Terzo condono edilizio: niente sanatoria per le nuove costruzioni ad uso commerciale
In una recente sentenza, Palazzo Spada chiarisce i limiti di applicabilità del condono edilizio previsto dal decreto-legge n. 269/2003 convertito dalla legge n. 326/2003
Si tratta di una legge che, come le due precedenti (primo e secondo condono) a determinate condizioni hanno concesso la sanatoria edilizia di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo.
Il caso
La sentenza 3342/2021 del 26 aprile scorso fa riferimento ad un ricorso - dinanzi al Tar Bari - avverso un provvedimento del dirigente dell’ufficio tecnico comunale con cui è stata rigettata la sua istanza di sanatoria edilizia avente ad oggetto una nuova costruzione destinata ad attività commerciale su un terreno di proprietà.
In particolare, l’interessato ha rappresentato di aver edificato sul proprio suolo due immobili adiacenti e comunicanti e di aver ottenuto, in data 14 ottobre 2005, per un immobile il permesso di costruire in sanatoria con cambio di destinazione d’uso, da residenziale a commerciale, e di aver chiesto, per l’altro, adibito a deposito, la su citata domanda sanatoria del 31 marzo 2004, respinta dal Comune con il provvedimento amministrativo impugnato, preceduto da un preavviso di rigetto, richiamando l’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003, secondo cui le disposizioni sulla sanatoria si applicano alle sole nuove costruzioni residenziali, con conseguente insanabilità delle nuove costruzioni ad uso commerciale.
Terzo condono edilizio: i limiti
L’appellante ha lamentato la violazione da parte del TAR dell’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003 (cd. Terzo condono edilizio).
La doglianza è infondata, in quanto è del tutto corretta l’interpretazione fornita dal collegio di primo grado circa la latitudine operativa dell’art. 32, comma 25 cit., il quale dispone che «Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi».
La giurisprudenza amministrativa, all’esito di un’interpretazione letterale, logica e sistematica della suddetta disposizione ha precisato che il condono edilizio previsto ai sensi dall’art. 32 cit. si applica unicamente in presenza di nuove costruzioni che abbiano destinazione residenziale, non essendo ammissibile, tra l’altro, in presenza di una normativa eccezionale, postulare una sua interpretazione analogica (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 12 dicembre 2012, n. 6381).
Orbene, il Collegio reputa di non doversi discostare da tale approdo ermeneutico, rispettoso della lettera legislativa che riferisce la norma condonistica – e dunque di carattere eccezionale – alle «nuove costruzioni residenziali», escludendo, per tal via, a contrario le nuove costruzioni non residenziali, come quella a carattere commerciale pacificamente realizzata dall’appellante.
In proposito va recisamente esclusa qualsiasi interpretazione di tipo estensivo e a fortiori di tipo analogico, sia in quanto si verte in materia di condono, che è istituto paradigmaticamente e strutturalmente eccezionale, con conseguente applicazione del canone ermeneutico recato dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, sia in quanto la voluntas legis è evidentemente nel senso di escludere i nuovi edifici non residenziali, atteso che l’ampliamento di precedenti manufatti il legislatore non ha fatto distinzioni tra tipi di immobili, mentre ha espressamente ristretto l’area della condonabilità per le nuove costruzioni.
E la circolare del MIT?
Si lamenta, inoltre, la violazione della circolare del MIT n. 2699/05, che avrebbe affermato la condonabilità, ai sensi del citato art. 32, comma 25, delle nuove costruzioni con destinazione d’uso non residenziale, anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti residenziali.
Al riguardo si osserva che le circolari non sono fonti del diritto e non vincolato gli organi giurisdizionali; esse possono avere rilievo soltanto nel concreto accertamento del vizio dell’eccesso di potere, che nel caso di specie è del tutto irrilevante, essendo il provvedimento amministrativo di rigetto totalmente conforme al quadro ordinamentale.
Sul tema la giurisprudenza ha reiteratamente e univocamente sottolineato che le circolari ministeriali non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da esse alcun vincolo neanche per la stessa amministrazione che le ha emanate (cfr. Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 30 settembre 2020, n. 20819, e Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 2 novembre 2007, n. 23031) e a fortiori per un’amministrazione diversa da quella emanante, come nel caso di specie; è stato altresì evidenziato che «Le circolari amministrative non hanno valore normativo o provvedimentale e non assumono carattere vincolante per i soggetti destinatari dei relativi atti applicativi, che non hanno l’onere di impugnarle, ma possono limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che detti atti sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe dovuto essere disapplicata; ne discende, a fortiori, che una circolare amministrativa contra legem può essere disapplicata anche d’ufficio dal giudice investito dell’impugnazione dell’atto che ne fa applicazione, anche in assenza di richiesta delle parti» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 28 gennaio 2016, n. 310; in termini identici anche Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 4 dicembre 2017, n. 5664; in tal senso cfr. inoltre, ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 17 aprile 2018, n. 2284, 8 gennaio 2016, n. 30, Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 29 novembre 2013, n. 5714).
Posto che «le circolari non hanno carattere vincolante per l’interprete, fungendo da mero indirizzo per le amministrazioni chiamate ad applicare la normativa primaria» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 6 agosto 2014, n. 4196), il palese contrasto della circolare richiamata dall’appellante e la chiara lettera della legge (il cui ambito di applicazione è stato vagliato nel precedente paragrafo) non può che comportare l’irrilevanza della prima ai fini del decisum giurisdizionale.
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