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Salva-Casa alla prova dei fatti nella transizione dal Paese virtuale al Paese reale

In questo articolo l’Autore affronta i presumibili impatti sull’apparato pubblico e privato cui è demandata l’applicazione normativa evidenziandone la complessità interpretativa, ovvero l’“adeguatezza” della norma alla capacità di metterla in pratica. Che, al di là del merito tecnico, potranno essere condizionanti l’efficacia.

Sui contenuti analitici del Salva-Casa molti hanno già scritto e pare superfluo ripetere l’elencazione delle “novità” ormai universalmente note.

Più formativo pare essere la disamina di merito dei singoli istituti e delle finalità che perseguono e la verifica di rispondenza delle norme alle (molte) attese.

Per questo svolgeremo riflessioni a più ampio spettro sui singoli temi cercando di coglierne di volta in volta le implicazioni sull’intero assetto e, magari, evidenziandone anche possibili implementazioni.

 

Habemus Salva-Casa

Dopo un bimestre compulsivo di proposte, attese, smentite adesso abbiamo un testo chiaro e leggibile.
Oddio, chiaro e leggibile non tanto, perché è:

  • di difficile composizione (fisica perché ancora sotto forma di inserto della legge di conversione nell’inserto del DPR 380/01 da comporre col fai-da-te non sempre chiarissimo)
  • di difficile lettura (da farsi in coordinato disposto con le norme richiamate)
  • di difficile interpretazione (sia perché pieno di incisi, di eccezioni e di rinvii – d’altra parte cosa volevi pretendere da un inserto nell’inserto? – sia perché in parte difficilmente comprensibile nella finalità di alcune disposizioni.

Però quello è, e bisogna pur applicarlo.

Diciamo subito - a scanso di equivoci - che molti sono gli aspetti positivi e condivisibili della nuova legge, anche se alcune innovazioni possono essere problematiche e creare criticità.

Qui però non si tratta di esprimere apprezzamenti o critiche nel merito: è finito il tempo delle proposte (di integrazione) ed è invece tempo di applicarla e di applicarla per bene.
E su questo aspetto – la corretta applicazione della nova legislazione – qualche perplessità sorge.

Vediamo analiticamente perché.

 

TUTTO SUL SALVA CASA

    

La norma non è definitiva. E’ incompleta e … interpretabile

Un primo punto su cui dobbiamo riflettere è che il testo uscito dal Parlamento non è definitivo.
O, meglio, è la base su cui si inseriranno:

  • le inevitabili implementazioni regionali, in parte espressamente richieste dalla legge, in parte dovute alle iniziative autonome delle regioni in ossequio al principio di legislazione concorrente che connota la materia edilizia
  • le implementazioni regolamentari dei comuni in base ai compiti che la legge espressamente demanda agli stessi.

Credo di essere buon profeta se ipotizzo che ci saranno Circolari interpretative che Enti di vario ordine e grado (statali, regionali, comunali, associativi, … ) certamente non vorranno far mancare sull’argomento.

Dunque, come si dice, “le bocce non sono ancora ferme” e trascorreremo un più o meno lungo periodo di assimilazione e implementazione della norma.

 

Un criterio interpretativo: l’orientamento al “risultato”

Al di là dei necessari approfondimenti è però fondamentale l’atteggiamento mentale (e culturale) che sarà posto all’interpretazione/applicazione della norma.

Ci piacerebbe che l’interpretazione applicativa fosse “sostanziale”, mirata al raggiungimento degli obiettivi posti dal Legislatore, in applicazione di quel principio di “finalizzazione al risultato” che il Codice dei Contratti Pubblici ha espresso in modo esplicito, ma che deve essere comunque sotteso a qualsiasi applicazione normativa, ancor più se di natura tecnica.

Applicando cioè il “principio del risultato” al “caso concreto” nell’esercizio di quei poteri discrezionali che qualsiasi norma consente all’operatore (così ben espresso al comma 4 del citato articolo 1 del Codice) anziché il criterio formalistico che pare avere avuto il sopravvento da un po’ di tempo in qua.

Sì perché – al di là di ogni valutazione di merito delle norme or ora emanate -se vogliamo che sortisca quella funzione salvifica che la titola dobbiamo pur chiederci perché siamo arrivati a questo punto e magari fare qualche riflessione sul passato utile al futuro.

Sono le norme che sono mancavano o è mancata la loro corretta applicazione?

  

Perché siamo arrivati a questo punto ?

Dobbiamo riconoscere che se siamo a questo punto è (anche) perché sempre più ci siamo discostati da una lettura finalistica e affidati ad una interpretazione sempre più formalistica della norma.

Dimenticando spesso che – oltre alle leggi – esiste (ed è sempre esistita) anche una “prassi” (che pure è fonte di applicazione giuridica) che abbiamo teso a disconoscere portandoci a “leggere” il passato con gli occhi di oggi (vedasi il tema delle tolleranze e non solo).

In passato molti aspetti, oggi oggetto di “normazione specifica”, erano risolti col buon senso o con tacita interpretazione tecnica non scritta, ma universalmente condivisa.

Abbiamo fatto la ricostruzione post-bellica con poche leggi fondamentali (la n. 1150/42, la n. 765/67, il d.m. n. 1444/68, la n. 47/85, la n. 10/77, la n. 457/78 e poco altro), leggi che oggi disconosciamo e critichiamo ritenendole superate e che invece (lo abbiamo sottolineato più volte) avevano visione e respiro.

Non si può dire che le cose si siano sempre svolte per il meglio (certamente no), ma se vogliamo essere obiettivi ciò è avvenuto più per mancanza di cultura e coerenza applicativa degli operatori (politica compresa) che non per carenza legislativa.

    

Dall’Urbanistica all’Edilizia … o viceversa?

Le leggi c’erano e demandavano la pianificazione alla redazione dei piani che si sono fatti malvolentieri, con ritardo e in modo spesso incompleto.

In buona sostanza il Legislatore di allora aveva demandato al Normatore Locale (e alle scelte politiche locali) l’applicazione di norme di contenuto generale in ossequio a quel principio (allora sotteso ed oggi esplicitato e richiamato espressamente) di sussidiarietà e adeguatezza.

Non aver saputo applicare coerentemente (non so se per carenza culturale o di volontà) quegli spazi regolamentari riservati ai piani ha dato motivo al Legislatore nazionale di intervenire con leggi di dettaglio togliendo spazio a quella discrezionalità che meglio avrebbe potuto (e dovuto) interpretare i bisogni.

E siamo scivolati nell’esasperazione normativa analitica come alibi rassicurante.

Cercando di fare Urbanistica tramite l’Edilizia.

Il DPR 380/01 è titolato “Testo Unico dell’Edilizia”, ma già si è occupato di urbanistica (come abbiamo già anticipato in – InGenio - 08/06/2022 – “Norme edilizie e norme urbanistiche: contigue ma non fungibili. Confonderle non aiuta a riformarle”) ed oggi ancor di più come analizzeremo specificamente.

    

L’incoerente applicazione passata

Sta di fatto che la mancanza di cultura e di un corretto esercizio della pianificazione ha portato ad un’esplosione normativa in edilizia sempre più dettagliata e raffinata (forse) sotto il profilo giuridico, ma sempre più distante e incomprensibile per i tecnici che devono applicarla perché estranea al loro linguaggio.

Vedo un certo impaccio da parte dei tecnici nell’applicazione di procedure sempre più complesse (percepite come “giuridichese”) certo evolute in ambito teorico (fors’anche troppo evolute), ma che non fanno parte della loro formazione scolastica (né professionale).

Sulla cui utilità bisognerebbe anche interrogarsi perché quando gli obiettivi sono chiari ben si possono esporre con parole semplici ed è noto che le cose semplici si capiscono e si applicano meglio di quelle complesse.

  

Paese reale e Paese virtuale

E proprio qui sta un vulnus che mi pare di dover cogliere anche nella nuova norma.
Se il Legislatore ci tiene a che le sue norme vengano poi applicate correttamente la Sua prima preoccupazione dovrebbe essere quella di usare un linguaggio chiaro e comprensibile a chi le norme le deve applicare perché “in claris non fit interpretatio”.

Invece già sappiamo che non sarà così.

Il Paese reale – quello dei tecnici pubblici (e privati) che dovranno applicarlo – non ha (allo stato) la preparazione giuridica adeguata alla comprensione e disamina di una materia così complessa, così giuridicamente articolata come è diventata oggi l’edilizia (sì, così com’è diventata, perché una volta non era così).

  

Un linguaggio tecnico sempre meno tecnico

Penso con partecipata preoccupazione ai tecnici comunali che devono applicare la nuova legge già dal 29 luglio scorso, senza neppure il beneficio della “vacatio legis” (e non mi si dica che la norma era nota già da due mesi perché in quel periodo si è detto di tutto e il contrario di tutto! E quella approvata è ben diversa dalla primigenia stesura).

Penso in particolare ai tecnici dei comuni medio-piccoli (che sono la maggioranza in Italia) e che si devono occupare di edilizia, di urbanistica, di paesaggistica, di sismica, di ambiente, di opere e lavori pubblici, di patrimonio, di espropri, …..

E non si scarichi il problema sulle spalle dei tecnici (comunali e non) rinviando semplicisticamente alla necessità di una loro più approfondita professionalizzazione.

Certo c’è anche questo problema ma il (buon) Legislatore deve preoccuparsi che le Sue disposizioni siano comprese e applicabili adesso nella condizioni date (non in un mondo ideale che non c’è).

Sbaglio o recenti vicende ci raccontano che nella stessa Milano (che non è città alla periferia dell’impero) hanno avuto difficoltà interpretative delle norme (nazionali, regionali, locali) ? e devo presumere che Milano abbia le meglio professionalità e specializzazioni in materia.

Il rischio è che, anche questa volta, si sconti l’abissale distanza tra Paese reale e Paese immaginato (virtuale) in cui il Legislatore pare disconoscere che c’è un problema di fondo costituito dalle competenze e professionalità esistenti.

Le argomentazioni finora espresse non sono un giudizio di merito dei contenuti della nuova legge, ma solo una preoccupazione sulla loro corretta applicabilità legata alle capacità professionali (e produttive) del mondo “tecnico” cui sono demandate.

   

Il problema dell’adeguatezza della norma

C’è dunque un problema di adeguatezza della norma (in generale).

Adeguatezza – si badi - non tanto alla complessità dei problemi, ma all’intelligibilità e complessità applicativa.

Che diventa anche adeguatezza della norma alla finalità che si propone perché il successo dell’esito atteso è anche (forse soprattutto) dipendente dalla comprensibilità da parte degli operatori, dalla condivisibilità e dalla semplicità della sua applicazione.

Un esempio per tutti.

Buona parte del Salva-casa è dedicato alle sanatorie.

Se ancor oggi - a più di quarant’anni di distanza dalla prima legge del condono - la sanatoria edilizia è tema di grande attualità non è certo per mancanza di una legge statale sul controllo del territorio (perché c’era ed era organica come abbiamo già detto in altro approfondimento – v. InGenio 02.10.2023 – “Nuovo condono edilizio? Forse che sì, forse che no”), ma piuttosto conseguenza di una inefficienza/incapacità/incomprensione dell’amministrazione locale cui spettava sia il controllo preventivo che la repressione successiva.

La nuova norma affronta un “vecchio” problema che avrebbe dovuto essere risolto (e il Legislatore pensava di avere risolto) molto tempo fa.
Ci riusciremo oggi? La domanda è lecita.

  

Il punto di vista di un tecnico per i Tecnici

Mentre i più sono (comprensibilmente e legittimamente) intenti a ricercare nelle pieghe della nuova legge le possibili soluzioni ai casi personali, cercheremo di astrarci dal contingente per analizzare il testo definitivo da un punto di vista meno analitico e individualistico, ma più complessivo e di merito, inquadrandolo nel generale panorama normativo e raffrontandolo con le finalità dichiarate, ritenendo che possa essere utile ad una migliore comprensione e applicazione della nuova norma.

So bene che già schiere di giuristi lo stanno vivisezionando e fornendo letture interpretative certamente raffinate, per cui lungi da me la presunzione di darne una lettura giuridicamente inoppugnabile; ciononostante – visto che è una norma tecnica che dovrà essere applicata da tecnici, mi sia consentito di darne una lettura con l’occhio del tecnico; anzi del tecnico che sente la responsabilità (pubblica e privata) dell’interpretare la legge dal punto di vista sostanziale per le finalità per cui è stata concepita (al di là anche delle possibili sbavature della sua stesura).

Che è ottica diversa da quella del Giurista puro, presumibilmente più incline all’inquadramento nel formalismo degli istituti giuridici.

Personalmente mi sono astenuto dal commentare passo-passo le evoluzioni del bimestre “di prova” del decreto-legge ed ora nella stesura definitiva e pur con le dovute cautele proveremo – non certo a darne interpretazioni inossidabili – quantomeno a leggerlo insieme, non foss’altro che per conoscerlo e prenderne consapevolezza.

Lo faremo a piccole dosi, per temi, come si conviene alle questioni innovative e complesse, per evitare approssimazioni e la perdita della visione d’insieme tentandone un inquadramento sistematico con l’obiettivo del risultato e, perché no?, del buon senso.

Articolo integrale in PDF

L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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