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Salva Casa: un'occasione mancata

Nonostante la bontà dei propositi, la traduzione legislativa degli obiettivi del Decreto Salva Casa è stata quasi sempre parziale, incerta, reticente e di rinvio a successiva disciplina (regionale o a volte anche comunale). Cosa serve per rendere operativo un provvedimento che aveva buone intenzioni ma rischia di restare un'occasione persa?

In questo scritto l’Autore esamina lo scarto tra le dichiarazioni d’intenti del Salva-Casa e sua effettiva formulazione giuridica che non ne ha saputo dare concreta e inoppugnabile traduzione.

Un diffuso stato di incertezza grava sulle nuove norme e ne inibisce l’applicazione invalidandone l’efficacia quando potevano essere l’occasione di un funzionale riordino della materia.

Forse potrebbe ancora esserne possibile il recupero.


Tra il dire e il fare

C’era del buono nelle intenzioni del Salva-Casa.

Erano tese al perseguimento degli obiettivi di (leggo testualmente dall’introduzione al d.l.):

  • semplificazione in materia edilizia” e “superamento delle incertezze interpretative”;
  • recupero del patrimonio edilizio esistente “ e “riduzione del consumo di suolo”;
  • rilancio del “mercato della compravendita immobiliare”.

Il riordino della materia no, non era in programma e pare proprio che non se ne voglia più parlare.

Le intenzioni erano buone, la loro traduzione in legge però lo è stata un po’ meno.

 

La verifica dell’efficacia

L’efficacia di una legge si misura dai risultati e certamente ancora è presto per trarre conclusioni sul raggiungimento degli obiettivi strategici.

Quel che si può dire oggi - perché è sotto gli occhi di tutti gli operatori pubblici e privati – è che dopo più di tre mesi dalla conversione in legge si versa ancora in uno stato confusionale generalizzato e non si è verificato quell’atteso ricorso in massa alle nuove norme.

Certamente quindi non si è raggiunto l’obiettivo della “semplificazione in materia edilizia e urbanistica” né il superamento “delle incertezze interpretative” (e dire che era un obiettivo “necessario e indifferibile” addirittura richiamato due volte nelle premesse).

Questo obiettivo, possiamo ben dirlo fin d’ora, non è stato raggiunto.

 

La diffusa irregolarità edilizia ostativa al mercato immobiliare

Tralasciamo per ora la questione del recupero dell’esistente e del consumo di suolo (ne parleremo più dettagliatamente più avanti) e approfondiamo meglio la dichiarata “necessità e urgenza di rilanciare il mercato della compravendita immobiliare”.

Mercato che è rallentato dalla crisi economica, ma indubbiamente anche dalle diffuse difformità di cui è affetto e dall’esigenza di procedere prioritariamente alla “regolarizzazione prima dell’alienazione.

Esigenza che avrebbe dovuto essere presente da sempre, ma su cui – diciamoci la verità – si era spesso soprasseduto. Ed anche le risolutive originarie intenzioni della legge n. 47/85 sono state sostanzialmente depotenziate dalle successive permissive interpretazioni e …. dalla prassi.

Esigenza resa invece cogente con il restringersi delle maglie di controllo vuoi per effetto della necessità della dichiarazione dello stato legittimo (preordinato sia alla realizzazione di nuove opere che alla compravendita consapevole), vuoi per il rigore (chiamiamolo così) delle regole di sanabilità delle difformità condizionate solo dalla cosiddetta doppia conformità dell’articolo 36 del DPR 380/01.

Regole indubbiamente rigorose e ineccepibili in un mondo ideale, ma effettivamente non rispondenti al mondo reale (in particolare del passato).

Situazione di impasse che periodicamente faceva riemergere l’aspettativa di un ennesimo “condono”.

 

Il rigore retroattivo e la crisi esistenziale

Vero è che, in una sorta di evoluzione involutiva (ci si perdoni l’ossimoro), ci si è progressivamente aggrovigliati in una prassi interpretativa del passato (anche un po’ inquisitoria se vogliamo essere sinceri) con l’ottica rigorosa del presente: e qui la distanza tra mondo ideale (odierno) e mondo reale (di ieri) si è manifestata in macroscopica evidenza.

Ne è emersa una dicotomia culturale ed etica:

  • continuare a consentire, come nel passato, la compravendita immobiliare o interventi sull’esistente chiudendo gli occhi ove fosse gravato da diffuse difformità o parziali abusi
  • o prevedere modalità di “regolarizzazione” più agevolate (magari solo per il pregresso) in riconoscimento di consolidate (e ben note) prassi.

La prima soluzione era impraticabile per coerenza, etica e giustizia sostanziale.

La seconda però si scontrava necessariamente con le posizioni più intransigenti di rigore etico (prima ancora che giuridico).

Poiché la regolamentazione giuridica deve rispondere ad un fine e non può essere astratta si è cercato di intraprendere questa seconda via che però – come appare evidente dal testo che ne è uscito – ha dovuto fare i conti con retropensieri, scrupoli morali, ripensamenti e incertezze producendo formulazioni tra il detto e il non detto, spesso ambigue e oggetto oggi delle difficoltà interpretative che si dichiarava di voler superare.

Espressione di un sotteso “Vorrei ma non posso”.

Ne è uscito un testo:

  • in parte retroattivo;
  • in parte di immediata applicazione;
  • in parte di “principi inderogabili” subordinati però a successivi interventi legislativi regionali o (addirittura) normativi comunali;

spesso, comunque, di dubbia interpretazione in cui traspare tra le righe una sorta di crisi di coscienza combattuta tra

  • il rispetto della legalità (attuale);
  • il rispetto delle giustizia sostanziale e dell’equità;
  • la ricerca dell’equilibrio e della tolleranza;
  • l’esigenza pratica di far emergere e regolarizzare l’esistente irregolare.

Questo travaglio esistenziale traspare e sottende la legge Salva-Casa, ove ogni nuova proposta di soluzione giuridica innovativa e di buon senso (ispirata alle finalità dichiarate) è contestualmente stemperata e condizionata. Spesso rinviata ad integrazioni normative di altre Autorità, che risulta essere, ad un tempo, rispetto del principio di legislazione concorrente, ma anche delega ad altri della responsabilità dell’applicazione operativa finale.

Ne esce un testo sostanzialmente timido e poco autorevole perché spesso ambiguo e incomprensibile, fonte (lo dimostrano i fatti) di non poche fondate perplessità applicative.

 

 

Però le intenzioni erano buone. Ripercorriamole

Ciononostante le finalità dichiarate erano buone e buone (anche se non tutte) le modalità proposte di risoluzione.

Limitandoci al solo tema della regolarizzazione delle difformità pregresse commenteremo ciò che di buono riteniamo che ci fosse (e che ancora c’è).

 

1 – Le tolleranze (i “non abusi”)

Buona l’dea di riconoscere la prassi (consolidata e diffusa) di “tollerare” le diverse modalità di apprezzamento delle “difformità esecutive veniali” sia in fase di progettazione/esecuzione che in fase di “agibilità”.

La norma è solo retrospettiva e riconosce la “non difformità” di quelle variazioni “scusabili in funzione di pregresse prassi” che quindi vengono sottratte al regime della sanatoria (non è una sanatoria e nemmeno un condono: se all’epoca non erano difformità non c’è niente da sanare).

Come tutte le norme parametriche la maggiorazione delle percentuali di difformità non riconoscerà tutte le situazioni, ma tant’è.

Quel che lascia un po’ più perplessi è l’agibilità sanante che dipende dell’accertamento degli uffici tecnici.

Di questo abbiamo già detto (v. InGenio: 23.08.2024 – La Tollerabilità nel Salva-Casa tradotta in due articoli apparentemente diversi ma contigui fisicamente e concettualmente”).

 

2 - La sanabilità ex giurisprudenziale

Buona l’idea di disciplinare la cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” che tanto ha fatto discutere in passato sia la dottrina che la giurisprudenza e sulla quale anche noi abbiamo più volte scritto.

Si è disquisito molto in passato sul fatto che non fosse “legale” perché non disposta per legge, come se la definizione di “giurisprudenziale” la dovesse di per sé renderla illegittima: le due definizioni non sono tra loro escludenti.

L’Emilia-Romagna (ad esempio) l’aveva già resa legale per legge regionale ed anche la Bozza di Nuovo Testo Unico delle Costruzioni se ne era fatto carico (v. InGenio – 15/12/2020 - “Interessanti novità sulla sanatoria nel Nuovo Testo Unico dell’Edilizia” e Nel Nuovo Testo Unico dell'Edilizia molto di più della sanatoria ...).

Certo la regolamentazione che ne è stata data potrà non soddisfare tutti, e va anche detto che la sua disciplina apre altri scenari di difficile interpretazione. Ora però abbiamo una disciplina di legge e la smetteremo di discutere sulla applicabilità: d’ora in poi non sarà più “giurisprudenziale” ma anch’essa legale.

In disparte ogni valutazione discrezionale (di opportunità e moralistica – che tanto hanno caratterizzato il dibattito pregresso) il Legislatore si è ripreso il Suo (legittimo) potere decisionale discrezionale.

Visto come è facile passare dall’illegittimo al legittimo? Basta cambiare la legge!

Al netto delle valutazioni etiche ha prevalso il fine pratico/utilitaristico.

 

3 - Buono il riconoscimento della sanabilità degli abusi paesaggistici, già riconosciuti dalla giurisprudenza, ma non dalla legge e spesso oggetto di imbarazzanti comportamentI delle pubbliche amministrazioni.

 

4 - Buona la sanabilità sismica di cui molto si era occupata la dottrina e non il Legislatore.

 

5 - Buona – anche se forse non proprio coerente – la separazione della sanabilità individuale della singola unità immobiliare dalla conformità dell’intero edificio.

 

TUE AGGIORNATO AL SALVA CASA

 

La previsione delle diverse forme di sanabilità con norme a regime è un’innovazione strutturale della norma: per cui adesso basta parlare di condoni

Il quadro sopra esposto ci restituisce una panoramica completa delle modalità di sanabilità degli abusi esistenti introducendo il finalmente il concetto di sanabilità “a regime” (che è cosa ben diversa dal condono a termine con esiti fallimentari come la storia insegna) che già anche su queste pagine avevamo auspicato per dare certezze sulle modalità di “regolarizzazione” degli abusi. (v. InGenio: 02.10.2023 - “Nuovo condono edilizio? Forse che sì, forse che no”).

Sotto questo aspetto potremmo ritenere le innovazioni apportate al precedente ordinamento una integrazione organica alla legge n. 47/85 che (ben oltre il condono) prevedeva un sistema generalizzato di repressione degli abusi.

Uno degli elementi di fallimento delle leggi di “condono” infatti è stato anche quello di aver previsto norme eccezionali da sfruttare però in un lasso di tempo limitato, oltre il quale la possibilità di regolarizzazione svaniva per sempre (lo abbiamo già detto in un precedente scritto in cui auspicavamo una normazione “a regime” attivabile al bisogno senza limiti temporali.

La regolarizzazione del patrimonio edilizio sarà più lenta ma totale, perché si delinea un quadro di sanabilità diversificato per tipologia di abuso e si mette una pietra sopra alle aspettative di un futuro condono.

Nonostante l’ampliamento delle maglie della sanabilità – non tutto sarà sanabile, ma non per questo dovrà essere demolito; c’è una possibilità intermedia: la sanzionabilità.

Se le condizioni sono chiare e “a regime” ciò che è sanabile sarà sanato, ciò che non è sanabile sarà demolito o, se possibile, sarà sanzionato.

La sanzione non sana, ma conserva comunque il bene o, per essere più esatti, non ne prevede più la demolizione.

Per cui ciò che resterà non demolito sarà stato, per così dire, “regolarizzato” se vogliamo usare una terminologia meno tecnica ed onnicomprensiva ma ben comprensibile (e comunque non più demolibile). Tanto che la modifica all’articolo 9-bis, comma 1-bis ne riconosce la “legittimazione” (o, per dir meglio, ne elimina l’abusività).

Il Salva-Casa non si spinge però fino a dichiarare l’equivalenza sanzione-sanatoria che ben si poteva affermare, perché diversamente resta in dubbio l’eseguibilità degli interventi successivi su di un bene non “sanato” ma che comunque va conservato.

Visto che ne evita la demolizione si poteva ben riconoscere l’equivalenza della sanzione alla sanatoria (qualche legge regionale lo aveva già fatto).

Qui il Legislatore ci è andato vicino, ma non lo ha detto esplicitamente: è stato timido.

 

Un’occasione persa

La riorganizzazione/integrazione delle norme sulla sanabilità e sanzionabilità delle opere abusive dà (rectius: poteva dare) alla legge Salva-Casa un respiro non casuale e contingente ma strutturale di riordino della repressione degli abusi, degno epigono della legge n. 47/1985 (riduttivamente detta “del condono edilizio”) che intendeva regolamentare la repressione degli abusi disponendo “Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia” come dichiarava il titolo.

Nonostante la bontà dei propositi purtroppo la traduzione legislativa di questi obiettivi (principi?) del Salva-Casa è stata quasi sempre parziale, incerta (direi anche timida), reticente e di rinvio a successiva disciplina (regionale o a volte anche comunale).

Il che non ne rende pacifica, lineare e inoppugnabile l’immediata applicazione come sarebbe stato auspicabile per una norma introdotta all’insegna dell’urgenza e indifferibilità.

E infatti le sanatorie sono al palo e il mercato immobiliare non ne sta fruendo.

Il pragmatismo degli intenti è stato vanificato dal bizantinismo dei distinguo burocratici.

Certo è presto per fare una valutazione di efficacia, ma l’impressione generale attuale è questa perché non è stato raggiunto l’obiettivo base: il superamento delle “incertezze applicative” e “interpretative” come già possiamo certificare.

 

E adesso che si fa?

Così adesso tutti (o quasi tutti) aspettano i Legislatori regionali nell’auspicio che possano portare certezze interpretative o integrative della legge statale.

Personalmente non ripongo illimitata fiducia in questa aspettativa.

In materia interpretativa non ritengo che la legislazione statale sia interpretabile con atti regionali che comunque avrebbero la stessa valenza delle interpretazioni dottrinarie e minore valenza di eventuali future interpretazioni statali; comunque ben poco incidenti in sede di giudizio o a fronte di successiva giurisprudenza.

In materia integrativa esiste certamente uno spazio legittimo di intervento legislativo “concorrente” che però va esercitato per il perseguimento di quei principi di sussidiarietà e adeguatezza che lo reggono; per cui, al di fuori degli specifici rinvii che lo stesso Legislatore statale ha fatto ai legislatori regionali, non vedo peculiari aspetti di “specificità regionali” da tutelare e/o valorizzare che motivino integrazioni soggettive (di “sussidiarietà”) alla legge statale.

 

Le diversificazioni regionali: utilità e criticità

Ne uscirebbe una coriandolata di interpretazioni diversificate, difformi da regione a regione che indurrebbe un’inopportuna disparità di trattamento su fattispecie similari.

Anche perché in molti casi non si tratterebbe di normative meramente procedurali, ma incidenti sui contenuti patrimoniali tutelati dal diritto civile che non è materia di legislazione concorrente (si pensi anche solo alla legittimazione dell’esistente).

Aggravata dal fatto che ancora non si è ben capito fino a che punto le nuove norme del Salva-Casa (e quali) siano di principio o meno.

Le interpretazioni regionali potranno forse dare temporanea quanto illusoria copertura agli operatori, ma non contribuiranno più di tanto alla certezza del diritto e ipotizzo che si riapra una stagione di pericolosi contenziosi con la Corte Costituzionale che così abbondantemente hanno già caratterizzato la stagione della legislazione concorrente all’indomani della riforma costituzionale del 2001.

 

La preesistenza di legislazioni regionali

Tra l’altro si tenga conto che molte delle innovazioni che ho dianzi esposto già erano state introdotte in alcune legislazioni regionali, ma la loro traduzione statale non è stata identica e sovrapponibile per cui ci si trova nella curiosa incertezza se prevalgano le previgenti disposizioni regionali o le nuove formulazioni statali.

Solo in alcuni casi (ad esempio per i sottotetti) il Legislatore ha avuto l’accortezza di dirlo espressamente, ma il fatto che per alcuni casi l’abbia detto e per altre disposizioni no, rafforza la tesi della prevalenza della legge statale sopravvenuta.

 

E il Legislatore statale? Volendo potrebbe …

Poiché, come ho esposto in esordio, i temi affrontati dalla legge Salva-casa erano effettivamente strategici e tesi a risolvere anche in modo pragmatico criticità esistenti, forse sarebbe meglio che il Legislatore statale si riprendesse il potere di correggere, precisare, chiarire in modo uniforme le tante smagliature che ha lasciato nel testo attuale anche perché non si può delegare la semplificazione alle regioni, le quali – comunque e anche con le migliori intenzioni – potranno solo aggiungere (e non togliere) alla norma statale con evidente inevitabile aggravio di un testo che invece va chiarito e sfrondato in radice.

Con legge però (e non con circolari), come si sta facendo per il Codice dei Contratti Pubblici.

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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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