Riscaldamento globale e tsunami: il Mediterraneo tra i bacini più a rischio nei prossimi decenni
Secondo nuovi studi di INGV, il riscaldamento globale e l’innalzamento del livello del mare potrebbero triplicare la probabilità di tsunami nel Mediterraneo entro i prossimi 50 anni, rendendo particolarmente vulnerabili le coste basse e densamente popolate.
Nuovi studi INGV: l’innalzamento del mare amplifica il rischio tsunami sulle coste del Mediterraneo
Il riscaldamento globale, con l’innalzamento del livello del mare, potrebbe trasformare il Mediterraneo in una delle aree più vulnerabili al rischio tsunami nei prossimi decenni.
Lo rivelano due studi recenti, pubblicati sulla prestigiosa rivista Scientific Reports e nel volume Probabilistic Tsunami Hazard and Risk Analysis (Elsevier), frutto del lavoro dei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nell’ambito dei progetti europei Savemedcoasts2 e TSUMAPS-NEAM.
Secondo le analisi, l’aumento del livello medio globale del mare, stimato fino a 1,1 metri entro il 2100, rappresenta una minaccia crescente per le coste basse e densamente popolate del Mediterraneo. A questo scenario si aggiungono i movimenti geologici locali, come la subsidenza, che in alcune aree amplificano ulteriormente il rischio.
"L’innalzamento del mare è accelerato, con una media attuale di circa 4 millimetri all’anno. In combinazione con la subsidenza, alcune aree costiere del Mediterraneo rischiano di diventare estremamente vulnerabili", spiega Marco Anzidei, ricercatore INGV e coordinatore del progetto Savemedcoasts2.
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Lo studio evidenzia come la combinazione tra cambiamenti climatici e fenomeni geologici sia un aspetto troppo spesso sottovalutato. Anita Grezio, primo autore della ricerca, sottolinea l’importanza di un approccio integrato: "Abbiamo analizzato come i movimenti verticali del suolo possano aggravare l’innalzamento marino locale, con effetti diretti sulla pericolosità degli tsunami. Questo tipo di fenomeno richiede una valutazione più precisa e mirata del rischio".
Le mappe prodotte dai ricercatori mostrano un quadro allarmante: entro i prossimi 50 anni, la probabilità di avere onde di tsunami capaci di provocare inondazioni tra 1 e 2 metri potrebbe passare dall’attuale 10% al 30%. Questo incremento mette particolarmente a rischio le aree più basse e urbanizzate del Mediterraneo, dove la densità abitativa è tra le più alte al mondo. "Un dato come questo non può essere ignorato. L’aumento della frequenza e della portata degli tsunami significherebbe un impatto devastante per milioni di persone che vivono lungo le coste", avverte Anzidei.
Il Mediterraneo è un bacino chiuso, circoscritto e storicamente fragile dal punto di vista geologico. L’area è caratterizzata da un’intensa attività sismica e vulcanica, con faglie attive che attraversano i fondali marini e possono innescare maremoti. La sua conformazione geografica fa sì che onde di tsunami si propaghino rapidamente, raggiungendo le coste in tempi ridotti rispetto ad altre regioni del mondo. Questo aspetto, combinato con l’innalzamento del mare, rende necessarie analisi dettagliate e strumenti di previsione più accurati.
Una delle caratteristiche più innovative di questa ricerca è stata l’inclusione dei movimenti verticali della terra nelle valutazioni probabilistiche del rischio tsunami. In alcune zone costiere, infatti, il fenomeno della subsidenza può causare un abbassamento significativo del suolo, sommando il proprio effetto all’innalzamento del mare. Questo scenario, osservato con precisione dalle nuove mappe prodotte, rivela che alcune aree del Mediterraneo potrebbero trovarsi in una condizione di pericolo molto più elevata del previsto.
"Questi studi non si limitano a prevedere il rischio, ma forniscono strumenti concreti per affrontarlo," spiega Grezio. La valutazione integrata degli scenari futuri permette infatti di pianificare meglio la gestione dei rischi, fornendo informazioni chiave per mettere in sicurezza le aree costiere. L’urgenza di agire diventa evidente se si considera che, già oggi, oltre 150 milioni di persone vivono lungo le coste del Mediterraneo e che la pressione demografica e urbanistica continua a crescere.
Durante lo studio sono state realizzate simulazioni dettagliate che tengono conto di diversi parametri, come la profondità del mare, la topografia delle coste e l’impatto delle onde generate dai maremoti. I risultati mostrano che non solo le infrastrutture moderne, ma anche il patrimonio storico e culturale dell’area è particolarmente vulnerabile. "Le coste del Mediterraneo ospitano un patrimonio inestimabile, che rischia di essere compromesso in modo irreversibile. Proteggere queste aree significa preservare la nostra storia e identità", sottolinea Anzidei.
La ricerca fa parte di un contesto più ampio di studi internazionali finanziati dall’Unione Europea, con l’obiettivo di comprendere meglio i rischi naturali e fornire strumenti avanzati per la prevenzione. I progetti Savemedcoasts2 e TSUMAPS-NEAM, coordinati dall’INGV, hanno contribuito in modo significativo alla creazione di modelli probabilistici del rischio tsunami, utili non solo per scopi scientifici ma anche per decisioni politiche e interventi pratici.
Questi risultati arrivano in un momento cruciale, in cui il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici sono sotto la lente di ingrandimento a livello mondiale. Le coste del Mediterraneo rappresentano uno dei fronti più sensibili di questa emergenza, dove l’intersezione tra fenomeni naturali e antropici crea scenari di rischio complessi e difficili da gestire.
L’attenzione a questi studi, come sottolineano gli esperti, non deve limitarsi alla comunità scientifica. È fondamentale sensibilizzare anche le istituzioni e le comunità locali per avviare una pianificazione che integri scenari futuri e interventi mirati a ridurre la vulnerabilità delle coste. "Quello che oggi stiamo osservando è solo l’inizio," conclude Grezio. "La nostra capacità di adattarci e intervenire determinerà la sicurezza delle generazioni future."
Fonte: INGV
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