Superbonus e pianificazione territoriale. Cosa c’entrano?
E' tempo di bilanci e molti sono i punti di vista degli effetti del Superbonus. Di sicuro è mancata una visione ampia delle nostre città. Sono mancate quelle strategie territoriali che stimolassero la rigenerazione urbana e trasformassero i tessuti urbani in moltiplicatori locali di rinnovamento. Un'occasione persa. Le considerazioni di Flavio Piva, ingegnere urbanista e membro del Direttivo CENSU.
Quali effetti ha portato il Superbonus?
Certamente servono dati reali e studi specifici ma l’evidenza empirica degli effetti del Superbonus sul territorio appare veramente scarsa.
Più in generale si può dire che i diversi regimi di bonus nell’edilizia hanno influito positivamente sulla rigenerazione tecnologica di molti edifici ma poco e nulla hanno contribuito a rigenerare, come urbanisticamente intendiamo, parti di città anche piccole.
La sostenibilità economica dei bonus sul bilancio dello Stato viene, oggi, drammaticamente messa in discussione ma servono ragionamenti a sangue freddo per non giungere a conclusioni sommarie.
Vi è certo stata un’esplosione dei costi, prevedibilissima visti i pochi pesi e contrappesi previsti dalle norme e la pratica espulsione del tecnico progettista e D.L. dal suo ruolo di controllore e di gestore dei conflitti di interesse del processo costruttivo.
Gli effetti li vediamo e penso che rischiano di durare a lungo perturbando gravemente il mercato delle costruzioni e lo stesso meccanismo di formazione delle rendite immobiliari e non ultimo la fattibilità dei lavori PNRR e delle ricostruzioni post sisma.
Cosa è mancato? Di sicuro una visione della "città del futuro"
Sullo sfondo, dimenticato del tutto, una mancanza grave di dibattito sulla città del futuro.
Una cosa è certa. Da troppo tempo si stanno operando scelte di supporto al settore edilizio senza tenere conto dei principi di pianificazione e programmazione territoriale.
Gli esiti negativi sono stati denunciati spesso dagli urbanisti e non recepiti; forse perché si è utilizzato un vocabolario politico-burocratico poco efficace e contenuti poco comprensibili perché si sono usati i modi terminologici di quella che io chiamo “burourbanistica”.
E comunque le analisi accademiche e le ricette burocratiche fatte di strumenti e procedure edilizio-urbanistiche si mostrano gravemente insufficienti.
Convegni e tesi di metodo servono solo parzialmente, le ricette della finanza sono spesso autoreferenziali, le esperienze di successo si limitano a Milano mentre tutto il patrimonio immobiliare italiano diffuso, amato dai suoi proprietari e palestra delle migliori imprese edili del mondo è dimenticato dalla politica.
Si è proceduto con mal detti “piani casa” che altro non sono che contributi a pioggia che hanno sì alleviato la crisi del settore ma che hanno confuso gente e territori.
Cosa manca?
L'umiltà della sperimentazione libera sul campo, una moderna professionalità (developers) diffusa, innovazione spinta nel cantiere, liberazione dalla burocrazia formale (progetto libero, progetto libero e progetto libero).
I bonus hanno inciso su edifici posti non in luoghi vuoti ma immersi in tessuti urbani dove avrebbero potuto essere moltiplicatori locali di rinnovamento.
Ma così non è stato. La loro casualità localizzativa li rende inutili a questo fine; hanno certamente tenuto in piedi un settore economico in anni bui ma senza strategie territoriali non hanno avuto esiti di stimolo per la rigenerazione urbana che oggi serve come il pane a tutti.
Dal punto di vista di un ingegnere urbanista vi sono più evidenze empiriche: la negazione che si è voluta operare verso preventivi atti di pianificazione; la mancata ricerca di un effetto città; la negazione di progetti generali o convenzionati; la mancanza di progetti connessi, infrastrutturali, di spazi pubblici, di ERP, ecc.; la mancata innovazione tecnica e della formazione progettuale per il futuro; la indifferenza verso il ruolo del progettista/mediatore libero professionale.
Ma era impossibile fare altrimenti, presto, e forse anche bene?
No sicuramente, se solo si fosse avuto memoria del nostro passato di progetti e degli esempi esteri vicini di successo.
Pensiamo a come avrebbe potuto fare massa critica il monte rilevante di finanziamenti pubblici erogati, con il trascinamento dei fondi dei piccoli proprietari, con il ruolo di moderni “developer” di professionisti aggregati e di Parternariati Pubblico-Privato gestori di forme di finanziamento innovative di finanza e team di progetto.
Se i controlli di congruità e legalità non fossero affidati ex post a un’Agenzia delle Entrate cerbero a-tecnico inadatto ma invece ad una categoria tecnica di fiducia.
Se pensiamo a questo, anche oggi possiamo trovare il bandolo della matassa intricata delle conseguenze del Superbonus che attraversano tutto e tutti e che, oggi esplose, mettono a nudo riforme non fatte e comportamenti eticamente deplorevoli che hanno selezionato verso il basso un settore che ha costruito le cento città del nostro Belpaese.
Una nuova Legge Urbanistica Nazionale non è possibile oggi.
Credo però che si possa operare a legislazione costante o con poche modifiche, con gli strumenti attuativi esistenti Piani d'Ambito Convenzionati o simili a, co-finanziati secondo modelli nuovi che i Comuni stanno provando ad introdurre insieme alla finanza ma attualmente incapaci di attivare quella gran parte del risparmio italiano “che in questo momento è sotto il materasso dei conti correnti.
Strumenti nuovi tali da "reindirizzare i soldi dei privati cittadini nell’area tradizionale dell'immobiliare o meglio della propria casa ad esempio con i PIR (Piani individuali di risparmio) che potrebbero essere indirizzati in una versione ‘smart’ verso le aziende che si occupano di innovazione tecnologica (cit. Carlo Alberto Carnevale Maffè).
Dal punto di vista del progetto, se si accetta l'idea che la sperimentazione sia base di innovazione professionale, allora pensiamo anche ad organizzare “Zone Professionali Speciali” dedicate alla pianificazione di rinnovo e di rigenerazione urbana per creare nuove parti di città sostenibili e futuribili.
Il nome richiama le zone economiche speciali cinesi che non sono un territorio ma un modello organizzativo. Chi lavora e opera nella rigenerazione dovrebbe avere regole e modelli organizzativi specifici diversi. Un’idea potrebbe essere quella di creare un ambiente di progettazione integrata sul modello, in parte, delle “agence d'urbanisme” francesi ma operativo su piani e progetti privati da ammettere a deroga normativa e procedurale.
In questo senso, quindi, potrebbero essere concepite norme o leggi speciali o delegificazioni in un quadro nazionale e di dettaglio regionale che rendano possibile concedere, per esempio, una zona franca organizzativa speciale invece di iper-regolamentare in maniera molto frammentata ogni separata azione edilizio-urbanistica. Modello di riferimento la legislazione speciale che le Regioni FVG e Marche emisero per la ricostruzione post terremoto.
Grande attenzione, infine, andrebbe data alla parte relativa alla formazione di figure moderne di "developer"; questa figura, vincente e diffusa nell'estero anglosassone, manca nella realtà italiana e non è nemmeno lontanamente ipotizzata dalle scuole tecniche e dalle università. Nella sperimentazione sul campo si potrebbero anche formare figure di questo tipo, in collegamento tra Ordini professionali, impresa, centri di eccellenza universitari e Pubblica Amministrazione.
C’è molto lavoro da fare.
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