Sismica
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Terremoti, ipocrisia e memoria corta. Mentre in Myanmar si contano i morti noi rimandiamo la polizza contro le catastrofi

In Myanmar la terra ha tremato e ha spazzato via tutto: case, scuole, ospedali, vite. Ma a tremare davvero dovrebbe essere la nostra coscienza. Ogni sisma nel mondo ci sbatte in faccia le stesse immagini viste in casa nostra. Eppure, in Italia, a crollare per primi sono la memoria e il coraggio politico. Sempre. Sistematicamente. Vergognosamente.

In Myanmar, un terremoto ha raso al suolo case, scuole, ospedali, ponti. Si contano i morti, i feriti, i dispersi. Il dolore è ovunque, la devastazione è totale. Immagini che abbiamo già visto: L’Aquila, Amatrice, Norcia, l’Emilia. Un déjà-vu tragico che parla anche di noi, del nostro Paese. Ma che ci riguarda solo a metà. Solo chi ha sporcato le mani tra le macerie — i tecnici, i volontari, i cittadini comuni — ricorda davvero. Loro sì, ricordano. Ricordano il freddo dei sopralluoghi, le notti in tenda, le case da dichiarare agibili, i rifiuti da sgomberare, gli aiuti offerti con generosità e senza riflettori.

Gli altri, quelli delle passerelle col tricolore d’ordinanza e l’auto blu parcheggiata a un metro dalla disperazione, no. Loro no. Ricordano solo di piangere davanti alle telecamere, salvo poi dimenticare il giorno dopo. Ipocriti di professione. Hanno stanziato fondi — soldi nostri — per la ricostruzione e poi sono tornati nei palazzi a dimenticare, a rimandare, a seppellire ogni riforma sotto la burocrazia.

Il Sismabonus? Un contentino. Un alibi. Un paravento per dire: “abbiamo fatto qualcosa”. Poi hanno pompato ogni altro incentivo – il Superbonus, l’Ecobonus, il Bonus facciate – e chi se ne frega se l’edificio resta una trappola mortale, l’importante è rifare il cappotto e farsi belli con i voti. Soldi pubblici spesi per coprire crepe strutturali con metri quadri di intonaco e vernice. Con i soldi dei bonis abbiamo comprato mobili, monopattini, televisori. Ma non sicurezza. Abbiamo comprato consenso.

E mentre in Myanmar si piange, qui si rinvia ancora l’obbligatorietà della polizza contro i rischi catastrofali. Perché siamo il Paese del “poi vediamo”, dell’eterno cantiere legislativo, della barzelletta perpetua. Il Paese che aggiorna il Testo Unico delle Costruzioni con la lentezza di un bradipo, mentre le scosse non aspettano. Il Paese che investe in armi ma non combatte l’arma più infida di tutte: il terremoto.

E noi? Noi li invitiamo ai convegni, li facciamo parlare. Ministro, Onorevole, Senatore. Arrivano in ritardo, sparano slogan a effetto e se ne vanno senza ascoltare nulla. E noi ci vantiamo pure. Selfie, comunicati, post celebrativi. Ma basta! Basta incensare chi ci prende in giro. Facciamo nomi e cognomi. Non basta un “giorno della prevenzione del rischio sismico”, servono anni di mobilitazione, quotidiani atti di responsabilità.

Consigli Nazionali, Associazioni, colleghi, non basta il KIT delle emergenze, ennesima presa in giro di questa politica transnazionale, mettiamoci davanti alle porte dei palazzi ogni giorno, come Greta Thunberg ha fatto per il clima. Ma per chiedere prevenzione, competenza, visione. Investiamo nella sicurezza del nostro futuro. O continueremo a scavare tra le macerie. Materiali e morali.

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