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Ristrutturazione edilizia con cambio funzionale di destinazione d'uso: niente sanatoria, non c'è doppia conformità

Un casale che risulta chiaramente sottoposto a interventi incompatibili con la sua destinazione ad uso agricolo e trasformato, in sostanza, in tre unità abitative, modificandone la destinazione d'uso, il tutto peraltro realizzato senza permesso di costruire, non può ottenere la sanatoria perché manca del requisito della doppia conformità.

Un intervento edilizio consistente in:

  • i) demolizione integrale dell'intonaco esterno dell'immobile, compresa la demolizione degli imbotti delle finestre; delle portefinestre, delle soglie e delle contro-soglie;
  • ii) demolizione parziale del tetto di copertura;
  • iii) demolizioni dei solai a pian terreno;
  • iv) frazionamento dell'unica unità immobiliare agricola fabbricato agricolo in tre unità abitative distinte;
  • v) realizzazione ex novo di impianti e servizi";

porta evidentemente ad un frazionamento edilizio con cambio (funzionale) di destinazione d’uso, che alterano il carico urbanistico.

Anche se questi interventi non sembrano aver modificato la sagoma e la volumetria del manufatto (un casale), essi hanno realizzato in ogni caso una ristrutturazione dell’immobile, con cambio (funzionale) di destinazione d’uso dello stesso, e non opere di mera manutenzione straordinaria.

E' questo il 'succo' della sentenza 2634/2023 dello scorso 14 marzo del Consiglio di Stato, che ha confermato il diniego del TAR con la quale era stata respinta un'istanza di sanatoria edilizia relativa a (teorici) lavori di manutenzione straordinaria.

Ristrutturazione edilizia pesante: niente sanatoria perché non può esserci doppia conformità

Palazzo Spada conferma in toto quanto affermato dal TAR competente, e cioè che "L’amministrazione ha correttamente negato la sanatoria edilizia ex art. 13 l. 47/85 mancando il requisito della cd. doppia conformità, in base al quale l’opera abusiva è sanabile ex post solo se conforme alle disposizioni di settore sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della richiesta di concessione in sanatoria (…) l’Amministrazione ha rilevato il contrasto con l’art. 11 delle NTA, le quali fanno riferimento alla zona H del P.R.G. di Roma (Agro Romano) ed in particolare la zona H2, nella quale insiste la costruzione di proprietà del ricorrente. Nella suddetta zona sono consentite solo le costruzioni necessarie per la conduzione agricola e, quindi, è consentita l'edificazione dei manufatti strettamente necessari alla conduzione dei fondi (silos, fienili, stalle, rimessaggi per macchinari aziendali, serbatoi, locali di stoccaggio per mangimi, concimi, ecc. e serre agricole) nonché la realizzazione temporanea di impianti per attività estrattive e, a determinate condizioni, la realizzazione di impianti sportivi”.

Non si può ristrutturare senza permesso di costruire

Tra l'altro, “il casale risulta chiaramente sottoposto a interventi incompatibili con la sua destinazione ad uso agricolo e trasformato, in sostanza, in tre unità abitative, modificandone la destinazione d’uso. Ciò (da) solo sarebbe sufficiente per legittimare il diniego di sanatoria rispetto a un’opera assolutamente incompatibile con la zona di edificazione".

Insomma: siamo di fronte a una ristrutturazione edilizia priva di titolo edilizio adeguato, visto che "gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e redistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia".

In sostanza, chiude il TAR, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi ovvero l'ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente, atteso che anche in questi casi si configura il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie,- pertanto, anche un intervento che non determini cambiamento di destinazione d'uso ma sia effettuato con le modalità innanzi indicate è da considerarsi un intervento di ristrutturazione (Cons. Stato n. 5184/2015).

Dulcis in fundo: c'è anche un cambio di destinazione d'uso

In ogni caso - chiudono i giudici del Consiglio di Stato - l’ultima parte del comma 8 dell’art. 11 delle N.T.A., invocato dall’appellante, specifica che comunque gli interventi manutentivi o ricostruttivi ammissibili non consentono di “aumentare le cubature e le superfici lorde degli edifici esistenti, né di modificarne le destinazioni d’uso”.

Dunque nel caso di specie l’acclarata mancanza del requisito della doppia conformità discende anzitutto dal mutamento di destinazione d’uso (da immobile al servizio della conduzione agricola, ad edificio destinato a civile abitazione), nonché dalla qualificazione come ristrutturazione delle opere realizzate, alla luce delle loro caratteristiche strutturali e soprattutto funzionali.


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