Consolidamento Terreni | Geologia e Geotecnica | Dissesto Idrogeologico
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Stabilità dei pendii con terreni coesivi: consolidamento e sistemazione dei relativi movimenti franosi

Il presente lavoro si pone quale contributo alla conoscenza del comportamento della stabilità dei pendii caratterizzati da depositi di natura coesiva e mediamente coesiva, i quali caratterizzano gran parte dei nostri rilievi Alpini e Appenninici. Verranno illustrate le principali forme di collasso gravitativo (tipologie di movimenti franosi) in riferimento alla natura di tali depositi e le cause predisponenti. Si farà infine cenno alle tecniche più accreditate, secondo l’attuale stato dell’arte, per il consolidamento e sistemazione.

Qualche concetto sul comportamento dei depositi coesivi

La stabilità dei pendii caratterizzati da depositi coesivi o parzialmente coesivi dipende sostanzialmente dal loro stesso comportamento meccanico.

Numerosi sono i testi di geotecnica che trattano in modo organico e sistematico l’intera materia, illustrando il comportamento meccanico dei depositi coesivi sia in modo tradizionale e con impostazione strettamente geotecnica, sia nell’ambito delle più recenti teorie sul comportamento dei corpi granulari.

Le caratteristiche dei terreni coesivi presuppongono la conoscenza di alcuni concetti di base derivanti da convenzioni esplicitamente o implicitamente accettate; solo avendoli ben chiari è possibile individuare i parametri geomeccanici e l’effettivo valore dei dati ricavati dalle prove in situ e in laboratorio.

Si tratta in sostanza di rappresentare analiticamente il comportamento dei terreni mediante un insieme di relazioni che ne descrivano sollecitazioni e relative deformazioni. Alla base di ciò vi è un insieme di relazioni “costitutive” espresse in F (σ, Ɛ, t) = 0.

Un primo importante concetto, che ci permette di descrivere le forze applicate, riguarda la definizione delle tensioni.

Nelle terre occorre distinguere la fase liquida e gassosa da quella solida, in quanto i concetti di tensione o sforzo normale efficace (σ ’), totale (σ) e di pressione interstiziale o neutra (u), sono ben noti per il principio delle tensioni efficaci σ = σ’+u.

Il secondo concetto da tenere bene presente riguarda il comportamento meccanico delle sole tensioni efficaci. Possiamo dire che la fase solida costituita dai granuli rappresenta lo scheletro, ovvero la struttura del terreno i cui pori sono riempiti attraverso la fase liquida e gassosa. Essendoci comunicazione fra tali cavità, i fluidi in esse contenuti, se sollecitati, possono spostarsi da un punto a un altro ed eventualmente rallentare la variazione di volume dei pori senza tuttavia impedirla. I fluidi infatti, non avendo rigidità trasversale, non sono in grado di impedire distorsioni, ovvero variazioni di forma dei pori. Solo quindi le sollecitazioni dello scheletro rappresentate dalle tensioni efficaci vanno a influenzare il comportamento meccanico dei terreni. Per questo motivo la conoscenza della pressione interstiziale permette di ricavare le tensioni efficaci da quelle totali, secondo la precedente relazione.

Per individuare e descrivere gli stati tensionali efficaci è assolutamente necessario definire le condizioni idrauliche del deposito. Si distinguono due condizioni estreme: quella ‘drenata’, nella quale i fluidi interstiziali sono sempre in equilibrio con le condizioni al contorno, ovvero la loro pressione è determinata solo dalle condizioni idrauliche esterne per un determinato volume considerato; quella invece detta ‘non drenata’, nella quale i fluidi interstiziali sono supposti fermi nei pori che occupano, per cui il terreno è saturo. Questo si verifica generalmente proprio nei terreni coesivi. Dalla incompressibilità dell’acqua interstiziale e dei granuli deriva pertanto l’assenza di variazione di volume nelle fasi non drenate.

Abbiamo evidenziato, per quanto in modo sintetico e semplificato, la complessità della materia che governa il comportamento in natura dei depositi coesivi, che sono la componente principale del comportamento dell’instabilità dei versanti.


Tipologie dei movimenti gravitativi di versante caratterizzati da terreni coesivi

Si può a buona ragione ritenere che la gran parte dei rilievi che costituiscono la Dorsale Appenninica dell’Italia e le Alpi, sia caratterizzata da terreni argillosi e argilloso-limosi, pertanto coesivi. Lo status delle coperture detritiche è prevalentemente costituito da depositi di alterazione del substrato roccioso sottostante, con potenze variabili da qualche metro sino a decine.

I parametri che influenzano la stabilità dei pendii naturali sono sostanzialmente l’acclività, le caratteristiche geotecniche e geomeccaniche del deposito, e in particolare il contenuto in acqua.

I depositi privi di acqua hanno un determinato peso (ɣ), ovvero peso di volume, espresso in KN/m3, generalmente individuato da prove di laboratorio; con presenza di acqua nei pori il peso aumenta notevolmente, riducendo l’angolo d’attrito Ø espresso in gradi, anch’esso stimato da prove di laboratorio.

Pertanto le forze di taglio, quando superano le forze resistenti, danno origine a fenomeni di rottura che si manifestano, in superficie, sotto forma di fratture di tensione, o “tension cracks”, e in diretta successione a movimenti franosi di scivolamento lungo il pendio.

L’acqua è quindi, per il 90% dei casi, l’elemento scatenante di un movimento franoso; il rimanente 10% può essere ricondotto a un’eventuale modifica della superficie d’equilibrio del pendio oppure, sebbene in casistica assai rara, a caratteristiche particolari del deposito, come nel caso delle argille sensitive.

I movimenti franosi nell’ambito dei terreni coesivi a loro volta si suddividono in processi rapidi per colata, quali Debris Flow o Mud Flow, e lenti, ovvero colate, scivolamenti rotazionali o traslazionali-planari. A tal riguardo si veda la classificazione di “Varnes 1978”.

Per quanto riguarda i Debris Flow, essi sono costituiti da materiale disomogeneo dove la tessitura è costituita da uno scheletro ghiaioso ciottoloso, immersi in matrice alterata limosa debolmente argillosa. Si verificano in presenza di elevate acclività e vengono innescati da fenomeni violenti e molto copiosi di precipitazioni, in un breve lasso di tempo; la loro velocità è ≥ a 5m/s. Il fenomeno è tipico nelle zone Alpine.

I “Mud Flow” sono invece costituiti da materiali fini molto più omogenei, per lo più caratterizzati da rapida colata. Si ricordino le aree interessate da depositi piroclastici, come gli eventi di Sarno del 1998 o, di Casamicciola a Ischia nel 2022. Anche questa tipologia è condizionata esclusivamente da precipitazioni violente e concentrate in grado di saturare rapidamente la coltre detritica di copertura.

I movimenti franosi più lenti, ovvero con velocità dell’ordine di 5x10-4 m/s, sono individuabili in colate e scivolamenti rotazionali, in cui la superficie di rottura è sub circolare, o traslativi, con superficie di rottura subparallela al pendio, come nel caso dei movimenti planari. Tali movimenti gravitativi si generano in concomitanza a precipitazioni abbondanti e spesso prolungate nel tempo.

Le precipitazioni influenzano negativamente le condizioni idrauliche del terreno attraverso l’innalzamento della superficie freatica, da cui si genera un rapporto negativo tra forze resistenti e forze di taglio, per cui le forze di taglio superano quelle resistenti e il fattore di sicurezza del pendio va sotto l’unità F= τ f / τm = c’+( σn – μ0 ) tgϕ’ / τm.
I seguenti fenomeni gravitativi si verificano generalmente dopo un lasso di tempo che va dalle 50 alle 70 h, e si manifesta generalmente con evidenti segni di rottura del terreno nella parte alta, in particolare fessure trasversali al pendio, “tension cracks”, che preannunciano la probabile successiva fase di scivolamento.

Versanti interessati da fratture di tensione “tension cracks”.
Figura 1 - Versanti interessati da fratture di tensione “tension cracks”.


I movimenti traslativi planari sono movimenti gravitativi che avvengono per determinate condizioni geologiche dei depositi, causati da eventi pluviometrici prolungati sul territorio, con concomitanti forti picchi di piovosità anomala, che rendono instabili determinati livelli argillosi per saturazione.

La presenza di argille rigonfianti determina lo scivolamento improvviso di interi versanti. Tali pendii, costituiti da intercalazioni stratigrafiche di livelli di rocce competenti, sono intercalati da strati argillosi di piccolo spessore costituiti da smectite, che è un tipo di argilla a elevatissimo rigonfiamento. Lo scivolamento che si viene a innescare è del tipo di quello che si verificò in Piemonte nel corso dell’evento alluvionale del novembre 1994, quando vennero catalogate ben 2000 frane di cui 800 movimenti planari che devastarono intere aree collinari.

Frana planare a Murazzano (Cuneo), alluvione 1994.
Figura 2 - Frana planare a Murazzano (Cuneo), alluvione 1994.


Per avere un quadro della portata della devastazione connessa ai movimenti planari in quell’occasione, si rimanda, a titolo di esempio, al report filmato nel 1994 sui terreni della Langa cuneese, Alluvione 1994, i movimenti di versante, reperibile al link.

L’acqua è dunque la principale causa scatenante del dissesto gravitativo. Le acque di circolazione e quelle che direttamente cadono sul pendio in occasione di fenomeni meteo pluviometrici intensi e o prolungati, vanno a saturare i vuoti del terreno stesso con conseguente scivolamento.

Per certe condizioni geostrutturali i depositi possono essere condizionati da apporti anomali dovuti proprio alla stratificazione geologica. È il caso di apporti anomali sotterranei che sono influenzati non da spartiacque morfologici bensì da spartiacque idrogeologici.

Schema geologico che mostra la differenza tra spartiacque morfologico e idrogeologico.
Figura 3 - Schema geologico che mostra la differenza tra spartiacque morfologico e idrogeologico.


Come si può vedere dallo schema di Fig. 3, le precipitazioni che si diffondono nella valle a fianco, a causa di determinati livelli permeabili, geologicamente sfavorevoli, vanno a influenzare i versanti della valle confinante, con ripercussioni sulla stabilità dei pendii. Questi casi sono spesso ricorrenti in ambienti collinari, dove vengono eseguite attività antropiche che possono dar luogo a instabilità di zone adiacenti per anomali apporti idrici. Un esempio è quello delle strade a mezzacosta, che comportano scavi talvolta eccessivi che mettono a nudo aree permeabili, comunicanti per stratigrafia con altri bacini; altro esempio efficace è quello dei piccoli bacini di ritenuta per scopi irrigui. Risulta pertanto indispensabile dotarsi di un buon rilievo geologico per la progettazione di determinate opere antropiche soprattutto in ambito sedimentario.

I movimenti gravitativi lenti sono spesso caratterizzati da segni premonitori che evidenziano un’instabilità progressiva del terreno nel tempo, quale ad esempio la tendenza della vegetazione di alto fusto a incurvarsi verso valle, a seguito di deformazioni e spinte anomale della coltre verso valle. A livello di prevenzione, anche al di là di tale indizio, andrebbe monitorata l’area anche attraverso semplici indagini topografiche, posa di capisaldi per determinare la velocità di spostamento, modeste indagini geotecniche, per verificare il comportamento della falda.

I movimenti gravitativi in discussione si distinguono in superficiali e profondi, a seconda della profondità della superficie di scivolamento. I movimenti superficiali hanno profondità di qualche metro, quelli profondi possono arrivare a una decina di metri. I meccanismi di collasso superficiali risentono in modo significativo delle variazioni stagionali e dipendono dalle precipitazioni atmosferiche; i meccanismi che governano i movimenti profondi sono caratterizzati da regime stazionario delle pressioni interstiziali con elevato grado di mobilizzazione della resistenza al taglio.


Metodi e tecniche di stabilizzazione dei pendii costituiti da depositi coesivi

Ai fini della stabilizzazione di un pendio costituito da depositi coesivi, sottoposto a fenomeni di rottura, è necessario, come primo approccio, indagare l’area sotto l’aspetto geotecnico.

Si deve risalire ai parametri geomeccanici del deposito attraverso indagini geotecniche in situ e indagini di laboratorio. Le prove di laboratorio sono finalizzate principalmente all’individuazione delle caratteristiche fisiche dei granuli e loro curve granulometriche; le proprietà indice, ovvero Li, Lp, Ip (limite liquido, limite plastico e indice di plasticità), consentono di determinare se si è in presenza di terreni coesivi plastici, mediamente coesivi o per nulla coesivi.

Per quanto riguarda le indagini strumentali in situ, esse sono perlopiù rappresentate da sondaggi geognostici a carotaggio continuo con contestuali prove in foro di permeabilità e SPT (Standard Penetration Test), integrati da prove penetrometriche dinamiche (NSCPT) e statiche (CPT).

La raffinatezza dell’indagine geotecnica dipende anche dal contesto generale in cui si trova il movimento franoso e da cosa sostanzialmente è necessario salvaguardare. Si consiglia comunque sempre di attrezzare i sondaggi con almeno qualche tubo inclinometrico e con piezometri, per accertare la profondità della superficie di scivolamento e le condizioni idrauliche a cui il terreno è sottoposto durante e dopo le precipitazioni (livelli falde freatiche). Solo dopo aver acquisito queste utili informazioni si può decidere su come procedere nella stabilizzazione e quali tipologie applicare per il consolidamento.

Il drenaggio dei terreni rappresenta senza dubbio l’opera più efficace per un ottimo consolidamento. Un buon sistema di drenaggio ha l’obiettivo di produrre una riduzione delle pressioni interstiziali lungo le superfici di scorrimento, sia essa effettiva che potenziale, con conseguente aumento della resistenza al taglio disponibile.

La scelta e il dimensionamento di un sistema di drenaggio comporta una buona conoscenza delle caratteristiche geotecniche e idrauliche del terreno, nonché la presenza di discontinuità, disomogeneità e anisotropia nei riguardi delle condizioni idrauliche al contorno. L’acclività gioca un ruolo determinante nella scelta del sistema drenante da utilizzare, così come la profondità della superficie di scivolamento e la presenza di una superficie piezometrica.

È importante comprendere che l’efficacia di un drenaggio non è strettamente connessa all’abbassamento della superficie freatica e alla sua saturazione, ma piuttosto alla rigenerazione di nuove condizioni di flusso che vadano a produrre la riduzione delle pressioni interstiziali. L’efficacia del metodo non è quindi legata alla quantità d’acqua allontanata bensì alla variazione del regime delle sovrapressioni che è in grado di produrre.

I drenaggi a loro volta si suddividono in drenaggi verticali e drenaggi orizzontali o sub orizzontali. Lo stato dell’arte comprende sostanzialmente le trincee drenanti, i pozzi drenanti, le gallerie e i dreni sub orizzontali e verticali.

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Andrea Lazzari

Geologo - Esperto pianificazione territoriale Ministero LL.PP. Regione Piemonte

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