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Sistemi resinosi per rivestire pavimenti e pareti di camere bianche

Ecco un focus dedicato alle caratteristiche tecniche e prestazionali dei sistemi resinosi per realizzare superfici continue all'interno di ambienti che devono essere privi di ogni inquinante che possa alterare il processo produttivo

Quale tipologia di materiale scegliere per realizzare superfici continue, caratterizzate da elevatissime resistenze e bassissimi rilasci, idonee a rivestire i pavimenti, le pareti e i soffitti delle cosiddette "camere bianche"? 

Di seguito un articolo di approfondimento tecnico dedicato ai sistemi resinosi.

Piccolo (e veloce) è meglio…

Chi, come me, ha ormai più di qualche primavera sulle spalle ricorderà sicuramente che nella sua prima giovinezza ci fu l’avvento sul mercato dei personal computer da casa, e qualche anno più tardi dei primi telefoni cellulari portatili. Erano strumenti di lavoro e di svago ingombranti e pesanti, al giorno d’oggi anche il più banale degli smartphone è molto più leggero e decine di volte più veloce e potente. Di tutto questo dobbiamo ringraziare l’ingegneria elettronica, un settore che negli ultimi decenni ha compiuto balzi di progresso tecnologico incredibili obbedendo all’ordine datosi di “potenziare e rimpicciolire” i propri prodotti. Un microchip moderno fa più cose, e più velocemente, di qualsiasi computer valvolare che occupava intere astronavi aliene nei b-movies degli anni ’50.

Ma tutta questa riduzione di dimensioni ha avuto il suo prezzo. I microcircuiti hanno piste che ormai misurano pochi milionesimi di millimetro di larghezza che devono preservarsi sgombre da impedimenti di qualsiasi genere. Un granello infinitesimale di polvere che si dovesse depositare su una di queste piste potrebbe alterarne seriamente la funzionalità. Gli ambienti dove si stampano i microchip che un domani dovranno far funzionare i nostri PC e smartphone, o non far perdere la strada al nostro navigatore satellitare o mantenere in volo l’aereo col quale stiamo andando in vacanza, devono essere rigorosamente privi di ogni inquinante che possa alterare il processo produttivo. Stiamo parlando delle cosiddette “camere bianche”, spesso citate anche col loro nome inglese cleanrooms, che nel mondo della produzione di componenti elettronici assumono aspetti quasi fantascientifici, ma che trovano in realtà un largo impiego anche in altri settori industriali o del terziario, con esigenze meno severe ma pur sempre ben al di sopra dello standard comune.

 

Cos’è una camera bianca?

In breve, è un ambiente di lavoro in cui i parametri di pressione, temperatura, umidità e, soprattutto, purezza dell’aria in termini di presenza di particelle sospese e sostanze volatili sono rigorosamente monitorati e mantenuti entro limiti ben definiti.

Le esigenze di purezza dell’aria variano in base al tipo di attività svolta. L’industria elettronica, come prima citato, necessita di un elevato grado di purezza perché teme le microparticelle sospese che potrebbero depositarsi sulle piste dei circuiti stampati; sul fronte opposto, le aziende alimentari e farmaceutiche devono avere sotto controllo, ad esempio nei loro reparti di confezionamento, la presenza di particelle sospese più grandi sulle quali potrebbero proliferare colonie di batteri, non sempre graditi se rinchiusi nella confezione del prodotto.

La presenza di sostanze volatili nell’aria può essere altra fonte di fastidio e di problemi per alcuni particolari processi produttivi.

Analogamente, altri settori industriali, ad esempio del mondo dell’ottica e della nanomeccanica, o gli ambienti responsabili della nostra salute quali le sale operatorie o i laboratori d’analisi, richiedono elevati standard di purezza ambientale e dell’aria.

 

La normativa di riferimento e la classificazione delle camere bianche

Per fortuna la normativa di riferimento, negli ultimi anni, è diventata una sola; la ISO 14644, divisa in 10 punti dei quali a noi interessano soprattutto il nr. 1 e il nr. 8.

  • Part 1: Classification of air cleanliness by particle concentration
  • Part 8: Classification of air cleanliness by chemical concentration (ACC)

Il punto 1 classifica la purezza dell’aria in funzione della dimensione e quantità di particelle sospese; il punto 8, invece, definisce come determinare la qualità dell’aria in funzione della qualità e quantità delle sostanze volatili che sono state rilasciate, il cosiddetto outgassing.

La ISO 14644-1 classifica quindi la purezza dell’ambiente in funzione delle particelle sospese secondo una tabella che tiene in considerazione la loro dimensione e quante ne sono presenti in sospensione nell’aria. La norma contempla sei gruppi di dimensione. La grandezza fisica espressa in micrometri che contraddistingue ognuno di questi sei gruppi indica la dimensione minima che deve avere una particella sospesa per appartenervi. Successivamente la ISO 14644-1 prevede nove classi di purezza dell’aria in funzione del numero massimo ammissibile di particelle sospese, in un metro cubo, per ogni gruppo di dimensione. Sono le cosiddette “Classi ISO”, che vanno dalla classe ISO 1 – la più estrema e severa – alla classe ISO 9 che è la più “permissiva”. La relativa tabella che segue è decisamente più esplicativa.

Sistemi resinosi per realizzare pavimenti e pareti per camere bianche

In pratica, una camera bianca che deve essere in classe ISO 7 tollera particelle sospese che siano uguali o più grandi di 0,5 µm (ossia mezzo milionesimo di millimetro, un centesimo del diametro medio del capello umano! Per chi ne ha ancora, ovviamente…) nel numero massimo di 352.000 per metro cubo d’aria. Per le particelle più piccole non c’è praticamente limite. Delle 352.000 particelle poc’anzi citate, però, la tabella ci dice che solo 83.200 possono essere uguali o più grandi di 1 µm (quindi le rimanenti 270.000 particelle circa, una più una meno, devono avere dimensione compresa tra 0,5 µm e 1 µm) e solo 2.930 di 5 µm. Ma se valutassimo un ambiente che deve operare in classe ISO 3 vedremmo subito che i numeri di particelle sospese tollerate sono molto più bassi, 35 e 8 rispettivamente per 0,5 µm e 1 µm, e addirittura devono essere assenti sopra i 5 µm. Ogni salto di classe comporta una riduzione, o un aumento, di un fattore 10 del numero di particelle ammesse. Quindi la classe ISO 3 è 10.000 volte più severa della classe ISO 7!

Si capisce ora perché gli operatori che si muovono in camere bianche con elevati requisiti di purezza lo fanno in appositi scafandri e respiratori. Anche stando perfettamente fermi e seduti, la pelle umana rilascia migliaia di microparticelle sospese per ogni secondo di tempo. Sembra fantascienza, ma se avessimo un’idea più precisa di quanto sia “piccolo” un decimo di micrometro (equivalente a 100 nanometri nella figura sottostante), che è la soglia dimensionale delle particelle della prima colonna, capiremmo quanto sia difficile nelle camere bianche in classe ISO 1 avere aria che contiene al massimo due particelle sospese grandi il doppio di un virus!

 

Sistemi resinosi per realizzare pavimenti e pareti per camere bianche

 

La ISO 14644-8 ci dà invece indicazioni su come valutare la AMC – Airborne Molecular Contamination – di una camera bianca in funzione della quantità di sostanze volatili presenti in aria, che vengono valutate anche per singoli composti o per gruppi o categorie di composti. Una volta acquisito il valore di tale quantità espresso in g/m3 d’aria se ne calcola il logaritmo decadico (e sì, è sufficiente avere il vostro ultrasottile smartphone in tasca…) e tale numero, arrotondato normalmente alla prima cifra decimale, è appunto la cosiddetta classe ISO-ACCm. Si tratta sempre di un numero negativo, dal momento che le quantità di sostanze volatili presenti sono, e devono essere, sempre bassissime. Quindi più il numero negativo è basso, cioè più si discosta dallo zero, più l’aria è pura.

 

Come si possono controllare gli inquinanti in una camera bianca?

Le camere bianche, soprattutto quelle che operano in condizioni più severe, sono dotate di imponenti e speciali impianti di ricircolo e filtrazione dell’aria mediante i quali rimuovono continuamente e senza sosta le particelle sospese e le sostanze volatili presenti. Ma il controllo delle condizioni della camera bianca prevede necessariamente anche un’accurata progettazione e scelta dei materiali che saranno presenti, ad esempio quelli costituenti gli impianti e le attrezzature, l’arredamento, il vestiario degli operatori e, in maniera preponderante, tutte le superfici dell’ambiente tra cui pavimenti, pareti e soffitti.

E qui, per chi ha resistito fino a questo punto con biblica pazienza, arriva finalmente il dunque in merito al nostro amato settore…

 

I sistemi resinosi per le camere bianche

Ricapitoliamo brevemente quanto esposto finora: le camere bianche devono operare in regime di elevatissima pulizia, sterilità e purezza dell’aria, soprattutto per le prime 3-4 classi ISO della tabella; il perché è evidente dai numeri riportati.

Perché tali condizioni siano rispettate non è sufficiente affidarsi solo all’impianto di filtrazione, ma è indispensabile che tutto quanto si trova all’interno della camera bianca in funzione non rilasci elevate quantità di particelle o sostanze volatili. Detto così sembra semplice, ma i numeri in gioco per le classi ISO più severe impongono di fatto la scelta di materiali appositamente studiati per questo utilizzo. È indubbio che le superfici più estese siano quelle relative a pavimenti, pareti e soffitti, perennemente a contatto con l’aria della camera bianca verso la quale potrebbero emettere sostanze volatili e, nel caso dei pavimenti, anche potenzialmente sottoposte a sollecitazioni meccaniche da frizione conseguente al passaggio del personale, con potenziale rilascio di microscopiche particelle sospese.

I sistemi resinosi di pavimentazioni e superfici verticali (ivi inclusi i soffitti) sono senza dubbio la soluzione più performante e versatile per le camere bianche, soprattutto per le classi ISO più severe, grazie alla possibilità di realizzare rivestimenti continui caratterizzati da elevatissime resistenze e bassissimi rilasci, con prodotti e soluzioni affidabili e certificati da appositi istituti.

I prodotti resinosi oggi disponibili sul mercato dotati di relativa certificazione per l’uso in camere bianche sono a base epossidica (mi si perdoni se me ne fosse sfuggito qualcuno di natura diversa), autolivellanti per i sistemi a pavimentazione e in dispersione acquosa per le vernici da applicarsi sulle superfici verticali.

Sono caratterizzati da elevate resistenze chimiche, all’abrasione e agli attacchi biologici, grazie all’accurato studio degli indurenti a base poliamminica utilizzati, che creano strutture tridimensionali con la base epossidica molto solide e stabili. Per i prodotti cui è anche richiesta una bassissima emissione di sostanze volatili si è dovuto compiere un notevole sforzo di valutazione della formula compositiva per evitare l’utilizzo di ingredienti normalmente impiegati nei formulati a base epossidica più comuni, ma che avrebbero comportato un innalzamento del valore di AMC; un esempio su tutti è costituito dall’alcool benzilico.

Non tutti i prodotti disponibili sul mercato sono formalmente idonei per l’applicazione in camere bianche. La possibilità di utilizzo deve essere dimostrata a seguito di varie prove e analisi eseguite da istituti specializzati (ad esempio, il Fraunhofer Institut di Monaco) che rilasciano un certificato di idoneità finale.

I campioni in esame, forniti dal produttore perfettamente induriti e stagionati, vengono sottoposti a lunghe e complesse analisi secondo protocolli ben definiti. I due test più importanti sono ovviamente dedicati a valutare quante particelle, e di che dimensione, il prodotto in esame rilascia quando sottoposto a frizione, e la quantità di sostanze volatili emesse.

Per le particelle in sospensione si misurano le dimensioni e la quantità di quelle rilasciate dopo aver sottoposto a frizione i campioni in esame; tali dati vengono confrontati con quelli della tabella della ISO 14644-1. I valori misurati rientreranno quindi nei limiti di una delle classi che vanno dalla ISO 1 alla ISO 9 e tale classe diventerà quella per la quale il materiale viene ritenuto idoneo. Vien da sé, ma a me piace talvolta sottolineare le ovvietà, che se un prodotto è idoneo per camere bianche che devono operare, ad esempio, in regime di classe ISO 3, lo sia anche per tutte le altre classi che vanno dalla ISO 4 alla ISO 9, perché meno severe.

La prova di rilascio di particelle per frizione può non essere necessaria per i prodotti destinati a rivestire pareti e soffitti, perché è indubbio che è scomodo per qualsiasi operatore compiere il proprio lavoro in camera bianca camminando o strisciando su tali superfici.

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