Sostenibilità: 4 persone fanno causa in Svizzera alla Holcim per il cambiamento climatico
Un nuovo caso in cui i cittadini agiscono legalmente contro l'industria per il cambiamento climatico. In questo caso riguarda una denuncia contro Holcim.
Sul tema del possibile contenzioso tra cittadini e soggetti pubblici e privati nell'ambito della salvaguardia del clima INGENIO era già intervenuto con un articolo della professoressa Sara Valaguzza "Climate Change: dal contenzioso climatico al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili".
Eravamo tornati sull'argomento sempre con la professoressa Valaguzza dopo la modifica delle Costituzione Italiana con l'articolo "Ambiente e riforma della Costituzione: facile innamorarsi di un’idea".
Una sola azienda può essere responsabile della alluvioni in un Paese ?
E ora ci troviamo a raccontare un caso giudiziario in corso nella vicina Svizzera: una causa civile contro Holcim promossa da quattro residenti dell'isola indonesiana di Pari. I quattro indonesiani hanno presentato una denuncia formale contro il produttore di cemento per conto dell'intera isola presso il tribunale cantonale di Zug.
La causa civile è stata avviata nel luglio 2022 in risposta alle inondazioni dell'isola indotte dai cambiamenti climatici, secondo Reuters. I negoziati informali sono seguiti nell'ottobre 2022 ma sono falliti, secondo un rappresentante di Swiss Church Aid.
L'organizzazione ambientalista Walhi afferma che quest'ultima azione è il primo procedimento civile formale in Svizzera contro un'azienda per il suo contributo al cambiamento climatico Walhi afferma che i querelanti chiedono un "risarcimento proporzionale". La prospettiva risarcitoria, del resto, è coerente con le conclusioni della COP 27 che ha istituto un fondo loss and damages per supportare i Paesi in via di sviluppo più colpiti dai disastri climatici.
Anche il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (ECCHR) sostiene gli isolani. La professoressa Valaguzza ci fa osservare che si sta attivando un movimento di opinione che vorrebbe qualificare “il diritto al clima stabile” come un “diritto umano”, prefigurando un intervento della Corte Internazionale dei diritti, già intervenuta a suo tempo a supporto della collaborazione tra Stati per il disarmo nucleare e la decolonizzazione. La dimensione nazionale non è davvero sufficiente data la magnitudine del problema. C’è anche chi ha proposto di introdurre un nuovo costituzionalismo globale.
Dalle note stampa che parlano del caso rileviamo che un portavoce di Holcim ha affermato che il cambiamento climatico è "una priorità assoluta per Holcim al centro della nostra strategia" e che "Non crediamo che i casi giudiziari incentrati su singole società siano un meccanismo efficace per affrontare la complessità globale dell'azione per il clima".
In effetti, conferma Sara Valaguzza, “Questo è il cuore della questione dal punto di vista giuridico: è molto difficile costruire un diritto al clima stabile, che possa ingaggiare la responsabilità di un solo soggetto, che sia lo Stato o un’azienda. Nessuno è davvero responsabile finché lo siamo tutti. Quando si entra nella dimensione giuridica dei danni e della responsabilità la logica persecutoria generalista non tiene: quale violazione ha commesso l’azienda? Che impegni sono state traditi? Come si è fatto per il greenwashing, bisogna intendersi su quali standard si richiedono agli operatori economici e agli Stati, e su quale grado di colpa può essere loro addebitato.”.
Un caso che farà clamore
Ma questa causa è destinata a fare clamore e potrebbe diventare un "caso" come la sentenza Urgenda, richiamata proprio dall'articolo della Valaguzza: la Corte suprema olandese ha recentemente emesso una storica sentenza: pronunciandosi sul caso Olanda c. Urgenda, i giudici hanno invitato il governo olandese a ridurre di almeno il 25% le emissioni di CO2 nell’atmosfera entro la fine del 2020.
“La vera assente è la politica. Se un’azienda consuma risorse naturali in maniera illecita significa che le regole vigenti non sono adatte o che non vengono applicate.", aggiunge Sara Valaguzza,
In Europa abbiamo perfino avallato il principio di precauzione, che blocca le condotte che potrebbero, forse, provocare danni ambientali, solo sulla base di una ipotesi di rischio non documentata scientificamente. Eppure, non mi sembra che questo ci abbia evitato, anche in Italia, di assistere a gravi disastri ambientali. Francamente, a me pare che la prospettiva che punta sui diritti individuali non sia appagante: credo invece che bisognerebbe lavorare su norme generali di procedura, sottoponendole alla prova dei fatti per testarne l’efficacia, cominciando dal prevedere l’obbligo che ogni politica pubblica legate all’ambiente debba basarsi su dati scientifici, approvati dalla comunità degli esperti indipendenti. Mi piacerebbe vedere all’opera, di fronte ad una crisi di questa portata, un governo, di qualsiasi ideologia, che operi, però, con metodo rigorosamente scientifico: cioè che decida liberamente, ma ci spieghi perché fornendoci dati, prove e comprove delle determinazioni assunte”.
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