Terremoto Centro Italia del 1997: dopo 25 anni, cosa ci ha insegnato dal punto di vista tecnico?
Il 26 settembre del 1997 un forte terremoto colpiva l’Italia centrale, in una zona dell’Appennino situata fra l’Umbria e le Marche, causando 11 morti, 100 feriti e il danneggiamento grave di circa 80.000 edifici.
Si ebbero due forti scosse sismiche nel giro di poche ore. Una, la prima, di magnitudo 5.7 avvenne alle 2.33 di notte con epicentro a Cesi (vicino a Colfiorito e Serravalle del Chienti). La seconda, di magnitudo 6.0, e con epicentro ad Annifo (Perugia), colpì poco prima di mezzogiorno la zona a nord di Cesi, dove c’era stata la prima grande scossa.
Di quel terremoto rimangono indelebili anche le immagini del crollo della volta nella Basilica di San Francesco ad Assisi che diede un durissimo colpo al nostro patrimonio artistico e archeologico.
Con Ingenio abbiamo intervistato alcune figure per avere qualche commento dopo 25 anni da quel tragico evento.
Qui l'intervista ad Antonio Borri, Professore dell'Università di Perugia.
Il ricordo di Antonio Borri del terremoto del 1997
Caro Antonio,
il 26 settembre ricorrono i 25 anni delle due importanti scosse sismiche che colpirono il centro Italia, in particolare l’Umbria nel lontano 1997, una di magnitudo 5.7 e l’altra di 6.0. Il terremoto provocò danni importanti al patrimonio storico, residenziale, industriale e infrastrutturale e, purtroppo, anche alcuni decessi. Hai ricordi di quel giorno e di quanto successe?
La mattina del 26 settembre 1997 ero a casa, a Firenze (ancora non mi ero trasferito a Perugia) quando, verso le 8.00, mi chiamò l’Ing. Luciano Tortoioli, Direttore della Regione Umbria, per dirmi che nella notte c’era stata una scossa importante e che loro stavano organizzando il COM a Foligno. Mi chiese di raggiungerlo, cosa che feci subito, arrivando lì giusto in tempo per “beccarmi” la scossa principale, quella delle 11.40 (Mw 6.0). Ricordo che in quel momento ero con Tortoioli, nel prefabbricato che avevano scelto come Centro Operativo, che ballò spaventosamente per molti secondi. Ovviamente ci rendemmo subito conto della gravità della situazione e da lì cominciò tutta la fase organizzativa per il rilevamento dei danni.
Tu in quel periodo eri già professore di Scienza delle Costruzioni presso l’Università di Perugia. Foste direttamente coinvolti nella gestione dell’emergenza?
Collaboravo già da molti anni con la Regione su tematiche sismiche, anzi, ero arrivato in Umbria proprio per alcuni studi sulla vulnerabilità sismica di Gubbio che facemmo nel 1986/87 (allora ero all’Università di Firenze, allievo del Prof. Giuliano Augusti).
Pochi giorni prima del sisma del 26 settembre, con l’Ing. Tortoioli avevamo presentato al convegno ANIDIS di Taormina un articolo sull’attività svolta con la Regione Umbria in ambito sismico. Certo non potevamo immaginare che di lì a poco saremmo stati impegnati su questo argomento direttamente sul campo. E invece è stato così: già la mattina successiva al sisma eravamo sul piazzale del COM di Foligno, con un megafono in mano, a spiegare ad un foltissimo gruppo di tecnici (che immediatamente si erano resi disponibili), cosa fare per rilevare i danni con una scheda che avevamo approntato in Regione Umbria (a quel tempo non c’era ancora la scheda AeDES). Iniziò così la lunga fase dei sopralluoghi.
Uscì poi la legge 61/1998 sulla ricostruzione, il cui principio di base era quello del decentramento; lo Stato centrale stabiliva i criteri generali, lasciando alle Regioni il compito di fissare le norme di dettaglio. Venne quindi formato il CTS - Comitato Tecnico Scientifico per l’Umbria (le Marche fecero la stessa cosa) dove venni chiamato.
Operammo molto intensamente e per molti anni, predisponendo le direttive tecniche, fornendo indicazioni e pareri su casi di interesse generale e promuovendo una serie di ricerche indirizzate alla ricostruzione.
Dal terremoto del 1997 una nuova cultura tecnica soprattutto per il consolidamento degli edifici in muratura
Il terremoto del 1997 viene spesso ricordato come un terremoto didattico, perchè ?
Il sisma umbro-marchigiano del 1997 ha portato ad una importante evoluzione e ad una forte accelerazione negli studi e nella crescita delle conoscenze scientifiche, in particolare del comportamento sismico delle costruzioni esistenti in muratura.
Quel sisma è stato definito come un terremoto "didattico" perché ha consentito una proficua osservazione di una ampia varietà di comportamento e di risposta sismica delle costruzioni in muratura: dai crolli totali ai danneggiamenti di diversa entità e tipologia.
Tra le conseguenze di tali osservazioni vi è stata la rimozione di alcune false certezze sull’efficacia di quegli interventi di consolidamento che, fino a quel punto, venivano considerati quasi obbligatori, interventi che trasformavano la fabbrica muraria in un ibrido tra elementi di muratura ed elementi in cemento armato, con le incoerenze e le incompatibilità che ne conseguono.
Si abbandonò allora l'idea semplicistica che cordoli in breccia, solai in laterocemento, iniezioni e intonaci armati fossero in grado, di per sé, di rendere sicuro un edificio in muratura e si comprese che gli interventi non possono prescindere da una approfondita conoscenza del linguaggio costruttivo e dell'effettivo comportamento strutturale delle costruzioni murarie.
Le generazioni di tecnici che sono uscite da quell’evento e dalla ricostruzione che ne è derivata, pur provenendo da studi dove la cultura dominante era quella del cemento armato, hanno cominciato ad affrontare in modo più appropriato le problematiche degli edifici in muratura e hanno compreso come gli interventi invasivi e pesanti comportino non solo una perdita di autenticità della costruzione, ma anche, spesso, maggiori problemi strutturali.
Questo è stato messo in luce proprio dagli eventi sismici del 1997, quando si sono verificati numerosi casi negativi proprio per edifici in muratura che erano stati oggetto di adeguamento antisismico negli anni precedenti.
Le analisi condotte su alcune di queste costruzioni in Valnerina (si veda, in particolare, lo studio fatto per gli edifici di Sellano), consolidate dopo il terremoto del 1979 e gravemente danneggiate dal sisma del 1997, misero in evidenza l'inefficacia dei collegamenti tra cordoli in c.a. e murature verticali, a causa, essenzialmente, di una qualità muraria inadeguata.
Fu allora che, in particolare, emersero le problematiche dei cordoli in breccia, e per questo, come Comitato Tecnico Scientifico, sconsigliammo tale tipologia di intervento nelle direttive tecniche per la ricostruzione.
Bisogna ricordare che, prima del 1997, i cordoli in breccia erano addirittura imposti ai progettisti da vari organi di vigilanza e di controllo sulle costruzioni.
La comprensione di queste problematiche ha portato ad una nuova cultura tecnica; sono stati dimenticati quei termini come "tetto antisismico" o "solaio antisismico" e sono state privilegiate soluzioni leggere, con legno o acciaio, evitando quelle tecniche che non davano garanzie di un buon funzionamento.
Per rendersi conto di quante cose siano cambiate dal 1997 in avanti, basta andare a vedere quella che era la normativa di allora (DM 96). Pochi (e poco ascoltati) erano coloro che parlavano di meccanismi di collasso in una fabbrica muraria; il POR era lo strumento utilizzato per l'analisi delle costruzioni in muratura e le tecniche di intervento erano quelle che trasformavano la fabbrica muraria, sostituendo i solai lignei con i ben più pesanti solai in laterocemento, spesso solo per rispettare le ipotesi necessarie per fare il calcolo con il POR.
A partire da allora, molta strada è stata fatta nella corretta direzione: basta leggere l'Ordinanza 3431/2005, trasferita poi integralmente nella circolare esplicativa delle NTC 2008, le Linee Guida per l'applicazione delle Norme Tecniche ai Beni Culturali, le Istruzioni CNR DT/200.
Le modalità di analisi delle costruzioni in muratura esistenti passano oggi attraverso l'analisi dei cinematismi locali, le metodologie di intervento sono rivolte a conservare le caratteristiche architettoniche e storiche degli edifici in muratura e l'approccio metodologico nello studio e nell'analisi di una costruzione muraria tiene conto in modo corretto delle peculiarità di queste costruzioni.
Se si legge il capitolo dedicato alle costruzioni in muratura del “Manuale della ricostruzione post sismica della Regione dell'Umbria”, che scrissi nel 1999 con Antonio Avorio e Giovanni Cangi, e lo si confronta con quanto venne poi scritto, per le costruzioni esistenti in muratura, nella circolare esplicativa delle NTC 2008, ci si può rendere conto di quanto l'esperienza umbra di quegli anni abbia contribuito al panorama scientifico e normativo nazionale.
Ci impegnammo anche nel divulgare le esperienze di quel periodo, prima attraverso i molti corsi che facemmo come Centro Studi Mastrodicasa in tutta Italia, e poi con il Master in “Miglioramento sismico, restauro e consolidamento del costruito storico e monumentale” che fondai nel 2002 e che ancora oggi, dopo venti anni di attività, rimane il Master di riferimento, a livello nazionale, per gli ingegneri e gli architetti che si interessano di questo argomento.
Dal terremoto alla prima NTC che tiene conto della sismica in modo significativo passarono 8 anni. Perchè le norme ci mettono così tanto tempo a recepire le informazioni che provengono dall’esperienza sul campo?
In effetti, passarono anche più di otto anni, perché né l’OPCM 3431 scritta nel 2005 (ed io partecipai alla commissione che scrisse la parte degli edifici esistenti in muratura) né le NTC del 2005 entrarono mai in vigore. Bisogna aspettare le NTC del 2008 e soprattutto, per le murature esistenti, la circolare del 2009 (quindi ben 12 anni dopo!) per vedere un avanzamento normativo vero e proprio. E quello tra la fine degli anni ’90 e il 2009 non fu un periodo “felice” per le costruzioni murarie esistenti, con una norma come il DM 96 (peraltro di tipo prescrittivo) che era molto lontana dalla realtà delle murature.
Bisogna comunque riconoscere che la predisposizione, o anche solo l’aggiornamento, di una norma tecnica rappresenta un problema complesso, specie per situazioni molto articolate come quelle delle NTC.
In ambiti più circoscritti, come ad esempio per le Linee guida per i BBCC (DM 9.2.2011), le cose sarebbero più semplici, eppure ancora non sono state aggiornate e quelle in vigore fanno tuttora riferimento alle vecchie NTC del 2008….
Quanto fu utile il «cantiere umbria» per l’innovazione tecnologica sugli interventi di miglioramento degli edifici esistenti ? ci furono delle innovazioni tecnologiche sviluppate in quegli anni che ritroviamo ancora oggi ?
Una risposta di tipo generale sarebbe troppo complessa; qui posso dire qualcosa su quanto ho fatto io, insieme ai miei collaboratori, in quegli anni.
Fino al 1997 mi ero interessato solo di materiali compositi e di vulnerabilità sismica degli edifici in muratura. Quello che conosco oggi del comportamento delle murature e di interventi su di esse l’ho imparato dal 1997 in poi, grazie a persone come Antonino Giuffrè, Sergio Lagomarsino, Michele Candela e Giovanni Cangi, per citare solo quelli con i quali ho avuto le maggiori occasioni di apprendere.
Ho avuto anche la fortuna di aver avuto, come collaboratori, persone in gambissima, che voglio citare: Antonio Avorio, Andrea Grazini, Alessandro De Maria, Marco Corradi, Romina Sisti, Giulio Castori, Riccardo Savelli, Giuseppe Paci e Chiara Quintaliani.
Insieme poi a professionisti capaci ed affermati, come Andrea Giannantoni e Riccardo Vetturini, ho avuto la possibilità di sperimentare sul campo molte delle idee che scaturivano dalla ricerca, in particolare per le tecniche di intervento innovative sugli edifici in muratura.
Con loro, dal 1997, abbiamo scritto più di 300 articoli scientifici, molti dei quali pubblicati su prestigiose riviste internazionali, e citati ancora oggi da molti ricercatori in tutto il mondo.
Ci tengo poi a ricordare le ricerche e gli interventi realizzati con FRP e presentati già all’ANIDIS del 2004 (ancor prima del documento CNR-DT200), quelli con gli SRG (che ora rientrano negli FRCM) nel 2007, e poi, nel 2013, quelli con il CRM (con FibreNet) e quelli con i diatoni artificiali ad espansione (con Bossong).
Ricordo, infine, le ricerche con le quali abbiamo introdotto due metodiche di carattere pratico ed operativo, ormai conosciute e utilizzate nel mondo professionale: il metodo dell’Indice di Qualità Muraria (IQM), proposto già nel 2002 per una ricerca fatta con la regione Umbria, e la tecnica del “Reticolatus” per il rinforzo di murature faccia vista, ideata nel 2007 e poi sperimentata a lungo (anche su edifici reali) con Fibre Net.ature faccia vista, ideata nel 2007 e poi sperimentata a lungo (anche su edifici reali) insieme alla Fibre Net.
Dopo 19 anni il centro Italia è tornato ad essere colpito, in particolare Norcia, molto vicina ai due epicentri del 1997. In questo caso gli edifici residenziali hanno resistito. Questo dimostra che l’ingegneria - quando ben approcciata - può portare a progetti e interventi di miglioramento efficaci anche in assenza di norme ? l’ingegneria ha bisogno di classificare gli interventi per poter essere di qualità ?
Nel caso del consolidamento delle costruzioni in muratura, un’ingegneria “ben approcciata” è quella che è consapevole delle problematiche di questi edifici e cerca, se non di eliminarle, almeno di limitarle, a prescindere da etichette o classificazioni normative.
I princìpi da seguire, secondo questo approccio, sono chiari e semplici:
1) se l’edificio non ha una qualità muraria sufficiente a rispondere in modo strutturale, bisogna migliorare la qualità muraria;
2) se gli elementi strutturali (pareti, orizzontamenti, copertura) non sono ben collegati tra loro, bisogna collegarli efficacemente;
3) se ci sono problematiche e carenze di tipo locale (cavità, pilastri in falso, solai sfalsati, interazioni con strutture adiacenti, etc) occorre intervenire su di esse per limitarne i possibili effetti negativi.
Il caso di Norcia è emblematico: hanno risposto bene gli edifici che erano stati rinforzati, in particolare dopo il sisma del 1979, seguendo le regole suddette. A Norcia, pur seguendo princìpi oggi non più condivisibili (vedi sostituzioni dei solai e delle coperture lignee con strutture in c.a.) le murature verticali vennero rinforzate e furono collegati in modo efficace i solai alle murature.
In tutti questi casi la risposta, nel 2016, è stata positiva: ci sono stati danni, ma non crolli (con pieno rispetto quindi dello SLV).
Gli edifici dove invece erano stati fatti interventi parziali (come, ad esempio, solo la sostituzione di solai e coperture) sono crollati, totalmente o parzialmente.
La normativa attuale facilita questo “buon approccio”, privilegiando gli interventi locali, nei quali possono rientrare tutti i punti prima detti, perché, per migliorare la qualità muraria, in molti casi può essere sufficiente un intervento leggero (si veda quanto suggerito nell’Ordinanza n. 44 del 18/12/17 del Comm. per il Sisma 2016) che non modifica il comportamento globale (e quindi rientra tra gli interventi locali) ma può essere capace di evitare quei fenomeni disgregativi delle murature che spesso sono stati responsabili dei disastri.
Ovviamente, quando questo non basta perché ci sono carenze più sostanziali (per fare solo un esempio: area resistente insufficiente o non adeguatamente disposta), occorrerà fare diversamente.
Il terremoto del 1997 è ricordato anche come terremoto di Assisi, per i gravi danni riportati dalla basilica e dagli affreschi di Giotto. Allo stesso modo il terremoto del 2016 è ricordato per il crollo della basilica di San Benedetto. Cosa è successo ? perchè gli edifici dopo 19 anni hanno resistito e i monumenti storici no ? il crollo di Norcia ci ha insegnato qualcosa ?
Il problema sta tutto nella capacità di comprendere la necessità di un intervento e di attuarlo o, se si parla delle Soprintendenze, di farlo attuare.
Gli edifici ordinari hanno il grosso vantaggio, rispetto a quelli “tutelati”, di non essere “tutelati” (!).
A Norcia, ad esempio, gli edifici “non tutelati” hanno potuto ricevere quegli interventi che erano necessari in una zona sismicamente così pericolosa. Gli edifici “tutelati”, invece, si sono trovati di fronte tutti gli impedimenti e le restrizioni poste dalle Soprintendenze. Restrizioni spesso di tipo ideologico, connesse ad un malinteso senso di conservazione, che poi, nei fatti, ha avuto come esito quello di conservare solo le macerie rimaste a terra dopo il sisma: basta guardare le chiese del centro di Norcia (ma non solo).
Mi viene in mente, a questo proposito, una frase (chiedo scusa, ma non ricordo di chi) che, per tutti coloro che hanno a cuore la conservazione (in vita) di queste costruzioni, rappresenta un auspicio: “Azione che tutela e non conservazione che distrugge!”.
Detto in altri termini: nelle zone ad alto rischio sismico, solo una “conservazione attiva”, che tiene in debito conto le problematiche di una costruzione in quel contesto, può tutelarla efficacemente, mantenendola in vita per le generazioni future.
Il crollo di Norcia ci ha insegnato qualcosa? Purtroppo, temo che nemmeno gli innumerevoli e disastrosi crolli delle chiese a Norcia e nelle altre zone abbiano insegnato qualcosa a coloro che, senza assumersi alcuna responsabilità per le possibili conseguenze sulle persone, continuano ad imporre la propria visione (di parte) limitando chi potrebbe fare gli interventi necessari per evitare i crolli.
Personalmente, anche per l’avanzare degli anni (sic!), sono serenamente rassegnato. Spero comunque che, “colà dove si puote ciò che si vuole" (ved. dove ci sono le competenze sulla sicurezza delle persone nelle costruzioni), si consideri che a quanti dovessero restare sotto le macerie non importa poi molto se quello gli è crollato addosso fosse un “bene tutelato” o meno…
Sismica
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