PENETRON ITALIA SRL
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Rivestimento cementizio “idrofilo” per la durabilità del calcestruzzo esistente

Il trattamento cementizio cristallizzante PENETRON STANDARD è efficace nel risanare strutture in calcestruzzo esposte a condizioni severe, migliorando la durabilità e la resistenza agli agenti aggressivi come solfati e carbonatazione. I test dimostrano che questo trattamento riduce significativamente la carbonatazione e l'espansione solfatica rispetto a calcestruzzi non trattati o trattati con metodi convenzionali.

PENETRON STANDARD nasce per risanare e proteggere in profondità e nelle varie stratificazioni la matrice in calcestruzzo

Il risanamento delle strutture in calcestruzzo esistenti, soprattutto nelle classi di esposizione più severe come quelle idrauliche, a contatto con agenti aggressivi e con ripetuti cicli di agenti atmosferici, è una tematica assai attuale e importante per l’adeguamento prestazionale di durabilità nel tempo dei manufatti e la scelta delle tecnologie più opportune per garantire che le riparazioni effettuate non abbiano il degrado precoce che purtroppo constatiamo nelle statistiche di verifica.

La matrice in calcestruzzo esistente inoltre, proprio in relazione al tempo di esercizio trascorso nelle diverse condizioni ambientali, non è più quella concepita in origine e se le opere da risanare sono assai datate la consistenza del copriferro e la natura stessa del conglomerato anche in profondità si è sicuramente modificata per effetto ad esempio del dilavamento della calce, della carbonatazione e degli agenti aggressivi primo tra tutti l’attacco solfatico.

I cicli di ricostruzione delle parti ammalorate e trattamento finale protettivo devono quindi presupporre un supporto strutturale che non è più in condizioni ideali e l’interazione e fusione in un corpo unico tra i vari strati rappresenta una condizione essenziale per la durabilità del rispristino.

Il trattamento cementizio ad azione “idrofila” cristallizzante PENETRON STANDARD è nato per risanare e proteggere in profondità e nelle varie stratificazioni di ricostruzione la matrice in calcestruzzo. Le sue note proprietà di catalizzazione dell’elemento solubile presente nella matrice in calcestruzzo, per formare una post cristallizzazione insolubile all’interno della porosità residua del calcestruzzo che impermeabilizza e protegge in profondità, lo eleggono tecnologia ideale per la fusione chimico-fisica dei vari strati di risanamento anche in condizioni idrauliche di “controspinta” e aggressioni chimiche significative.

Per testare sul campo queste prestazioni abbiamo paragonato con test specifici in normativa Svizzera di riferimento per la durabilità SIA 262 le condizioni di “carbonatazione accellerata” e “resistenza ai solfati” di calcestruzzi di qualità, rispondenti alla normativa nelle varie classi di esposizione, e calcestruzzi più poveri in termini di contenuto di cemento e di rapporto acqua/cemento con porosità residue decisamente superiori, molto più corrispondenti alle situazioni di fatto delle strutture esistenti, trattati però superficialmente con il rivestimento cementizio “idrofilo” in fusione attiva con la matrice PENETRON STANDARD.

Per quanto riguarda la prova di Carbonatazione Accelerata in camera climatica (0, 7, 28 e 63 giorni le misurazioni) si è raggiunto l’utile termine di raffronto tramite il coefficiente carbonatazione K espresso in mm per anno che nel caso del “calcestruzzo bianco” good quality (C30/37, XC4, XD3, XF4, rapporto a/c 0,45) ha dato K = 1,88 mm./anno, mentre per il calcestruzzo trattato con PENETRON STANDARD, mix design “poor quality” (C25/30, XC2, XC1, XF4, rapporto a/c 0,60) ha dato K = 0,59 mm./anno a testimonianza dell’interazione benefica in profondità della “post cristallizzazione” nonostante lo spessore di applicazione del rivestimento cementizio “idrofilo” sia intorno a 1 mm.

 

Per quanto riguarda la prova invece di Calcestruzzo resistente ai Solfati, sappiamo che la resistenza ai solfati è uno delle pochissime performance del calcestruzzo che cambia, se cambia il tipo di cemento… La portlandite infatti, uno dei prodotti della reazione tra acqua e clinker, reagisce con i solfati che provengono dall’ambiente esterno (ad esempio dal terreno o da liquidi aggressivi) producendo gesso.

Questo gesso a sua volta reagisce con una delle fasi del clinker, il C3A (alluminato tricalcico) producendo dei cristalli molto resistenti che si sviluppano monodimensionalmente (ettringite secondaria) all’interno della pasta cementizia già indurita generando tensioni localizzate molto elevate, che disgregano la matrice cementizia.

Per ovviare a questo problema la norma sui cementi comuni (EN 197-1) prevede che alcune tipologie di cemento possano essere marcate come “resistenti ai solfati” se il loro contenuto di C3A (in %) risulta inferiore a un certo limite. In una appendice della norma sui cementi comuni EN 197-1 viene indicato che ogni paese membro può emettere una norma specifica a riguardo della resistenza ai solfati dei cementi. E l’Italia questa norma ce l’ha, la UNI 9156. In questa norma si identificano 3 classi di resistenza ai solfati (moderata, alta e altissima) e l’elenco dei cementi che possono rientrare in queste classi è molto ampio.

Quindi, un cemento può essere resistente ai solfati secondo norma italiana (UNI 9156) ma non secondo norma europea (EN 197-1).

Ci sono tuttavia test specifici, a lunga durata secondo la normativa Svizzera SIA 262 per constatare la resistenza ai solfati in valore di espansione delle miscele in calcestruzzo, e non soltanto della tipologia dì cemento.

Anche in questo caso il raffronto tramite l’espansione media ai solfati è avvenuto con il “calcestruzzo bianco” in classe di esposizione XA2 e con un cemento solfato-resistente (CEM IV/A-V 42,5 R Colacem) che ha dato espansione media ai solfati = 1,30, mentre per il calcestruzzo trattato con PENETRON STANDARD, mix design in classe di esposizione XA1 con tradizionale cemento Portland (CEM II/ALL 42,5 R Colacem) non solfato-resistente, ha dato espansione media ai solfati = 0,66, una matrice in calcestruzzo idonea a resistere alla presenza dei solfati anche senza la presenza di un cemento solfato resistente, risultato notevole proprio per l’interazione della boiacca cementizia “idrofila” con i sottoprodotti di reazione all’interno della porosità residua del calcestruzzo.

 

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