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Sottotetto abitabile abusivo e altre opere interne al condominio: sanatoria impossibile e acquisizione immobile da parte del comune

Consiglio di Stato: il permesso in sanatoria per regolarizzare l'abuso edilizio non è concedibile se le opere realizzate interessano l’intero edificio condominiale, in quanto l'istante risulta privo di legittimazione autonoma.

La sanatoria ordinaria, 'normata' dall'articolo 36 del Testo Unico Edilizia (dpr 380/2001), presuppone alcuni paletti imprescindibili, senza i quali è impossibile regolarizzare un abuso edilizio.

La sentenza 8851/2022 del 18 ottobre del Consiglio di Stato ne ricorda uno piuttosto importante, che non è anche quello più 'famoso', cioè la doppia conformità urbanistica, intesa come liceità dell'intervento sia al momento della realizzazione che al momento della richiesta di sanatoria (classico esempio: intervento edilizio assentibile con permesso di costruire ma privo del permesso, in ogni caso 'regolare').

Il 'paletto' è rappresentato dal luogo nel quale vengono eseguiti gli interventi abusivi: Palazzo Spada ricorda che, se i lavori per i quali si chiede la sanatoria ex art.36 dpr 380/2001 (Testo Unico Edilizia) interessano l'intero edificio condominiale, il permesso in sanatoria non è concedibile dal comune, che - tra l'altro - può legittimamente acquisire il bene nel proprio patrimonio se non viene eseguita la demolizione.

Cambio di destinazione d'uso del sottotetto divenuto abitabile e altre opere interne: l'abuso

Partiamo dal principio.

La proprietaria di 4 unità immobiliari destinate ad abitazione civile, costituenti un fabbricato indipendente facente parte di un più ampio complesso immobiliare composto di tre corpi di fabbrica disposti a “C”, del quale la porzione di sua proprietà costituiva il blocco sul lato est, aveva presentato al comune un progetto, approvato dalla PA, per la riparazione post sisma che consisteva in un modesto abbassamento del solaio di copertura del primo piano, costituente il piano di calpestio del sottotetto, e nell'edificazione di una scala interna, che fungeva da collegamento tra il primo piano e il sottotetto (il quale, inoltre, era stato suddiviso in quattro locali, a due a due comunicanti tra loro, il quarto dei quali, quello a sud, rinveniente dalla sopraelevazione, autorizzata con il ridetto progetto di riparazione).

Successivamente, previa dichiarazione di inizio attività (DIA), erano stati effettuati lavori d’impermeabilizzazione del tetto spiovente, della loggia e della relativa copertura, nonché lavori d’isolamento mediante chiusura del passaggio interno, esistente al primo piano ed era stata edificata un’ulteriore scala interna, al fine di collegare il primo piano della particella con il sottotetto.

In tale occasione la proprietaria aveva rispristinato anche la divisione fra le due unità del primo piano, sino ad allora utilizzate come un unico appartamento e, inoltre, aveva recuperato ai fini abitativi il piano sottotetto, di modo che ciascuna delle due unità del primo piano potesse contare anche su una porzione abitabile al piano superiore.

In virtù di tali interventi ‒ tutti realizzati senza richiedere i titoli abilitativi relativi al cambio di destinazione d’uso abitativo del sottotetto ‒ il numero delle originarie unità immobiliari era, quindi, diminuito da quattro a tre.

Queste unità immobiliari, come derivate all’esito degli interventi sopra descritti, erano state poi trasferite a terzi.

Il comune quindi contestava alla proprietaria originaria i lavori abusivi consistiti in:

  • a) cambio di destinazione dei locali sottotetto in unità residenziale senza il dovuto permesso di costruire;
  • b) aumento del carico urbanistico mediante frazionamento in due unità immobiliari di un’originaria unica unità immobiliare senza il dovuto permesso di costruire ... primo piano e sottotetto, disposti sul lato destro, entrando, del cortile condominiale.

Le tre richieste di sanatoria (tutte rigettate) e la mancata demolizione delle opere

La proprietaria inoltrava allora una prima richiesta per un permesso di costruire in sanatoria ma il comune la rigettava motivando che, poiché le opere realizzate interessavano l’intero edificio condominiale, l’istante sarebbe stata priva di legittimazione autonoma.

In seguito, veniva presentata un'altra richiesta di sanatoria ordinaria ai sensi dell’art. 36 del dpr 380/2001, per cambio di destinazione d’uso del sottotetto da praticabile ad abitabile ed altre opere interne, relativamente agli immobili al primo piano e sottotetto, ma su questa, decorsi 60 giorni dalla sua presentazione, veniva a maturare il silenzio-rifiuto, rimasto inoppugnato.

Infine, a distanza di due anni, veniva presentata una terza richiesta con la quale chiedeva la sanatoria «inerente i lavori di manutenzione straordinaria, rimodulazione unità abitative, recupero abitativo sottotetti».

Questa volta il silenzio-rifiuto veniva impugnato ma, in pendenza del ricorso di primo grado, il Comune effettuava dei sopralluoghi sull’immobile e notificava alla ricorrente verbale di accertamento di inottemperanza, con il quale accertava la mancata esecuzione delle opere di ripristino degli abusi, costituente titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita dell’acquisizione degli immobili al patrimonio comunale.

Da qui si arriva al Consiglio di Stato.

Ordine di demolizione e acquisizione al patrimonio comunale: le regole

 Il primo motivo di appello ‒ secondo cui la sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale del bene oggetto della sanzione demolitoria sarebbe inapplicabile, in quanto gli abusi commessi sarebbero riconducibili alla categoria della ‘ristrutturazione edilizia’ ‒ non può essere accolto.

L'articolo 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia) sanziona soltanto gli interventi eseguiti in difetto di permesso di costruire o in totale difformità o con variazioni essenziali «che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile».

Le sanzioni per le ristrutturazioni eseguite in difetto di permesso di costruire ‒ quelle c.d. «pesanti» riconducibili all’articolo 10, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 ‒ sono invece previste dall’articolo 33 del medesimo testo unico dell’edilizia, il quale dispone la demolizione delle opere abusive senza prevedere, quali conseguenze dell’inosservanza dell’ordine di demolizione, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale e la sanzione pecuniaria (previste invece espressamente dai commi e 4-bis del citato articolo 31).

Sennonché, il tema decisorio relativo alla ‘qualificazione’ delle opere abusive ‒ in termini di «organismo edilizio integralmente diverso» o di «ristrutturazione edilizia» (nel caso in esame, gli abusi commessi hanno comportato la realizzazione di tre unità abitative autonome, con aumento di superfici utili e di volumi, inglobando anche parti comuni, quali ad esempio l’androne, la corte, la scala di collegamento, il terrazzino comune sito al primo piano) ‒ ai fini della individuazione della correlativa sanzione edilizia prevista dalla legge, non è stato sollevato in primo grado, bensì risulta proposto per la prima volta in appello.

È fondata quindi l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune e dalla controinteressata. Tradotto: l'acquisizione al patrimonio comunale è ok.

Abusi edilizi e procedimento repressivo: l'ordine temporale corretto

Palazzo Spada evidenzia inoltre che i procedimenti repressivi in materia edilizia, culminanti con l’atto di acquisizione della proprietà privata al patrimonio comunale, devono seguire una corretta scansione procedimentale, che consenta al privato di adempiere al provvedimento demolitorio al fine di evitare l’estrema conseguenza della perdita della proprietà.

Tale scansione procedimentale è costituita:

  • i) dal provvedimento di demolizione, con cui viene assegnato il termine di novanta giorni per adempiere spontaneamente alla demolizione ed evitare le ulteriori conseguenze pregiudizievoli;
  • ii) dall’accertamento della inottemperanza alla demolizione tramite un verbale che accerti la mancata demolizione;
  • iii) dall’atto di acquisizione al patrimonio comunale che costituisce il titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione dell’acquisto della proprietà in capo al Comune.

Bene: il presente giudizio ha per oggetto unicamente il diniego opposto all’istanza di sanatoria, il verbale di accertamento di inottemperanza e le consequenziali intimazioni di ripristino dello stato dei luoghi e di rilascio delle unità abitative.

Sanatoria rifiutata: il primo 'no' preclude le altre richieste

Il Consiglio di Stato evidenzia infine che le diverse istanze di sanatoria ‒ del 2004, del 2014, così come l’ultima del 2016 ‒ hanno per oggetto gli stessi abusi. Le relazioni tecniche e le planimetrie sono infatti sovrapponibili.

Il consolidamento dei precedenti provvedimenti negativi sulle istanze precedenti del 2005 (in modo esplicito) e del 2014 (sotto forma di silenzio-rifiuto che, come è noto, la legge equipara da un provvedimento espresso sotto il profilo del regime di validità) ha comportato un effetto preclusivo: non è infatti consentito rimettere in discussione l’assetto di interessi oramai cristallizzatosi sulla base di provvedimenti di diniego validi e efficaci, tramite la riproposizione di una nuova istanza che funga da mezzo per accordare una sostanziale rimessione in termini rispetto alla contestazione dell’originario provvedimento.

Resta ovviamente salva l’ipotesi in cui sia la stessa Amministrazione a riaprire l’istruttoria, emettendo un provvedimento che, pur avendo lo stesso esito finale, non abbia carattere meramente confermativo. Tuttavia, nel caso di specie, l’evenienza da ultimo ipotizzata non si è verificata, in quanto l’Amministrazione ‒ con riguardo all’ultima istanza (in senso cronologico) del 2016, oggetto del presente giudizio ‒ è rimasta silente e, dunque, non ha compiuto una nuova valutazione degli interessi in gioco.


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Allegati

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