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Smaltimento Rifiuti: termovalorizzatori, inceneritori, gassificatori e altri trattamenti termici dei rifiuti

Quale è la normativa di riferimento in materia di smaltimento rifiuti in Italia? Come vengono definiti e classificati i rifiuti? Un articolo di approfondimento dedicato alla gestione dei rifiuti tramite trattamento termico

La normativa di riferimento per lo smaltimento dei rifiuti in Italia

Lo smaltimento dei rifiuti in Italia è stato regolato organicamente dal DPR 915 del 10 settembre 1982, emanato in attuazione delle direttive CEE n. 75/442 (relativa ai rifiuti pericolosi), n. 76/403 (relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili) e n. 78/319 (relativa ai rifiuti in generale). Il DPR 915/82 è un dispositivo "quadro" nel quale sono affermati:

  • i principi generali da osservare;
  • la classificazione dei rifiuti;
  • le competenze attribuite allo Stato (indirizzo e coordinamento), alle Regioni (pianificazione, rilascio autorizzazioni, catasto rifiuti ed emanazione di norme specifiche), alle Province (controllo) ed ai Comuni (smaltimento dei rifiuti solidi urbani);
  • i criteri generali di regolamentazione dell'attività di smaltimento dei rifiuti;
  • le disposizioni fiscali, finanziarie e sanzionatorie.

Il  sistema introdotto da tale Decreto si fondava sulla gestione del rifiuto mediante l’attività di eliminazione dello stesso senza valorizzarne la possibilità di riutilizzo e riciclo.

Con il D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (il cosiddetto "Decreto Ronchi") recante disposizione in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, il legislatore, prendendo le mosse dall'esigenza di attuare nel nostro ordinamento giuridico le nuove direttive europee, ha tentato un  riordino dell'intera normativa.

Il D.Lgs. 22/1997 sembra fondarsi su due principi di ordine generale.

  1. In primo luogo vieta a chiunque detenga rifiuti di abbandonarli,  imponendo  di provvedere  al loro smaltimento o recupero nelle varie forme previste dal decreto stesso a seconda del tipo di detentore.
  2. In secondo luogo il Decreto, dopo aver ribadito che la gestione dei rifiuti costituisce attività  di pubblico interesse, si preoccupa di indicare la priorità della riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti prodotti e del loro recupero, riutilizzo e riciclaggio, rispetto allo smaltimento.

Definizione e Classificazione dei Rifiuti

Col termine "rifiuto" si definisce "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi" (Art.6 D.Lgs. 22/97).

Pertanto, col termine "rifiuto" si fa generale riferimento ai cosiddetti "rifiuti solidi" cui si aggiungono anche particolari tipologie di "rifiuti liquidi" (in genere liquidi concentrati di origine industriale) non recapitati in fognature dotate di depuratore terminale, ma trasportati agli impianti di smaltimento CQO modalità analoghe ai rifiuti solidi (trasporto stradale, ferroviario, marittimo).

I rifiuti così definiti possono essere classificati in 3 distinte categorie:

Rifiuti solidi urbani (RSU)

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Si definiscono rifiuti urbani quei rifiuti che, anche se ingombranti, provengono da abitazioni; inoltre sono compresi i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive  dei corsi d'acqua; i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; i rifiuti provenienti  da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale.

Vi sono poi tipologie di rifiuti derivanti da attività commerciali, artigianali ed industriali che hanno caratteristiche simili ai RSU o loro componenti (ad es. materiali di imballaggio, ritagli  di tessuti, gomma, scarti dell'industria alimentare, scarti di legno, scarti di materiali di arredamento ecc.). Sono detti "Rifiuti assimilabili ai RSU" e come tali vengono di norma smaltiti negli stessi impianti.

Rifiuti speciali (RS)

Comprendono soprattutto la vasta categoria dei rifiuti industriali, artigianali, agricoli e commerciali. In aggiunta sono considerati rifiuti speciali i seguenti:

  • rifiuti composti da materiali da costruzione, demolizione e scavo;
  • veicoli e macchinari obsoleti;
  • rifiuti prodotti da ospedali e case di cura;
  • residui derivanti dal trattamento di rifiuti solidi urbani (scorie di incenerimento, residui  degli impianti di riciclaggio) e dal trattamento delle acque reflue civili (materiale grigliato e fanghi di risulta).

Rifiuti pericolosi (RP)

Comprendono rifiuti che rappresentano un pericolo immediato, o nel lungo termine, per la salute dell'uomo e la vita animale e vegetale. Secondo la normativa italiana di riferimento (DPR 915/1982), questi rifiuti erano definiti "Rifiuti Tossico-Nocivi". In seguito, con il Decreto Legislativo n. 22 del 5/2/1997 la dizione è stata modificata in "Rifiuti Pericolosi" che appare più appropriata anche in rapporto alla denominazione "Hazardous Wastes" attribuita dall'Unione Europea e dalla letteratura scientifica internazionale.

Si tratta in prevalenza di rifiuti di origine industriale, i quali presentano una o più delle seguenti caratteristiche di pericolo:

  • Infiammabilità (formazione di fiamma a bassa temperatura);
  • Tossicità/nocività/irritabilità  (rischi per la salute acuti o cronici, conseguenti ad ingestione, inalazione, penetrazione  dermica);
  • Corrosività (distruzione di tessuti vivi);
  • Cancerogenicità (malformazioni cancerose);
  • Teratogenicità (malformazioni congenite, non ereditarie);
  • Mutagenicità (difetti genetici ereditari);
  • Infettabilità (malattie  all'uomo ed altri  organismi  viventi  a causa  di microrganismi  contenuti  nel rifiuto);
  • Reattività (sviluppo di calore, gas tossici o altri prodotti pericolosi, a seguito di contatto con acqua, aria, altri rifiuti);
  • Esplosività (possibilità di esplosione per effetto di fiamme, urti, attriti).

Tra i composti che conferiscono carattere di pericolosità al rifiuto si citano a titolo di esempio  i seguenti (per un elenco completo si rimanda alla direttiva CEE 91/689 del 12/12/1991 relativa ai rifiuti pericolosi):

  • composti del cromo;
  • composti del berillio;
  • composti del nichel;
  • composti del rame;
  • composti dello zinco;
  • composti del piombo;
  • amianto (polveri e fibre);
  • clorati e perclorati;
  • PCB e PCT (PoliCloroBifenili e PoliCloroTrifenili);
  • composti farmaceutici e veterinari;
  • biocidi e composti fitosanitari (erbicidi, antiparassitari,  ecc.);
  • sostanze infettive;
  • solventi alogenati;
  • composti organo-alogenati;
  • PCDD e PCDF (PoliCloroDibenzoDiossine e PoliCloroDibenzoFurani).

Ovviamente, il carattere di pericolosità del rifiuto dipende dalla concentrazione dei composti pericolosi. Per tale ragione vengono di norma definite delle concentrazioni limite (C.L.) oltre le quali il rifiuto viene definito "rifiuto pericoloso". Inoltre, per rendere più semplici le procedure di identificazione dei "rifiuti pericolosi", le normative emanate dai vari Stati prevedono un'elencazione di specifiche tipologie di rifiuti per le quali è generalmente dimostrato il carattere di pericolosità.

Ad esempio, sono considerati tali i seguenti prodotti (per un elenco più completo si rimanda alla direttiva CEE 91/689 relativa ai rifiuti pericolosi):

  • Prodotti farmaceutici, medicinali:
  • Biocidi e prodotti fitosanitari;
  • Inchiostri, coloranti, pigmenti, pitture, lacche e vernici;
  • Oli minerali;
  • Prodotti di laboratori fotografici;
  • Materiali catalitici usati;
  • Accumulatori di pile elettriche;
  • Prodotti isolanti contenenti PCB e PCT:
  • Solventi esausti;
  • Ecc.

Fenomeni di inquinamento generati dallo smaltimento incontrollato dei rifiuti

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Lo smaltimento incontrollato dei rifiuti sul suolo determina una serie di impatti negativi sulle componenti ambientali e sulla salute pubblica.

Detti impatti nella loro generalità sono così sintetizzabili:

Inquinamento estetico-paesaggistico

È la forma di inquinamento di più immediata percezione. Sebbene sia tipica di ogni tipologia di rifiuto, si manifesta nei suoi aspetti più vistosi per depositi incontrollati di RSU. Chiaramente, un impatto estetico-paesaggistico negativo ha riflessi immediati sulla possibilità di fruizione dell’area interessata e sul valore economico dei beni in essa insediati. Ma, al di là di questo aspetto, i rifiuti depositati rappresentano un rischio immediato o potenziale di sviluppo degli altri fenomeni di inquinamento sotto descritti.

Inquinamento del sottosuolo

I contaminanti contenuti nei rifiuti possono infiltrarsi nel sottosuolo, direttamente (nel caso di rifiuti liquidi concentrati sversati accidentalmente o dolosamente sul terreno) o tramite dilavamento da parte delle acque di pioggia. Sono tipici i fenomeni di inquinamento delle falde acquifere causati dal percolato di discariche non controllate di rifiuti solidi, e da sversamenti abusivi sul terreno di solventi industriali assai poco assorbili dalle formazioni geologiche del sottosuolo (solventi aromatici e solventi clorurati). La pericolosità di questi abusi ambientali è connessa all’alta concentrazione di composti inquinanti, anche fortemente tossici, tanto da poter contaminare vaste estensioni dell’acquifero rendendolo inutilizzabile per l’uso potabile.

Inquinamento delle acque superficiali

Questo fenomeno, sia per cause che per effetti, segue di pari passo quello appena descritto relativamente alle acque profonde. Con la differenza che il fenomeno di inquinamento delle acque superficiali ha carattere più acuto; quello che interessa le acque di falda ha carattere più cronico in ragione del lento ricambio naturale delle acque.

Inquinamento dell’aria

È questo un altro tipico fenomeno che caratterizza lo smaltimento incontrollato dei rifiuti sul terreno. Sono molteplici le cause di inquinamento dell’aria da composti maleodoranti o tossici:

  • emissione di composti volatili già presenti in origine nei rifiuti. È il caso di diverse tipologie di rifiuti industriali (ad es. contaminati da solventi vari). Ma è anche il caso di RSU nei quali, pur in ridotta concentrazione, sono presenti vari idrocarburi aromatici e idrocarburi clorurati (contenuti nei gas propellenti di bombolette spray);
  • emissione di composti volatili formatisi a seguito di processi biodegradativi dei rifiuti. È questo il caso tipico di rifiuti a matrice organica e specificamente i RSU;
  • emissione di composti vari a seguito di combinazione di rifiuti tra loro incompatibili (o incompatibili con l’acqua).

Alterazioni degli equilibri di vita naturale

Le forme di inquinamento sopradescritte possono comportare alterazioni più o meno significative delle singole forme di vita animale o vegetale presenti nelle aree interessate o anche degli equilibri di vita di complessi ecosistemi naturali.

In Italia ogni persona produce in media 497 chilogrammi di rifiuti urbani all’anno, per un totale di 34 milioni di tonnellate, di cui il 51% viene sottoposto a riciclaggio e compostaggio, riducendo sensibilmente il loro impatto sull’ambiente. Il dato è più o meno in linea con quello medio dei 28 paesi dell’Unione europea, dove nel complesso ogni cittadino produce 482 chilogrammi di rifiuti, il 47% dei quali viene riciclato.

Dei 34 milioni di tonnellate solo il 10% viene utilizzato per la valorizzazione energetica a fronte del 25% della Germania e il 33% della Francia.

La raccolta differenziata in Italia e in Europa

Prima di arrivare al come, un po’ di dettagli sul cosa. Il dato medio del riciclo italiano, come quello europeo, comprende grandi differenze a seconda dell’area geografica: il paese più virtuoso nel riciclo è la Germania (66%), mentre agli ultimi posti ci sono Malta 8% e Romania (15%). In Italia sono più virtuose le regioni settentrionali con il 64,2% di rifiuti urbani riciclati rispetto alla produzione totale; il dato scende al 48,6% nel centro e al sud si riduce ulteriormente al 37,6%.

Per far si che i rifiuti vengano correttamente smaltiti e riciclati è necessario che siano mantenuti divisi a seconda del tipo di materiale di cui sono costituiti. L’obiettivo è quello di giungere alla netta separazione tra rifiuto secco e rifiuto umido. La parte “secca” dei rifiuti va innanzitutto distinta in secco riciclabile (vetro, carta, plastica, alluminio) e secco non riciclabile; la parte “umida”, raccolta separatamente, ossia gli scarti alimentari quali bucce della frutta, gusci delle uova, fondi del caffè, residui di pulizia delle verdure ecc. verrà smaltita attraverso il compostaggio della frazione umida.

Un contenitore tipico per la raccolta differenziata è la campana, destinata solitamente alla raccolta di vetro o plastica. A differenza del cassonetto, che deve essere ribaltato per lo svuotamento, la campana viene svuotata dal basso, sollevandola e aprendo la base inferiore con un comando meccanico situato accanto al gancio di sollevamento. Altri contenitori di rifiuti possono essere i bidoni o bidoncini che vengono dati alle famiglie per la raccolta differenziata porta a porta, uno per ogni tipo di rifiuto.

Per facilitare e incrementare la raccolta differenziata ed il riciclaggio dei rifiuti, nelle città spesso vengono realizzati dei punti di raccolta, detti “isole ecologiche”, in cui sono riuniti diversi contenitori per la raccolta differenziata. Il corretto conferimento dei diversi materiali negli appositi contenitori è di fondamentale importanza affinché il materiale, ottenuto attraverso i diversi metodi di riciclaggio, sia di buona qualità e adatto alla realizzazione di nuovi prodotti realmente concorrenziali sul mercato.

I risparmi ottenuti dalla raccolta differenziata:

  1. Con il recupero di 1.000 tonnellate di plastica (ossia la quantità di plastica prodotta in un anno da una piccola città) si ottiene il risparmio di circa 3.500 tonnellate di petrolio, cioè l’equivalente dell’energia usata da 20.000 frigoriferi in un anno.
  2. Per produrre una tonnellata di carta vergine occorrono 15 alberi, 440.000 litri d’acqua e 7.600 kwh di energia elettrica. Per produrre invece una tonnellata di carta riciclata bastano 1.800 litri d’acqua e 2.700 kwh di energia elettrica.
  3. Nella produzione di vetro “nuovo”, per ogni 10% di rottame di vetro inserito nei forni si ottiene un risparmio del 2,55% di energia, equivalente ad oltre 130 litri di petrolio risparmiato per ogni tonnellata di vetro riciclato usato. Si stima che l’industria vetraria registri ogni anno un risparmio energetico, grazie alla raccolta differenziata, pari a 400.000 tonnellate di petrolio.
  4. Gli scarti provenienti dalla cura delle aree verdi e dai giardini (foglie, erba, residui floreali, ramaglie, potature) costituiscono una parte consistente dei rifiuti prodotti e sono fondamentali per il processo di compostaggio industriale. Ne sono sufficienti 10 tonnellate per fertilizzare il terreno.
  5. Per produrre 1 kg di alluminio occorrono circa 15 kwh di energia elettrica ed un impianto di estrazione di bauxite. Per produrre 1 kg di alluminio da materiale riciclato occorrono invece 0,8 kwh di energia e, soprattutto, nessun impianto di estrazione di bauxite.
  6. Frigoriferi e congelatori sono costituiti per lo più da acciaio e plastica ma contengono anche sostanze chiamate clorofluorocarburi (CFC), responsabili dei danni all’ozono atmosferico. Si stima che ogni frigo contenga in media 250 grammi di CFC vari (freon, poliuretano), oltre all’olio minerale contenuto nel motore dell’impianto refrigerante.
  7. L’olio minerale esausto (olii lubrificanti nell’artigianato, negli autoveicoli, nell’industria) è per la quasi totalità recuperabile. Da 100 kg di olio usato si ottengono 68 kg di olio nuovo.
  8. In Italia il 65% dei pneumatici finisce nelle discariche. La gomma è un combustibile e, quando nella discarica avvengono combustioni non controllate, si liberano fumi densi molto inquinanti. Il recupero dei pneumatici usati avviene, per esempio, con la triturazione: alla temperatura di 100° sotto zero raggiunta tramite l’impiego di azoto liquido, la triturazione meccanica diventa semplice e la successiva separazione automatica dei vari componenti assicura un riciclo pressoché totale dei materiali, che vengono utilizzati come sostrati anti-rumore per strade e autostrade, piste da corsa e campi sportivi, ecc.

Tecnologie di incenerimento

Nella gestione dei rifiuti gli inceneritori sono impianti principalmente utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti mediante un processo di combustione ad alta temperatura (incenerimento) che dà come prodotti finali un effetto gassoso composto da diossine, furani, pm 10, pm 2.5, particolato ultrafine, ceneri e polveri.

In alcune tipologie di impianti il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato ed utilizzato per produrre vapore, poi utilizzato per la produzione di energia elettrica o come vettore di calore (ad esempio per il teleriscaldamento). Questi impianti con tecnologie per il recupero vengono indicati con il nome di “inceneritori di rifiuti con recupero energetico”, più comunemente “inceneritori” o anche “termovalorizzatori”, sebbene tale termine non venga mai utilizzato nella normativa europea e italiana di riferimento, nelle quali si parla solo di inceneritori.

In particolare tutti gli impianti attualmente in funzione in Italia prevedono il recupero del calore, cosa peraltro imposta dalle normative in materia già a partire dal 1997.

Tutti i termovalorizzatori sono dotati di apparecchiature per l’abbattimento degli NOx, dei microinquinanti, delle polveri, delle diossine e furani e dei gas serra.

Purtroppo alcuni impianti hanno presentato, a volte, emissioni fuori norma con alte concentrazioni di mercurio, cadmio, diossine, acido cloridrico, ecc.

In Italia sono attivi circa 60 termovalorizzatori a fronte dei 140 della Francia e dei 95 della Germania.

In Italia la gestione dei rifiuti è comunque molto problematica per l’infiltrazione della criminalità, traffici illeciti e cattiva gestione della cosa pubblica.

Le categorie principali e quantitativamente predominanti di rifiuti inceneribili sono: Rifiuti Solidi Urbani (RSU); Rifiuti speciali. Vi è poi una grande quantità di rifiuti non inceneribili (classificati “inerti”) provenienti da costruzioni e demolizioni: questi costituiscono una percentuale di circa il 30% del totale, pari a circa 30 milioni di tonnellate l’anno (dati 2014).

Prima di procedere all’incenerimento però i rifiuti possono essere trattati tramite processi speciali volti a eliminare i materiali non combustibili (vetro, metalli, inerti) e la frazione umida (la materia organica come gli scarti alimentari, agricoli, ecc.). I rifiuti trattati in questo modo sono definiti CDR (ovvero “combustibile derivato dai rifiuti”) o più comunemente ecoballe.

Cos’è un inceneritore?

Un inceneritore è un impianto adibito allo smaltimento dei rifiuti che funziona tramite distruzione dei materiali inerti. I rifiuti, in pratica, vengono bruciati o come suggerisce la parola stessa ‘inceneriti’. Questi impianti devono rispondere a precise normative che definiscono il tipo di rifiuti che possono essere conferiti negli inceneritori. Ad esempio, è vietato incenerire materiali che durante la combustione possono sprigionare esalazioni o scorie particolarmente tossiche per la salute umana. Inoltre, i fumi derivanti dalla combustione devono essere adeguatamente monitorati e filtrati secondo quanto stabilito dalla normativa vigente in materia.

Cos’è un termovalorizzatore?

Il termovalorizzatore, invece, è un impianto dedicato allo smaltimento dei soli rifiuti solidi che utilizza un processo di incenerimento simile all’inceneritore, ma a differenza di quest’ultimo trasforma in energia elettrica il calore prodotto dalla combustione. Semplificando, il vapore creato muove delle turbine che convertono queste masse di aria calda in energia. Una differenza tutt’altro che trascurabile, dunque, visto che l’impianto di termovalorizzazione contribuisce alla produzione di energia ‘pulita’ a partire dai rifiuti.

Gli inceneritori più diffusi in Europa sono del tipo “a griglie”

Il forno è solitamente dotato di una o più griglie mobili (forno a “griglie”) per permettere il continuo movimento dei rifiuti durante la combustione. Una corrente d’aria forzata viene inserita nel forno per apportare la necessaria quantità di ossigeno che permetta la migliore combustione, mantenendo alta la temperatura (fino a 1000° C e più). Per permettere tali temperature, qualora il potere calorifico del combustibile sia troppo basso, talvolta viene immesso del gas metano in una quantità variabile fra i 4 e i 19 m3 per tonnellata di rifiuti. Accanto a una camera per combustione primaria viene associata una camera di combustione secondaria (camera di post-combustione), con lo scopo di completare la combustione dei fumi nel miglior rispetto della normativa vigente.

La forte emissione di calore prodotta dalla combustione di metano e rifiuti porta a vaporizzare l’acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per la produzione di vapore surriscaldato ad alto contenuto entalpico.

Il calore generato mette in movimento una turbina che, accoppiata a un motoriduttore e a un alternatore, trasforma l’energia termica in energia elettrica producendo corrente alternata per espansione del vapore surriscaldato.

Le componenti dei rifiuti non combustibili vengono raccolte in una vasca piena d’acqua posta a valle dell’ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo modo, sono quindi estratte e smaltite in discariche speciali. Ovviamente, separando preventivamente gli inerti dalla frazione combustibile si ottiene una riduzione delle scorie. L’acqua di raffreddamento (circa 2,5 m3/t) deve essere depurata prima di essere scaricata in ambiente. Le ceneri sono classificate come rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del peso del rifiuto in ingresso) intercettate dal sistema di filtrazione sono classificate come rifiuti speciali pericolosi. Entrambe sono smaltite in discariche per rifiuti speciali. Vi sono state esperienze di riuso delle ceneri pesanti.

Dopo la combustione i fumi caldi (circa il 140%-150% in peso del rifiuto in ingresso) passano in un sistema multi-stadio di filtraggio, per l’abbattimento del contenuto di agenti inquinanti sia chimici che solidi. Dopo il trattamento e il raffreddamento, i fumi vengono rilasciati nell’atmosfera a circa 140° C.

Tipologie di inceneritore

In funzione della specifica tecnologia adoperata nella camera di combustione primaria, è possibile distinguere i seguenti tipi di inceneritore:

  • Inceneritore a letto fluido;
  • Inceneritore a griglie;
  • Inceneritore a focolare multi-step;
  • Inceneritore a forno rotativo.

Recupero energetico

In un inceneritore i rifiuti vengono direttamente bruciati ed il calore viene usato per produrre vapore, negli impianti di gassificazione/pirolisi i rifiuti vengono invece convertiti parzialmente in gas (syngas) che può essere poi utilizzato in cicli termodinamici più efficienti.

Scorie

L’incenerimento dei rifiuti produce scorie solide pari circa al 10-12% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, e in più ceneri per il 5%. Gran parte della massa immessa nei forni viene infatti combusta ottenendo dei fumi che verranno opportunamente pretrattati prima di essere emessi dal camino.

  • Le ceneri volanti e le polveri intercettate dall’impianto di depurazione dei fumi sono rifiuti speciali altamente tossici (in quanto concentrano molti degli inquinanti più nocivi), che come tali sono soggetti alle apposite disposizioni di legge e sono poi conferiti in discariche speciali.
  • Le scorie pesanti, formate dal rifiuto incombusto – acciaio, alluminio, vetro e altri materiali ferrosi, inerti o altro – sono raccolte sotto le griglie di combustione e possono poi essere divise a seconda delle dimensioni e quindi riciclate se non troppo contaminate.

Altri trattamenti termici dei rifiuti

Esistono alcune alternative ai classici inceneritori, attualmente però poco diffuse in Europa.

Gassificatori e pirolizzatori

Un’alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione sono i gassificatori (da non confondersi con i rigassificatori) e gli impianti di pirolisi. In tali impianti i rifiuti vengono decomposti termochimicamente mediante l’insufflazione di una corrente di azoto (nei gassificatori anche ossigeno) ad elevate temperature, ottenendo come prodotti finali un gas combustibile (detto syngas) e scorie solide. In pratica, mentre negli inceneritori il materiale viene riscaldato in presenza di ossigeno e avviene una combustione che genera calore e produce composti gassosi ossidati, negli impianti di pirolisi lo stesso riscaldamento viene effettuato in assenza totale di ossigeno e il materiale subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più semplici. La gassificazione, che avviene in presenza di una certa quantità di ossigeno, può essere considerata come una tecnologia intermedia tra l’incenerimento e la pirolisi propriamente detta.

La pirolisi consiste nella trasformazione dei rifiuti tramite la trasformazione in C.S.S. (Combustibile Solido Secondario) e gassificazione del C.S.S. per la produzione di Energia elettrica e Energia termica.

La pirolisi è un processo di decomposizione termochimica in assenza di ossigeno e senza fiamma che per effetto del calore determina il cracking termico delle molecole ovvero la rottura dei legami chimici e la trasformazione della materia in componenti più semplici.

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All'interno dell'articolo

  • Ossicombustione pressurizzata
  • Gli impianti mobili per lo smaltimento dei rifiuti mediante l’azione del plasma
  • Soluzioni di filtraggio delle emissioni al camino
  • Abbattimento degli NOx 
  • Abbattimento dei microinquinanti 
  • Abbattimento delle polveri 
  • Gas serra
  • Soppresso il Sistri dal 1° gennaio 2019

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