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Sicurezza delle Infrastrutture: non bastano i monitoraggi, ci vogliono persone esperte e preparate

Intervista al Prof. Ing. Marcello Arici, docente di Teoria e Progetto di Ponti presso la Università di Palermo

Sicurezza delle Infrastrutture: intervista al Prof. Ing. Marcello Arici, docente di Teoria e Progetto di Ponti presso la Università di Palermo

marcello-arici-uni-palermo.jpgPonti: le attività di progettazione di una nuova struttura o di un intervento su una struttura esistente, possono essere eseguite da uno strutturista generico?

Per progettare un ponte o intervenire su un ponte esistente è necessario un progettista esperto con conoscenza approfondita del cemento armato e del cemento armato precompresso, delle costruzioni in acciaio e delle strutture miste acciaio-calcestruzzo, che conosca le problematiche della teoria dei carichi mobili, delle deformazioni differite nel calcestruzzo. Non tutte queste tematiche sono sviluppate nei corsi di scienza e tecnica delle costruzioni delle facoltà di ingegneria e nei corsi di ingegneria civile delle università italiane. É necessaria, inoltre, una pratica specifica ed esperienze progettuali e di cantiere nel campo delle strutture da ponte.

Il web è pieno di foto di strutture in cemento armato che mostrano i ferri di armatura. Questo denota una situazione ormai fuori controllo? Esiste un problema "manutenzione infrastrutture" generale su tutta la nostra rete viaria?

Il problema è molto esteso nella rete viaria, ma anche negli edifici in cemento armato costruiti dopo gli anni ‘60. Il problema denuncia una cattiva esecuzione e materiali scadenti.
Prima degli anni ’60, forse per paura o maggiore coscienza, le costruzioni presentavano minore degrado.
I materiali presentano oggi intrinsecamente migliori caratteristiche di resistenza ma esigono maggiore approfondimento tecnico e cura nell’esecuzione. La pratica del calcestruzzo da semplice tecnologia è diventata scienza. Non è il calcestruzzo il colpevole ma il suo cattivo uso. La cultura della manutenzione è poco conosciuta e praticata. Il costo della manutenzione delle infrastrutture va inserito fin dalla fase progettuale. Meno si spende in fase progettuale per la durabilità maggiore è il costo della gestione e manutenzione.

Vale la “Legge del 5di De Sitter: “Ad ogni fase dalla progettazione alla esecuzione ed infine alla gestione, ciò che non si è speso nelle fase precedente, per prevenire il degrado, comporta un aumento dei costi pari a 5 volte per il recupero nella fase successiva. In 5 passaggi i costi si amplificano di 25 volte”. Inoltre, in Italia, si spera (e ci si illude) in un buon risultato, con le gare al massimo ribasso, con ribassi iniziali elevatissimi che successivamente comportano il raddoppio di costi fino al completamento. Moltissime opere restano inoltre incompiute. Infine domandiamoci: perché i costi delle nostre infrastrutture sono molto più elevati che nelle altre nazioni europee?

Quali sono le procedure attuali di monitoraggio dei ponti e viadotti adottate, anche a livello internazionale?

La mancanza dei fondi delle amministrazioni è cruciale. La cultura della manutenzione, come si è già detto, è poi sconosciuta. Gli addetti ai lavori di manutenzione delle infrastrutture, nelle pubbliche amministrazioni, sono assai carenti sia come numero che come preparazione specifica. Le università italiane non offrono corsi o master per la gestione e manutenzione delle infrastrutture, siano esse strade, ponti, acquedotti o dighe. La manutenzione programmata delle infrastrutture, così come per le auto o le lavatrici, e ancora assai lontana. Visto il grande numero delle infrastrutture il problema è sentito in tutti i paesi del mondo. Noi, poi, siamo sempre il fanalino di coda. 

Un esempio: in Giappone un importante ponte in legno, soggetto a manutenzione programmata, veniva sottoposto a sostituzioni parziali ogni 5 anni. Le singole parti venivano sostituite e rinnovate a rotazione ogni 5 anni anche senza ammaloramenti. Dopo 30 anni il ponte era completamente rinnovato e praticamente nuovo.

Per noi è chiaramente una utopia. I sistemi di monitoraggio per i ponti, e non solo, esistono e sono stati sviluppati in tutto il mondo (p.es. esistono numerose proposte per il Bridge Management System). Ma occorrono fondi, personale preparato, cultura della manutenzione e la volontà di perseguirla.

Le ferrovie e il corpo gli ingegneri ferroviari italiani sono sempre stati un esempio di efficienza nel campo della prevenzione e manutenzione, ma ora anche loro cominciano a perdere colpi. Sembra che né le scuole di ingegneria nè tanto meno le nostre pubbliche amministrazioni abbiano messo a fuoco il problema. Molte università italiane hanno addirittura soppresso i corsi di “Teoria e costruzione di ponti” per mancanza di fondi e di lungimiranza.

Quali sono le più recenti tecnologie di monitoraggio e controllo delle infrastrutture?

É un campo della tecnologia che si è molto sviluppato e comprende tecniche di controllo remoto, controlli dinamici, controllo delle vibrazioni ambientali sotto traffico, utilizzo di diverse tipologie di sensori ecc. Tuttavia queste nuove tecnologie richiedono personale altamente specializzato, una corretta programmazione dei controlli sulle varie reti infrastrutturali ed infine, anche se automatizzati al massimo, richiedono sempre delle fasi decisionali e interpretative da parte di operatori umani attenti, competenti e responsabili, che operino senza inerzia con una visione globale.

Il monitoraggio di un ponte può avvenire anche solo attraverso sistemi digitali (sensori, rilevamento satellitare della posizione…)?

Ho già risposto nella precedente domanda. C’è sempre bisogno dell’uomo per le decisioni responsabili. Inoltre i sistemi classici per la valutazione delle deformazioni nel tempo o le indagini dirette tramite visite d’ispezione credo siano difficilmente eliminabili.

È possibile eseguire dei monitoraggi efficaci delle armature di precompressione interne alla struttura?

Sono state sperimentate tecniche di diagnosi efficaci ma non, di per se, esaustive. Occorre sempre un processo di valutazione complessivo e per una corretta interpretazione occorre il giudizio esperto che porti alla diagnosi finale (così come in medicina).

Esiste un controllo/monitoraggio che sia in grado di assicurare la sicurezza di un'opera in modo assoluto?

L’assoluto non è una condizione umana. Così come non esistono materiali eterni né millenari, neanche l’acciaio. L’entropia cresce sempre anche con il contributo degli umani. In altre parole esiste sempre un meglio e un peggio in relazione alle diverse soluzioni, così come ogni materiale ha le sue caratteristiche, pregi, difetti e limitazioni che vanno utilizzati al meglio dal progettista. Per la cronaca i grattacieli più alti del mondo sono oggi in calcestruzzo HPC.

Negli ultimi anni c’è stato un cambio radicale delle norme per quanto riguarda la sismica. Esiste un problema sismico delle nostre infrastrutture? E quali strutture riguarda principalmente?

Le norme tecniche sono troppo complesse e articolate, non solo in campo sismico, e spesso non alla portata dei tecnici che vi operano, costringendoli troppo spesso ad utilizzare acriticamente programmi di calcolo che non conoscono e che non sono in grado di gestire. Inoltre le norme non devono mai essere prescrittive. Una semplificazione legata ai principi e concetti base della scienza e della tecnica delle costruzioni, al conceptual design, alle buone regole dell’arte e di esecuzione darebbe un grande contributo. Questo è vero non solo per le norme tecniche ma per l’intera legislazione civile.

Per quanto riguarda la vita utile di una infrastruttura, considerando le norme, i modelli di calcolo e progettazione, i materiali che venivano utilizzati negli anni sessanta… cosa dovremmo fare per quelle infrastrutture che hanno superato i cinquant’anni?

La vita utile di una struttura è qualcosa di nominale. É un riferimento per valutare il periodo di ritorno di alcune azioni, per intervenire con manutenzioni ordinarie e straordinarie e decidere le necessità di rinforzo o di limitazioni nell’uso. In ogni caso bisogna tener conto dell’invecchiamento e - quando necessario - della sostituzione per obsolescenza.

Negli Stati Uniti vi sono ponti come quello di Brooklyn o il Golden Gate che non mostrano segni di decadimento dopo tanti anni?

Perché queste strutture sono fortemente curate sotto il profilo della manutenzione. Le parti metalliche ad esempio sono verniciate in continuo, non appena completati si ricomincia di nuovo (così come avviene per la Torre Eiffel in Europa), i cavi sono monitorati e controllati in continuo da organismi ad “hoc” e dalle università. A parte questo, anche in Nord America abbiamo assistito a parecchi crolli di ponti ed infrastrutture. Nessuno è perfetto.

Quanto ha inciso, e incide, il problema del fuoco nella scelta degli interventi di manutenzione dei ponti esistenti? E di quelli nuovi?

Secondo un mio personale convincimento incide molto poco, trattandosi di ponti e non di edifici civili né di grattacieli. Sono altre le cause da attenzionare e mettere a fuoco correttamente.

Quali sono i controlli preliminari che vengono realizzati prima di partire con la progettazione di un ponte/viadotto e quanto tempo richiedono?

Gli studi e i controlli preliminari devono essere accurati, approfonditi ed intellettualmente onesti, valutando correttamente costi, fattibilità e conseguenze ambientali. Questo, ovviamente, vale tanto per la progettazione degli interventi che per le successive fasi di costruzione. Per quanto riguarda il ponte Morandi bisogna valutare dapprima i tempi, i costi e le conseguenze ambientali della demolizione totale del viadotto, che non è ancora obsoleto, nonché degli edifici sottostanti. Le macerie andrebbero ad invadere l’intera vallata del Polcevera, creando problemi molto complessi di vivibilità ambientale per il loro necessario smaltimento. I tempi delle demolizioni e smaltimento sarebbero inoltre enormi. Bisognerebbe contemporaneamente e parallelamente indagare sul possibile mantenimento delle strutture del viadotto che sono rimaste in piedi (circa 1 km). Queste strutture dovrebbero essere indagate a fondo e, se possibile, mantenute rinforzandole ed adeguandole con la possibilità di operare a traffico fermo, con tecnologie e materiali esistenti ampiamente validati ed in tempi certamente inferiori a quelli richiesti dalle demolizioni. Il risultato finale potrebbe essere certamente più sicuro rispetto alla maggior parte dei ponti e viadotti in esercizio nella rete autostradale italiana. Contemporaneamente, si potrebbe progettare ed eseguire la ricostruzione della parte crollata (200 metri circa) negli stessi tempi necessari per rinforzi e adeguamenti. Infine, si potrebbe richiedere al progetto e perseguire - a lavoro ultimato - una vita utile dell’intero viadotto di altri 100 anni. Le somme risparmiate e le economie di scala che si potrebbero conseguire, potrebbero essere utilizzate per il completamento del sistema infrastrutturale della regione Liguria (la cosiddetta Gronda), necessario - come purtroppo si è avuto modo di vedere – per affiancare il ponte Morandi e scaricarne il traffico, ridisegnando urbanisticamente, al contempo, la porzione di territorio duramente colpita dall’immane tragedia del crollo. 

Viadotto Polcevera: qualora si valutasse la soluzione di mantenere parti esistenti del viadotto, l’integrazione con una nuova parte potrebbe generare delle problematiche strutturali alle parti esistenti?

Non mi sembra che sussista il problema. La parte da ricostruire potrebbe sposarsi perfettamente con la parte esistente da ripristinare prevedendo naturalmente le opportune transizioni. Inoltre la parte riprogettata e ricostruita rappresenterebbe una colta scelta di continuità tra un sobrio monumento alla memoria delle vittime e della tragedia subita ed il mantenimento della memoria di uno dei più grandi progettisti italiani che continua a essere un grande patrimonio nazionale, sanando almeno parzialmente la profonda ferita che Genova e l’Italia hanno subito.

In genere i viadotti che attraversano ampie valli prevedono soluzioni con il numero minimo di pilastri. Una soluzione come quella di Piano sul Polcevera con un numero importante di pilastri potrebbe avere degli effetti di impatto ambientale sull’eco sistema?

Piano, con la sua proposta, ha dato una immediata prova di generosità ed operatività dichiarando però esplicitamente che non si tratta assolutamente di un progetto concretamente e direttamente utilizzabile. Il progetto vero richiede approfondite valutazioni tecniche comparative di costi e benefici, valutazione dei tempi di realizzazione e le corrette valutazioni ambientali.

Esistono esempi recenti di interventi di sostituzione parziale di ponti e viadotti nel mondo?

Soffermandoci, per brevità, soltanto al caso Italia, ecco due esempi dall’esito molto differente: il primo, Il ponte esploso per cause esterne e successivamente crollato a Bologna, sull’autostrada A 14, è stato immediatamente ricostruito ed in due mesi ne è stata ripristinata la continuità ed il secondo, il viadotto Imera sulla autostrada A19 in Sicilia. Dopo il crollo per frana si è inizialmente deciso di demolire i due viadotti, quello in direzione Catania e quello in direzione Palermo e ricostruire i viadotti demoliti in 18 mesi. Dopo un anno, completata una bretella stradale di raccordo, sulla base di opportune valutazioni tecniche, si è deciso di mantenere in vita la carreggiata in direzione Palermo. Dopo 42 mesi non c’è ancora traccia del nuovo viadotto. Speriamo che a Genova si superino le incertezze e le prese di posizioni aprioristiche della prima ora, che ancora vengono dogmaticamente diffuse, e si segua l’esempio pragmatico di Bologna e non quello siciliano.