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Si allargano i redditi da assoggettare a contribuzione INARCASSA

Una sentenza della Cassazione estende l'obbligo contributivo alle attività che presentano un nesso con l'attivita' professionale

Una sentenza della Cassazione estende l'obbligo contributivo alle attivita' che presentano un nesso con l'attivita' professionale
 
Per un ingegnere anche l’attività di consulente informativo e di amministratore di società commerciale obbliga ai versamenti Inarcassa.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14684/2012, superando un bel po’ di giurisprudenza contraria che invece legava il pagamento alle sole “attività riservate ai professionisti” (Cass. 11154/2004; 3468/2005; da ultimo 1139/2012).
 
Quindi tutti  i  redditi  professionali,  anche  quelli  derivanti  da  attività  diverse  ma  comunque collegate all’attività professionale, sono assoggettabili a contribuzione obbligatoria a favore della  Cassa  di  previdenza  di  categoria.  
La Corte ha infatti rigettato il ricorso di un ingegnere iscritto a Inarcassa che contestava la richiesta di pagamento di contributi su redditi professionali derivanti dalle attività di consulenza per elaborazione dati e programmazione e per l'attività di amministrazione di una società. Che,
secondo il professionista, non erano dovuti perché estranei all'attività di ingegnere libero professionista. 
Di parere contrario i giudici della Cassazione che, contrariamente ad altre sentenze della stessa Corte (Cass. n. 11154/2004 e 2468/2005), hanno adottato un nuovo indirizzo interpretativo che amplia il concetto di attività professionale all’evoluzione delle
competenze tecniche che costituiscono il bagaglio professionale dell’iscritto. Secondo la Corte, infatti, oltre alle attività riservate, tra le attività professionali soggette a obbligo contributivo rientrano anche quelle che «pur non professionalmente tipiche, presentino
tuttavia un "nesso" con l'attività professionale strettamente intesa». 
Una interpretazione, rilevano i giudici, valida per tutte le categorie professionali.

Una interpretazione, ricorda la Cassazione, “già suggerita dalla Corte costituzionale”, con la sentenza 402/1991, secondo cui per esercizio professionale “deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per la loro intrinseca connessione, ai contenuti dell’attività propria della libera professione”, rimanendone dunque escluse “solo quelle che non hanno niente in comune”. 
In definitiva quello che conta “è la connessione fra l’attività (da cui il reddito deriva) e le conoscenze professionali, ossia la base culturale su cui l’attività stessa si fonda”.