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Storia del laterizio: i mattoni quadrati di Roma

Per la produzione romana di età imperiale dei mattoni cotti il modello di origine – più che i formati di tradizione ellenistica dal forte spessore e notevole peso – è costituito dalle tegole piatte di ampie superfici.

Le tegole romane piatte di ampie superfici

Per la produzione romana di età imperiale dei mattoni cotti il modello di origine – più che i formati di tradizione ellenistica dal forte spessore e notevole peso – sarà costituito, come già evidenziato, dalle tegole piatte di ampie superfici.

Con pezzi di tegole si realizzeranno le prime cortine murarie che evolveranno più tardi, in forme mature, verso il sistema costruttivo dell’opus testaceum.

Le tegole piane con risvolti laterali, insieme ai coppi, rappresentano – al pari di altre civiltà mediterranee – anche per i romani i più antichi prodotti di argilla cotta usati nelle fabbriche edilizie.

Da questi elementi, con una certa originalità di trasferimento applicativo, gli ingegneri e i costruttori di Roma ne derivano il mattone cotto che renderà grandiosa e spettacolare sotto il profilo spaziale l’architettura imperiale. 

I romani, a partire dal principato di Augusto, usano nelle loro costruzioni mattoni cotti di configurazione quadrata le cui dimensioni sono multipli – o sottomultipli – del piede (il pes, di 29,6 cm) da cui ne scaturiscono le loro stesse denominazioni:
  • bipedales: 59,2 x59,2 cm (2 piedi di lato);
  • sesquipedales: 44,4 x 44,4 cm (1,5 piedi di lato);
  • bessales: 19,7x19,7 cm (2/3 piedi di lato);
  • pedales 29,6x29,6 cm (1 piede di lato) più raramente usato.
Lo spessore oscilla, generalmente, fra i 3,5 e i 4,5 cm vista la sua derivazione dalla tegola piana; spessori maggiori contrassegnano, invece, come già evidenziato, le produzioni della Cispalpina.
 
Generalmente i bessales, e frequentemente i sesquipedales, sono tagliati lungo le diagonali in elementi triangolari per poi essere impiegati nella formazione delle cortine in opus testaceum, mentre i bipedales, di produzione più impegnativa, sono utilizzati interi più raramente nei muri o dimezzati in due rettangoli.
L’operazione della riduzione dei mattoni in sottomultipli è effettuata mediante l’uso di arnesi metallici, quali la sega o la martellina, che consentono di ottenere linee e superfici di rottura sostanzialmente regolari.
 
La consuetudine di fabbricare mattoni quadrati per poi usarli prevalentemente in sottomultipli, ottenuti “a rottura” con lente operazioni manuali in cantiere, può apparire come un’incongruenza, che – a ben riflettere – è solo apparente.
Tale procedimento è giustificato da molteplici vantaggi sia di tipo produttivo (il quadrato, in virtù dell’equivalenza dei lati, comporta minori deformazioni in fase di essiccazione e di cottura dei prodotti laterizi), sia di tipo logistico (legati al più facile trasporto e al più razionale immagazzinamento in fornace e in cantiere), sia di tipo costruttivo (per specifica funzionalità applicativa nell’opus testaceum e maggiore presa con la malta nella fase di posa in opera).
 
Inoltre gli scarti, i piccoli frammenti, la stessa polvere di laterizio risultanti dalle operazioni di taglio dei mattoni quadrati sono impiegati, con grande genialità, sia nelle realizzazioni pavimentali in cocciopesto (il famoso opus signinum) che nella composizione di intonaci idraulici o anche mescolati Mattoni quadrati di Roma come materiale inerte nella calce o nel conglomerato a base di pozzolana.
 
«Lo scopo per cui i romani costruivano soltanto mattoni quadrati – scrive Giuseppe Lugli – era triplice. Primo: procedere alla forma e alla cottura solo di alcuni tipi, in modo da evitare il lavoro minuto di tanti piccoli stampi separati; secondo: avere in fabbrica un materiale di dimensioni uniformi che poteva essere adattato a tutti gli scopi; terzo: il mattone spezzato in modo irregolare nella parte interna, che andava a contatto con l’opera cementizia, forniva una presa molto maggiore con questa, che non il mattone a lati retti e lisci. Per questo motivo il laterizio fratto, con bordi rustici, fu preferito a quello triangolare, con i margini arrotati, nella maggior parte dell’età imperiale.»
 
L’impiego dei mattoni interi è limitato ad applicazioni particolari; oltre che nei ricorsi di legamento a tutto spessore delle murature viene comunemente adottato nelle architravature delle piattabande, nelle ghiere degli archi, nelle costolature delle volte, nelle pavimentazioni, nelle suspensurae ecc.
 
Abaco dei mattoni quadrati d’epoca imperiale. Da ADAM (1988).
 
Abaco dei mattoni quadrati d’epoca imperiale. Da ADAM (1988).
 
In forme fratte il mattone romano è adottato soprattutto nelle cortine dell’opus testaceum.
 
I sottomultipli più ricorrenti ottenuti dalle operazioni di taglio sono:
  • per i bessales, 2 elementi (19,7x19,7x20 cm) o 4 elementi triangolari (14x14x19,7 cm) ;
  • per i sesquipedales, 4 elementi quadrati (22,2x22,2 cm) o 8 elementi triangolari (22,2x22,2x 31,4 cm) ;
  • per i bipedales, 9 elementi quadrati (19,7x19,7) o 18 elementi triangolari (19,7x19,7x27,8 cm).
 
In epoca imperiale i mattoni quadrati più comunemente destinati al taglio lungo le diagonali sono i bessali, meno frequentemente i sesquipedali e ancor più raramente i bipedali; questi ultimi (che risultano, fra tutti, i formati più costosi a causa dell’impegnativa produzione e soprattutto cottura) saranno impiegati interi per la formazione di ricorsi che attraversano tutto lo spessore murario o, in altri casi, ridotti in due rettangoli e utilizzati per la costruzione delle ghiere degli archi e delle volte.
 
 
Mattoni con solchi diagonali praticati prima della cottura. Foro di Scolacium.
 
Mattoni con solchi diagonali praticati prima della cottura. Foro di Scolacium.
 
 

Articolo tratto dal libro STILE LATERIZIO II - I laterizi cotti fra Cisalpina e Roma - Capitolo 6

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