"Ciò si giustifica - continua Palazzo Spada - poiché una tale modifica incide sul carico urbanistico e quindi sul calcolo degli standard urbanistici che devono essere conseguentemente adeguati alla maggiore pressione antropica che si determina in conseguenza della maggiore superficie residenziale e dell’incremento dei volumi utilizzabili a fini abitativi. Non può infatti revocarsi in dubbio che nel caso di conversione di superficie accessoria in superficie ad uso abitativo, si determini un aumento di superficie utile, seppur in assenza di aumento di superficie calpestabile, con conseguente incremento della capacità insediativa".

Gli spazi accessori che diventano abitabili

Quindi, anche gli spazi accessori, pur se rappresentano volumi fuori terra, già computati nella volumetria complessivamente assentibile, nascono come volumi accessori e come tali non abitabili giacchè non incidono sulla superficie residenziale e sul calcolo delle volumetrie rilevanti ai fini della determinazione del carico urbanistico, rispetto al quale sono quantificati gli standard e, di conseguenza, anche il contributo di costruzione.

Cambio di destinazione d'uso da deposito ad abitazione: serve il permesso di costruire

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La categoria urbanistica

L'appellant, inoltre, esclude che vi sarebbe modifica della categoria urbanistica in quanto l’immobile in questione già sarebbe qualificabile come residenziale in quanto l’edificio di cui fa parte l’immobile per il quale è chiesto il cambio di destinazione d’uso fa parte della Zona “O” di recupero urbanistico.

Ma il riferimento, segnalato dal ricorrente, contenuto nell’art. 3 del DM 1444/1968 a “negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.” rileva non ai fini della loro destinazione d’uso - che resta quella indicata nel rilascio del permesso di costruire - bensì al solo fine dell’osservanza dei rapporti nella formazione degli strumenti urbanistici di cui all'art. 17, penultimo comma, della legge n. 765, penultimo comma, della legge n. 765, ove si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.).

La maggiorazione di 5 mq è dunque espressamente previstaper le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze” il che, lungi dal confermare la tesi propugnata, dimostra appunto il contrario e cioè che le stime pro capite devono tenere conto anche delle destinazioni “non specificamente residenziali” anche se strettamente connesse con le residenze, come accade per i locali accessori.

Ciò conferma che la categoria urbanistica non muta in ragione della accessorietà rispetto ad unità con destinazione abitativa prevalente, poiché il vincolo pertinenziale non modifica l’ascrivibilità a categorie edilizie che, nel caso specifico, restano non omogenee, in ragione del diverso carico urbanistico a ciascuna riferibile, con conseguente necessità del permesso di costruire per il mutamento in residenziale della destinazione d’uso del locale accessorio, possibilità, nel caso di specie, pacificamente preclusa dalle N.T.A. relative al piano particolareggiato di insediamento dei locali in questione.

E non conta nulla neppure il tema della prevalenza residenziale della destinazione d’uso dell’immobile principale, in forza del disposto dell’art. 23 ter, comma 2, del dpr 380/2001, nella versione all’epoca in vigore, giacchè tale condizione rileva solamente in caso di destinazione mista o promiscua, ipotesi che non ricorre in presenza di distinti immobili con diverse destinazioni d’uso.


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