Solo incertezze sul futuro delle norme igienico-sanitarie
L'articolo analizza le recenti modifiche alle norme igienico-sanitarie in edilizia, evidenziando l'incertezza e le contraddizioni presenti nel nuovo quadro normativo. Il Salva-casa ha introdotto deroghe temporanee, ma la direzione futura è poco chiara. Si passa da una promessa di requisiti prestazionali più flessibili a una realtà di parametri ridotti e poco motivati. L'autore sottolinea la necessità di una normativa chiara e oggettiva, che definisca requisiti minimi di salubrità, lasciando spazio alla creatività progettuale per migliorare il comfort abitativo.
Le previsioni derogatorie in materia igienico-sanitaria introdotte – pur se in via temporanea – dal Salva-Casa fanno sorgere legittime perplessità sull’evoluzione prossima ventura di tale normativa, sia sulla presumibile data di effettiva emanazione che, ancor più, sulla metodica che ne dovrà presiedere la formulazione.
Anche perché proprio su quest’ultima – come sottolinea l’Autore – parrebbe profilarsi un ripensamento in controtendenza.
L’esito è quello di una generalizzata incertezza che ha indubbie ricadute sulla fruibilità del patrimonio immobiliare.
La promessa dell’innovazione
Il d.lgs. n. 222 già nel 2016, inserendo il comma 1-bis all’articolo 20, del DPR 380/01 aveva promesso entro novanta giorni che il Ministero della Salute avrebbe rivisto i parametri igienico-sanitari degli edifici basandoli su requisiti di carattere “prestazionale”.
Al di là del termine temporale – oggi ampiamente trascorso – la novità consisteva nell’annunciata volontà del Legislatore di sostituire i parametri dimensionali/metrici della previgente normativa con l’introduzione di requisiti prestazionali, certamente più evoluti e più aderenti alle realtà di volta in volta esaminate.
Certamente però di più difficile individuazione e verifica di rispondenza.
La metodologia del passato (ancora attuale)
Per molto tempo i requisiti igienico-sanitari sono stati espressi dalle comunità locali nel rispetto delle norme statali costituite dal r.d. n. 1265 del 1934 e dalle Istruzioni Ministeriali del 20 giugno 1896 finché il Ministero della Sanità, il 5 luglio 1975, ha ritenuto di intervenire con un decreto per dettare una disciplina nazionale che fissasse i limiti minimi di accettabilità.
Norma emanata – neanche a dirlo – “Considerata la necessità di apportare d’urgenza modifiche alle predette istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 (!) …. in attesa di procedere all’aggiornamento della restante parte … ” (v. G.U. 18.07.1975, n.190 - pgg.4892-4893). Necessità e urgenza. Con impegno a completare l’opera.
Erano limiti minimi tesi ad assicurare un omogeneo livello di prestazioni su tutto il territorio nazionale al di sotto dei quali le regolamentazioni locali non potevano scendere (potevano evidentemente incrementarli per migliorare le prestazioni). Un po’ come con gli standards edilizi e urbanistici.
Lo scopo dunque era evidente: omogeneità e miglioramento delle prestazioni al di sotto delle quali la “salubrità” era messa a pregiudizio.
Il metodo per raggiungere lo scopo era (ed è ancora) quello di fissare limiti metrici oggettivi “minimi”.
Questo può anche essere considerato un metodo grezzo, ma tutte le volte che il Legislatore nazionale interviene lo fa in astratto e, dunque, con imposizioni parametriche come tali discutibili nel merito specifico.
Proprio perché ritenuti limiti vitali minimi, sono stati considerati aventi valore di legge e principi inderogabili. La tutela della salute è bene non fungibile.
Limiti minimi inderogabili
Tanto che le aspettative derogatorie che la legge del primo condono aveva suscitato – quando all’articolo 35, comma 19 disponeva che “A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, ………………… ” sono poi state smentite dalla Giurisprudenza che ha ritenuto le disposizioni del d.m. del 1975 inderogabili (ancorché espresse con decreto)..
Cosa bolle in pentola e cosa ci si aspettava
Certamente questo non vuol dire che il Legislatore con una norma dedicata – e non occasionale – non possa modificare anche i parametri base della salubrità e intervenire sui principi. Magari introducendo metodologie più raffinate come appunto quelle basate sulle “prestazioni” richieste.
Vista la promessa del comma 1-bis dell’articolo 20 sopra citato l’attesa era dunque quella di un intervento organico che sostituisse i parametri “metrici” del d.m. del 1975, con requisiti prestazionali meglio aderenti alle situazioni specifiche e, comunque, migliorativi di quelli in essere.
Dopo ben otto anni è stata finalmente redatta una Bozza di nuova regolamentazione che abbiamo ampiamente commentato in un precedente scritto che però ci ha lasciato onestamente molto perplessi sull’effettiva applicabilità perché le indicazioni paiono poco utilizzabili per la definizione di una nuova normativa cogente (“La bozza di Decreto dei nuovi requisiti igienico-sanitari in edilizia pone qualche criticità”).
E’ vero che la metodologia di base adottata è quella della introduzione di requisiti prestazionali ma la loro applicazione appare problematica e ancor più problematici la verifica e il controllo.
Al di là delle buone intenzioni, la bozza attualmente all’esame sembra più un manuale di “buona progettazione” che una norma.
Cosa è arrivato
Nelle more dell’adozione della nuova normativa “più evoluta” il Salva-Casa ha apportato delle modifiche “temporanee”.
Era logico aspettarsi che fossero un’anticipazione della nuova metodologia già in corso d’esame e invece no; è un misto di dati metrici (ridotti) integrati da prescrizioni pseudo-prestazionali assolutamente generiche, aleatorie e incontrollabili.
Le richieste di “miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie”, di “soluzioni alternative atte a garantire … idonee condizioni igienico-sanitarie ….” infatti non sono “prescrizioni” di “requisiti esigenziali”, ma non vanno oltre il suggerimento di una generica “raccomandazione”.
Essendo i parametri prestazionali di fatto inesistenti la norma temporanea si traduce in sostanza in una riduzione generalizzata dei parametri precedenti per lungo tempo dichiarati imprescindibili e “minimi” vitali.
Non erano vitali?
Qual è allora la logica delle nuove norme?
Anticipazione o controtendenza?
La modifica ora introdotta con la legge Salva-Casa è dunque un fulmine a ciel sereno e sottende di fatto una variazione di rotta ?
Un ritorno alla vecchia metodologia parametrica indubbiamente più semplicistica, magari poco giustificata sotto il profilo del merito, ma anche di più semplice comprensione e verificazione ?
Se è vero che i precedenti parametri dimensionali erano i minimi che garantivano la salubrità, diminuirli necessiterebbe almeno di una motivazione “sanitaria” della non compromissione dei parametri vitali che erano in precedenza garantiti, o, quantomeno, di una comparazione tra esigenze salutistiche ed esigenze economiche.
Infatti è vero – lo abbiamo già detto – che il parametro igienico-sanitario non risponde solo ad esigenze sanitarie in senso stretto, ma è frutto di un “compromesso” (rectius: “ottimizzazione” che è termine più elegante) con le esigenze economico-sociali del contesto, ma la sostanziale e generalizzata riduzione dei parametri del Salva-casa non pare sufficientemente motivata nel merito sanitario e neppure su quello economico sociale; per di più, dal punto di vista urbanistico porta alcune sostanziali incongruenze o vere e proprie violazioni di leggi (di cui già abbiamo detto su INGENIO – “La procedura e i requisiti migliorativi sostitutivi per le deroghe igienico-sanitarie del Salva-Casa”).
E allora qualche dubbio è legittimo
La norma del Salva-Casa è transitoria, lo abbiamo detto, ma questo non tranquillizza sulla sua durata “temporanea” che intanto alcuni effetti li produrrà comunque e quelli saranno permanenti. E non saranno migliorativi della qualità della vita.
Effetti che, come abbiamo già analizzato, non si possono spacciare come un’anticipazione dell’“introduzione della nuova metodologia prestazionale” al posto di quella “parametrico-quantitativa”.
Si tratta di una deregolamentazione lasciata alla discrezionalità dei singoli e, peggio, del mercato immobiliare che opera in funzione del profitto e non mi pare privilegi sempre la qualità del prodotto.
Occorre chiarire obiettivi e funzione (ma, soprattutto, la metodologia)
Allora dobbiamo chiarire se vogliamo davvero una norma prestazionale o se privilegiamo una norma di tipo tradizionale, certamente meno raffinata, ma indubbiamente più oggettiva e, come tale, verificabile da tutti ed esente da interpretazioni/contestazioni (le misure sono misure …. al netto delle tolleranze ovviamente).
Personalmente opterei perché la norma sia inequivocabile e non esposta ad apprezzamenti discrezionali (quelli che poi danno lavoro agli avvocati), che ponga i requisiti minimi di accettabilità (agibilità) lasciando alla capacità professionale individuale dei progettisti il raggiungimento di livelli più elevati di prestazioni.
La “scienza dell’abitare” è complessa e bisogna stare attenti a tradurre in normativa vincolante criteri di buona progettazione.
A maggior ragione se le norme saranno – come è giusto che siano in materia di salute – principi inderogabili che fissano i minimi imprescindibili e necessari.
Salubrità e benessere non sono sinonimi; lascerei la prima alla norma, il secondo alla qualità progettuale (che la norma non può sostituire).
Covid insegna
Lo abbiamo visto anche recentissimamente con la pandemia del Covid quando da più parti progettisti e cultori dell’abitare hanno immediatamente teorizzato la revisione dei criteri progettuali degli alloggi ritenendo che ne andassero aumentate le dimensioni anziché ridotte per favorire la vita di relazione domestica.
Anche rispetto a questi orientamenti la norma del Salva-casa appare in controtendenza.
Siamo nell’indeterminatezza e, quel che è peggio, nell’indecisione
Abbiamo sottolineato in esordio che anche le norme del decreto ministeriale del 1975 furono assunte “per l’urgenza” e sono ancora lì, così anche il Salva-Casa è norma urgente e contingente, mentre le norme a regime stentano ad affermarsi.
Non possiamo pensare che siamo capaci di fare solo norme d’urgenza in materia igienico-sanitaria, però pare proprio che sia così.
Sta di fatto che, da quanto abbiamo analizzato fin qui (promesse/anticipazioni non mantenute, norme provvisorie contraddittorie e in controtendenza), pare doversi cogliere una difficoltà ad elaborare una nuova normativa sostitutiva di quella vigente, anche (e forse soprattutto) in merito alla metodologia sulla cui base redigerla.
Anche per l’agibilità postuma si è ancora in attesa delle regole applicative
Solo per completezza di argomentazione diremo che siamo ancora in attesa delle norme transitorie (anch’esse in materia igienico-sanitaria) annunciate nel 2020 con un decreto-legge che ne sottolineava l’urgenza per poter acquisire l’agibilità postuma senza opere, così come disposto dal comma 7-bis dell’articolo 24 del DPR 380/01.
Anche se l’agibilità non è documento indispensabile per le compravendite, è però opportuno e rassicurante e dovremo pur dare utili rifermenti per regolarizzare il passato.
Anche questo andrebbe a favore della “commerciabilità” degli immobili che era uno degli obiettivi precipui del Salva-casa.
E dire che non sembrerebbe tema così difficile: basterebbe usare lo stesso criterio retrospettivo (del buon senso ratione temporis) dell’applicazione della norma vigente al momento di realizzazione delle opere, applicando il principio adottato per le tolleranze e le opere difformi ma comunque accettabili, di cui abbiamo suggerito l’estensione in un precedente commento (“La Tollerabilità nel Salva-Casa tradotta in due articoli apparentemente diversi ma contigui fisicamente e concettualmente”).
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