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Stato legittimo, presunzione di legittimità e garanzie sostanziali degli interessi pubblici: la non abusività

L'autore affronta il tema dello stato legittimo dell'immobile partendo con una precisazione sul concetto di legittimità e fornendo chiarimenti, tra l'altro, su cosa garantisce la presunzione di legittimità, sulla tutela della legittimità sostanziale e sul controllo ex post.

L’articolo 9-bis del DPR 380/01 asserisce che la legittimità di un edificio è provata dall’esistenza del titolo abilitativo dovuto per legge al momento della realizzazione, confermata dall’esistenza degli eventuali titoli che abilitino eventuali successivi interventi (sempre con riferimento a quello che prevede la legislazione di volta in volta vigente).

 

Una precisazione sul concetto di legittimità

In realtà però non è proprio così, perché – ad essere rigorosi - la legittimità comporta un doppio ordine di corrispondenze:

  • la corrispondenza del titolo alle norme (vigenti al momento del rilascio);
  • la corrispondenza dell’edificato al titolo

requisiti che non sempre coesistono, ma possono essere disgiunti.

In altri termini dovremmo dire più correttamente che:

  • se l’edificato corrisponde al titolo l’edificio non è abusivo;
  • se il titolo corrisponde alle norme il titolo è legittimo e lo è anche l’edificato.

Quindi la “legittimità dell’edificio” (ovvero la sua corrispondenza alle norme) non è garantita dall’esistenza del titolo perché quest’ultimo potrebbe non essere corrispondente alle norme e quindi illegittimo.

Dovremmo allora riformulare la denominazione di cui sopra in “accertamento di non abusività” perché di fatto è solo quello che possiamo dedurre dalla ricognizione dei precedenti.

Mi si eccepirà subito che questa osservazione è capziosa, la denominazione è corretta e non poteva essere altrimenti perché noi (comuni mortali) non possiamo eccepire della legittimità di un atto “esistente”.

E questo è vero.

 

La “presunzione” di legittimità

Anzi, se un tecnico nella ricerca dei precedenti edilizi si imbatte in un atto autorizzativo della cui legittimità ritenga di dubitare non può sindacarlo né disattenderlo, deve ritenerlo valido ed efficace: in altri termini “legittimo”.

Questo perché esiste il Principio di “presunzione di legittimità” che statuisce che un atto rilasciato e non annullato sia (ex sé legittimo a prescindere), il che garantisce l’ordinamento, lo stabilizza e lo rende inoppugnabile; come è giusto che sia anche per consentire certezza (?) ai rapporti e ai negozi patrimoniali.

L’eventuale illegittimità è rilevabile tramite annullamento solo dall’Amministrazione competente al rilascio (il comune) o dalla Regione in via sostitutiva o dal Giudice.

Entro termini ben precisi e stringenti però (sempre per dare garanzia di affidabilità all’ordinamento): dodici mesi dal rilascio per il comune, dieci anni per la regione, a seguito di ricorso (entro i termini) per il Giudice.

Dopodiché il titolo (intrinsecamente illegittimo) è equiparato in tutto e per tutto ad uno legittimo e non è più sindacabile: diventa legittimo (per così dire) per decorrenza dei termini (di annullabilità).

Un sistema siffatto forse non è perfetto, ma è razionale, funzionale e sufficientemente garantista.

In un mondo perfetto, con istruttorie perfette saremmo sempre in presenza di atti legittimi. Con piena garanzia del pubblico e del privato.

Ma il mondo perfetto non è e l’eventuale quantità di atti legittimi dipende dall’attendibilità delle istruttorie.

Dunque nel mondo reale legittimo e non abusivo non sempre coincidono.

Chi opera la ricognizione dei precedenti ai sensi dell’articolo 9-bis, comma 1-bis del DPR 380/01 deve prendere per buoni i titoli “esistenti” e verificarne soltanto la rispondenza dell’edificato. Un’operazione oggettiva dunque (esclusivamente tecnica) salvo le difficoltà interpretative (delle tolleranze e delle norme al tempo vigenti, che già non è poco). Né si può chiedere di più a un “tecnico”.

Se i conti tornano può attestare “lo stato legittimo” dell’immobile.

Unica cautela da adottare se si nutrono dubbi (lo avevamo già scritto in precedenza – v. InGenio 20/01/2021 - C'è qualche insidia nell'auto-dichiarazione dello "stato legittimo" degli immobili) è verificare semmai se si è usciti dalla fase di annullabilità o se esitano ricorsi pendenti per non essere poi smentiti in futuro.

 

Cosa garantisce la “presunzione”?

Perché allora questa mia precisazione apparentemente inutile ?

Perché, come ho detto, la “presunzione di legittimità” è principio funzionale al “sistema” per gli interessi e gli effetti privatistici, ma a noi (a noi che siamo cultori della materia e interessati alla rispondenza sostanziale alle leggi e non solo a quella formale) interessa che abbiano cittadinanza nell’ordinamento immobili veramente legittimi e non solo ritenuti tali per “decorrenza dei termini” ma di fatto in contrasto con gli interessi pubblici; interessi pubblici che, fino a prova contraria, sono rappresentati dalle leggi e dalla strumentazione urbanistica.

E interessa che la tutela degli interessi individuali coincida contestualmente con gli interessi pubblici e collettivi e quindi che la generalità dei beni immobili in circolazione sia rispettosa delle norme. Che poi è anche interesse primario del Legislatore.

 

La tutela della “legittimità sostanziale” (ovvero degli interessi pubblici)

Proprio su questo punto vorrei attirare l’attenzione perché la tutela della legittimità (quella sostanziale) è garantita dai sistemi di controllo pubblico. E su questo sarà bene fare qualche riflessione sull’efficacia delle più o meno recenti innovazioni.

 

L’affidabilità della legittimità sostanziale dipende dall’istruttoria sui titoli rilasciati…

Fin che i “titoli abilitativi” erano rilasciati dalla pubblica Amministrazione la legittimità del titolo era garantita dell’istruttoria di un Funzionario pubblico e la responsabilità di eventuali errori – sotto il profilo civilistico e salvo il dolo intenzionale – ricadeva sulla pubblica amministrazione di appartenenza (e così anche il risarcimento dell’eventuale danno al privato per errori di valutazione).

Alla fine degli anni novanta si è provato ad addebitare la responsabilità patrimoniale al funzionario comunale, ma solo per ritardo negli adempimenti, non per gli errori (in buona fede).

L’avvento del silenzio-assenso e delle certificazioni di parte hanno fatto traslare la responsabilità istruttoria all’asseverazione di un tecnico professionista restando in capo alla Pubblica Amministrazione solo un compito di controllo successivo (peraltro entro certi limiti temporali).

 

… ovvero dall’asseverazione per i titoli acquisiti tacitamente

Trascorsi i quali resta in capo alla Pubblica Amministrazione locale solo la facoltà dell’annullamento (nei ristretti termini di cui si è detto).

Non voglio qui sollevare dubbi sulla maggiore o minore attendibilità di un’istruttoria effettuata da funzionari pubblici (che fanno solo questo nell’attività professionale) o da professionisti privati solo occasionalmente svolgenti una funzione di “pubblico servizio”.

Certo è che la complessità legislativa (a livello centrale e decentrato) e la bulimia regolamentare delle amministrazioni locali rendono l’attività di accertamento particolarmente complessa, difficile, opinabile e … rischiosa.

Diciamo che l’istruttoria eseguita da un ufficio pubblico a ciò dedicato dà maggiori garanzie di omogeneità e continuità interpretativa, basata su una prassi che integra pur sempre il requisito della legittimità. Prassi che il tecnico privato non conosce e, se anche la conoscesse, non vi si può attestare.

Possiamo ipotizzare che le eventuali “non conformità istruttorie” siano più frequenti o quanto meno più opinabili se ottenute per autocertificazione? Non foss’altro perché soggette a smentita da parte della pubblica amministrazione.

Diciamo anche (questo sì) che se il controllore successivo della “legittimità” dell’atto è lo stesso che in fase istruttoria ne ha riconosciuto la conformità è più probabile che la confermi.

La statistica dei contenziosi in essere parrebbe confermarlo.

 

Il controllo ex post sarà anche efficace, ma non pare assicurare la giustizia sostanziale

Nell’attuale stato dell’arte è possibile ottenere sia il rilascio del titolo per silenzio-assenso sia la conseguente agibilità per certificazione: due atti promananti entrambi (seppure con diversa forma) da attestazioni di parte.

L’affidamento al privato “asseverante” di entrambi i momenti di verifica/certificazione affievolisce la garanzia di legittimità sostanziale pur a fronte della “presunzione” che continua a sussister in via teorica.

Il che è un problema quantomeno “etico” per il Legislatore.

Il principio di presunzione ha ragion d’essere se copre casi sporadici, rari, percentualmente irrilevanti e imprevedibili di illegittimità (per errore).

La garanzia di legittimità, è già minata alla radice dalle difficoltà interpretative di norme sempre più complesse e astruse.

 

La “presunzione” dipende solo dall’“esistenza” dell’atto

Allo stato della legislazione attuale una prima sintesi di quanto fin qui esaminato ci porta comunque a dire che – se l’atto esiste – è presunto legittimo (che sia vero o no).

Il che è un dato oggettivo e incontrovertibile se il rilascio è stato formale (come si dice: “carta canta villan dorme”); un po’ più dubbio se è stato ottenuto per silenzio-assenso.

Come vedremo nella seconda parte di questa disamina in cui esamineremo recenti orientamenti giurisprudenziali.

Articolo integrale in PDF

L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
Il file PDF è salvabile e stampabile.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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