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SCIA o non SCIA, le opere aggiuntive su immobili o parti di immobili abusivi sono sempre illegali

Quando l'opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive comunque finalizzate al suo consolidamento, il proprietario (anche se diverso dall'autore dell'abuso) non acquista il diritto di ricostruirla o comunque di ristrutturarla o manutenerla senza alcun titolo abilitativo anche se originariamente l'abuso non sia stato represso, giacché anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente.

Tradotto: non si possono effettuare lavori di rivestimento con pietre a faccia vista della parete esterna di un garage, di modifica dell'accesso al medesimo garage mediante la realizzazione di una finta colonna in malta cementizia, di posa in opera, sul terrazzo costituente la copertura del garage, di una pensilina con struttura metallica e lastre di vetro e rifacimento degli intonaci della facciata del garage, se il garage è parte di un fabbricato abusivo. La conseguenza è un illecito penale.

La Cassazione ricorda questi importanti paletti nella pronuncia n.648 dell'11 gennaio 2021, confermando quanto sancito dalla Corte di Appello, che aveva sì qualificato gli interventi come di manutenzione straordinaria (e quindi assentibili con semplice SCIA) ma affermandone la penale rilevanza ai sensi degli artt. 181 del d.lgs. 42/2004, e 44 lett. c) del dpr 380/2001, perché il garage costituiva parte di un fabbricato abusivo oggetto di domanda di condono rifiutata e destinatario di un ordine di demolizione.

La mancanza di un progetto, della denunzia allo Sportello Unico e di preavviso, concorrevano a qualificare penalmente gli interventi ai sensi delle altre disposizioni di legge sopra indicate, trattandosi di lavori effettuati in zona sismica e che potevano interessare la pubblica incolumità.

Il principio dell'abuso sull'abuso

In definitiva, qualsiasi intervento su una costruzione realizzata abusivamente costituisce ripresa dell'attività 'criminosa' originaria, integrante un nuovo reato identico a quello precedente. Ciò sul decisivo rilievo che se l'opera abusivamente realizzata (e non sanata) deve essere demolita e non può essere oggetto, nemmeno in parte, di trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali (art. 46 del dpr 380/2001), non se ne può contraddittoriamente consentire la conservazione, dovendosene invece ordinare la demolizione nella sua interezza, se a tanto in precedenza non si sia provveduto.

Ne è stato tratto l'ulteriore corollario secondo il quale il regime di denuncia di inizio attività (d.i.a., ora segnalazione certificata di inizio attività, s.c.i.a.) non è applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti il cui originario carattere abusivo è stato accertato con sentenza definitiva e che non risultino essere stati oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente (Sez. 3, n. 30168 del 24/05/2017, Rv. 270252 - 01; Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rv. 261330 - 01; Sez. 3, n. 1810 del 02/12/2018, dep. 2019, Rv. 242269 - 01; Sez. 3, n. 21490 del 19/04/2006, Rv. 234472 - 01).

Non ha alcuna rilevanza, di conseguenza, il fatto che i lavori fossero iniziati e ultimati prima della definizione (negativa) della pratica di condono.

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