Sicurezza in cantiere, attenti: senza parapetti anti-caduta è omicidio colposo. I paletti della Cassazione
Cassazione: l'uso delle cinture di sicurezza non sostituisce l'obbligo di approntare impalcature e ponteggi in caso di lavori ad altezze superiori a due metri. Se ci scappa la tragedia è omicidio colposo
In caso di caduta dall'alto mortale, se nel cantiere non erano stati approntato i parapetti anti-caduta il titolare dell'impresa risponde di omicidio colposo. La Cassazione, nella recente e importante sentenza 23140/2019 del 27 maggio scorso, mette i paletti sugli obblighi del datore di lavoro riguardo la sicurezza in cantiere, soprattutto per quel che riguarda i parapetti.
Per la Corte suprema, che nel caso specifico si trova di fronte alla morte di un operaio che stava lavorando ad un altezza superiore ai due metri, l'obbligo del datore di lavoro, nel caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, di apprestare (quando possibile) impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali, non può essere sostituito dall'uso delle cinture di sicurezza.
Le cinture di sicurezza non bastano: servono i parapetti se si lavora a più di 2 metri di altezza
La Cassazione boccia il ricorso dell'imprenditore che, tra l'altro, puntava a far valere il fatto che i parapetti non sarebbero stati necessari, visto che gli operai avevano in dotazione le cinture si sicurezza.
Non è così per gli ermellini, poiché "in caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri», l'obbligo del datore di lavoro "di apprestare impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali, non può essere sostituito dall'uso delle cinture di sicurezza, previsto solo sussidiariamente o in via complementare".
In definitiva, in tema di infortuni sul lavoro, l'uso delle cinture di sicurezza - misura di carattere generale e imperativo - deve essere adottato in tutti i casi in cui il lavoratore sia esposto al rischio di caduta dall'alto, con la sola esclusione della ipotesi di presenza di impalcati di protezione e di parapetti idonei a scongiurare del tutto il rischio di caduta: ne consegue che l'esonero dalla protezione delle cinture non è previsto allorché tali parapetti siano idonei soltanto a facilitare il lavoro, o, tutt'al più, ad attenuare soltanto il rischio (Sez. 4, n. 10213 del 13/1/2005, Vecchiato, Rv. 231249).
Committente e datore di lavoro: di chi è la responsabilità?
Un'altra contestazione, secondo la difesa, è quella relativa alla legge 494/1996 e al DPR 222/2003, in bae alle quali l'adozione dei parapetti "nell'ambito del Psc" sarebbe stato un obbligo da imputare al committente e non al datore del lavoro.
La Cassazione è chiara: "la normativa richiamata è stata adottata per ampliare, non certo per restringere, la sfera di tutela del lavoratore e dei luoghi di lavoro" per cui i vari piani come ad esempio "il Piano di sicurezza e coordinamento redatto dal committente o dal responsabile dei lavori, il Piano di sicurezza sostitutivo redatto dall'appaltatore o dal concessionario e il Piano operativo di sicurezza, redatto da ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici" sono "strumenti che all'evidenza non si sostituiscono, ma si integrano, nell'ottica di una sicurezza del cantiere che il legislatore tende a garantire sempre con maggiore rigore".
La negligenza del lavoratore
In ultimo, non tiene la tesi che parla di negligenza del lavoratore coinvolto nell'incidente, caduto dal lastrico della palazzina, mentre era impegnato a srotolare una guaina di impermeabilizzazione "di spalle all'esterno, così via via avvicinandosi sempre di più al margine, dal quale era, infine, purtroppo precipitato".
Anche su questo punto la Corte ricorda che "il comportamento negligente del lavoratore infortunato non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro", quando l'evento sia comunque da ricondurre "all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente".