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Sottotetto abitabile in difformità dal permesso originario: fiscalizzazione abuso e sanatoria sono possibili?

Il caso di oggi è, oseremo dire, 'un classico'. Trattasi di un sottotetto trasformato in qualcosa di più, per il quale scatta l'abuso edilizio e l'ordinanza di demolizione. La sentenza 62 del 7 gennaio scorso del Tar Salerno però è interessante non tanto per la 'storia in se', quanto per gli svariati argomenti trattati.

Il caso

L'Ufficio Tecnico comunale contestava che "in luogo dell'autorizzato unico ampio locale sottotetto-stenditoio è stata realizzata una unità abitativa autonoma munita dei necessari impianti tecnologici pavimentata, piastrellata ed intonacata con accesso dal vano scala, costituita da un ampio soggiorno-pranzo, due bagni e due camere da letto. I due servizi igienici sono stati realizzati anche con l'utilizzo di parte dell'aggetto previsto lungo il lato nord dell'immobile con un incremento di superficie utile di 0,90 x3,20 circa e, quindi per ma. 2,90 circa. È stata inoltre rilevata una maggiore altezza della copertura, realizzata in cemento armato, a doppia falda inclinata e, specificamente, l'altezza utile interna al colmo risulta essere di m. 2,45 circa in luogo dei previsti m. 2,20, mentre alla gronda è stata rilevata l'altezza di m. 2,00 circa in luogo dei previsti m. 1,80; oltre alla realizzazione di bucature lungo il lato nord ed ovest con funzioni di areazione ed illuminazione dei servizi igienici e del soggiorno pranzo. La rilevata copertura è stata, inoltre, prolungata fino a coprire gli aggetti assentiti lungo i lati sud e nord dell'immobile".

Veniva quindi ordinata la demolizione di tutte le opere rilevate, ritenendo le stesse in difformità totale rispetto alla concessione originaria, che autorizzava la trasformazione della copertura, da sottotetto a stenditoio, prevedendosi un'altezza al colmo pari a mt. 2,20 ed alla gronda pari a mt. 1,80, per un'altezza media pari a mt. 2,00.

Rispetto al titolo assentito, l'opera presentava una diversa altezza, al colmo pari a mt. 2 40 ed alla gronda, pari a mt. 2,00, per un'altezza media pari a mt. 2,20; l'altezza complessiva del fabbricato rimaneva comunque contenuta in mt. 12,80.

Contro l'ordinanza di demolizione, il proprietario dell'edificio ricorreva per svariati motivi ma il Tar era irremovibile nel confermare quanto deciso dal comune. Vediamo perché.

La fiscalizzazione dell'abuso

Il Tar inizia osservando che il Comune ordina la demolizione per le opere in questione, ai sensi del combinato disposto di cui all’art.33, co.1 dpr 380/2001 (interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art.10, co.1, in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire) e 32 dpr 380/2001 (determinazione delle variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire), che a sua volta richiama l’art.31 dpr 380/2001 (interventi in assenza, totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire, comportanti la realizzazione di un organismo edilizio diverso, ovvero con realizzazione di volumi ulteriori autonomamente utilizzabili).

La ricorrente contesta l’applicazione dell’art.31, in combinato disposto con l’art.32, nella parte in cui ha ritenuto che l’intervento realizzato costituisce difformità totale dal titolo, e ha per l’effetto ingiunto la demolizione delle opere, mentre avrebbe dovuto in realtà trovare applicazione l’art.34, recante disciplina delle difformità parziali e, con esso, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria (prevista in termini generali) con quella pecuniaria (cd. fiscalizzazione dell’abuso edilizio, ai sensi del co.2).

Il Collegio evidenzia che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, la possibilità di ricorrere alla fiscalizzazione dell’abuso, ai sensi dell’art.34, co.2 cit., anche ove astrattamente ammissibile, non rileva quale motivo di illegittimità del provvedimento demolitorio, spettando unicamente al privato inciso, con apposita istanza da presentarsi in fase esecutiva della demolizione (cfr., quam multis, Tar Brescia, 1.10.2020, n.679; Tar Veneto, 5.2.2019, n.160, ma v. anche di questa Sezione, sentenza 30.11.2020 n.1820), dimostrare (unitamente ai presupposti oggettivi di applicazione) il grave e irreparabile pregiudizio arrecato dall’eventuale demolizione alla porzione lecita dell’immobile.

Ma qui, trattandosi di intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art.33, il co.2 ammette la possibilità di fiscalizzazione anche in presenza di “totale difformità”. In tali ipotesi, l’istante potrebbe fare valere la possibilità di fiscalizzazione, ai sensi dell’art.33, co.2, dando dimostrazione ai competenti uffici delle difficoltà che il ripristino arrecherebbe alla staticità dell’immobile, sempre tuttavia in un momento successivo all’adozione dell’ordine demolitorio (v., in tal senso, Consiglio di Stato, 10.1.2020, n.254; Tar Napoli, 2.10.2019, n.4706). Riepilogando: la fiscalizzazione si può ancora fare, il motivo di ricorso non può quindi essere favorevolmente apprezzato.

La sanatoria giurisprudenziale

Si invoca la possibilità di applicazione del meccanismo cd. della “sanatoria giurisprudenziale”, per il tramite dell’art.3 lr. Campania n.15/2000 e s.m.i., in tema di recupero dei sottotetti esistenti, con contestuale mutamento di destinazione d’uso, da stenditoio ad abitazione, posto che i lavori per la realizzazione del sottotetto sarebbero stati realizzati nel 1999 e, solo dopo l’entrata in vigore della Legge sul Piano casa, il sottotetto sarebbe stato trasformato in locale con destinazione abitativa.

La ricorrente sottolinea la modesta difformità dell’altezza media (mt. 2,20 contro quella assentita di mt.2,00), nonché la circostanza per cui l’immobile è collocato, dal punto di vista urbanistico, in contesto centrale urbanizzato, privo di vincoli.

Nienta da fare anche qui, ecco perché:

  • la sanatoria cd. “giurisprudenziale”, ossia volta a considerare la sanabilità rispetto alla sola normativa sussistente al momento della domanda di sanatoria, non è ammissibile, stante il frontale contrasto con il principio di legalità (v., in tal senso, tar Napoli, 1.6.2020, n.2104). La sanatoria di un abuso edilizio è infatti ammissibile solo al ricorrere della cd. doppia conformità, ossia la conformità dell’opera sia con riguardo alla normativa sussistente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento di presentazione dell’istanza;
  • non risulta depositata, da parte della ricorrente, alcuna istanza di sanatoria, né ai sensi del dpr 380/2001, e tanto meno secondo le previsioni della l.r. Campania n.15/2000 e s.m.i.

Il pubblico interesse

In ultimo, la ricorrente ha censurato la carenza motivazionale in cui sarebbe incorsa l’autorità procedente, che ha omesso di addurre qualsivoglia valutazione sul pubblico interesse alla rimozione delle opere, avuto riguardo inoltre al lasso di tempo (oltre venti anni) intercorso dalla realizzazione delle contestate opere, e quindi all’affidamento ingenerato nella ricorrente circa la conformità delle stesse.

In proposito, come correttamente evidenziato dalla difesa del Comune resistente, giova richiamare il consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’attività di repressione degli illeciti edilizi ha di regola carattere “reale”, in quanto tende ex sé al ripristino della legalità violata, senza che abbiano rilevanza le condizioni soggettive in cui versa il soggetto destinatario della sanzione (cfr., quam multis, Tar Ancona, 30.10.2020, n.625) ovvero il tempo intercorso tra la violazione e l’accertamento della stessa (v., Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n.9 del 17.10.2017).

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