Riqualificazione Energetica | Rigenerazione Urbana
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Rigenerazione urbana e analisi LCA: uno sguardo tecnico su strategie e scenari per il patrimonio edilizio esistente

La rigenerazione urbana è una sfida cruciale per le città italiane, specialmente in relazione al patrimonio edilizio del secondo dopoguerra. Il prof. Riccardo Gulli, ordinario di Architettura Tecnica presso l'Università di Bologna, offre una prospettiva approfondita su come l'analisi del ciclo di vita (LCA) possa guidare le decisioni strategiche in questo ambito. In questa intervista, esploriamo le implicazioni tecniche e ambientali delle diverse opzioni di intervento, dalla conservazione alla ricostruzione.​

Intervista a Riccardo Gulli: Deep Renovation o Ricostruzione? Analisi LCA e strategie per il patrimonio edilizio

La trasformazione del patrimonio edilizio esistente è oggi uno dei nodi cruciali nella transizione ecologica delle nostre città. Ma troppo spesso, in nome della sostenibilità, si semplifica ciò che è complesso: si riduce tutto a una questione di consumi energetici, si confonde il miglioramento dell’involucro con la qualità urbana, si privilegiano soluzioni "standard" che ignorano storia, materiali, cicli di vita e contesti sociali.

Il professor Riccardo Gulli, ordinario di Architettura Tecnica all’Università di Bologna, da anni indaga queste tematiche con uno sguardo ampio e profondo, in grado di tenere insieme tecnica, cultura del costruire e responsabilità progettuale. In questa intervista, affrontiamo con lui il confronto tra le diverse strategie di intervento – conservazione, deep renovation e ricostruzione – applicando un approccio Life Cycle Assessment (LCA), ma senza dimenticare ciò che i numeri da soli non raccontano: la durabilità, la sicurezza, la trasformazione del tessuto urbano.

Un contributo lucido e critico, che chiama tutti – professionisti, amministratori, accademici – a ripensare radicalmente i criteri con cui oggi giudichiamo la “sostenibilità” di un intervento edilizio.

   

1. Come affronta il vostro studio il tema della rigenerazione urbana?

Andrea Dari: 

Professor Gulli, grazie per la disponibilità. Per cominciare, può spiegare in che modo il vostro studio affronta il tema della rigenerazione urbana?

Riccardo Gulli:

Innanzitutto, va precisato che questo articolo è parte di un più ampio dominio di indagine sulle tematiche delle modalità di analisi e di intervento sul patrimonio edilizio esistente con specifico riferimento a quello residenziale realizzato negli anni di massima espansione urbanistica e sviluppo economico, ovvero dal secondo dopoguerra ai primi anni Settanta del Novecento.

Tale premessa è un presupposto indispensabile per comprendere come la conoscenza delle caratteristiche tipologico-costruttive del patrimonio costituisca una fonte indispensabile per ogni ipotesi di studio votata a formulare soluzioni di miglioramento degli standard urbanistici e edilizi che connotano la fisionomia delle nostre città fuori dei perimetri dei centri storici.

Il focus della questione è infatti riconducibile agli indirizzi politici e normativi assunti in questi ultimi venti anni che hanno privilegiato una visione circoscritta al paradigma consumi-impatti e orientata quasi esclusivamente alla riqualificazione energetica degli edifici, indipendentemente dal loro status.

Ciò che va invece considerato è che la vetustà, l’obsolescenza, sia un fattore dirimente nel definire il break even point nella valutazione dei costi-benefici di intervento e che una politica dei bonus non può essere limitata solo ad una valutazione dell’ipotetica riduzione dei consumi correlata ad un abbattimento delle emissioni, ma ad una dimensione incentrata sulla durabilità temporale e sui cicli manutentivi alla scala edilizia e sulla riconfigurazione degli isolati a scala urbana

   


2. Perché differenziare le strategie di intervento?

Lo studio si concentra su tre ipotesi di intervento (Conservation, Deep Renovation e Reconstruction). Da un punto di vista più generale, perché ritenete sia così importante differenziare le strategie di intervento?

Riccardo Gulli:

Le tre condizioni consentono di fornire una valutazione numerica associata ad una comparazione relativa e non assoluta, ovvero permettono di definire quale sia lo scarto relativo in condizioni di misurazione analoga secondo i tre scenari. In altri termini tale comparazione fornisce lo scarto tra modelli tarati sugli stessi parametri di analisi.

   


3. Deep Renovation o ricostruzione: quale conviene nel lungo periodo?

Spesso si sente parlare di “Deep Renovation” come la miglior via per abbattere i consumi. Perché, nel vostro studio, la demolizione e ricostruzione (Reconstruction) risulta vincente nel lungo periodo?

Riccardo Gulli:

Si ritiene necessario fare una premessa. L’assunto che si possa attuare la Deep Renovation al patrimonio edilizio italiano, secondo quanto indicato dalle EPDB, sconta una visione astratta sulla reale applicabilità alle condizioni che connotano tale patrimonio, sia sotto il profilo della natura costitutiva che su quello delle pratiche di intervento.

Pertanto, l’analisi riguardante tale scenario è solo indicativa di una condizione teorica necessaria a formulare delle valutazioni di ordine prestazionale ma non tiene conto delle altre variabili che influenzano l’efficacia dell’intervento. Tra queste in primis la vita utile dell’edificio rappresentata dalla vetustà, dalla durabilità e dai cicli manutentivi; poi le condizioni al contorno, ovvero le relazioni con il contesto che sono soggetti ai cambiamenti indotti dalle dinamiche evolutive dei modelli sociali che definiscono gli standard abitativi e di stile di vita della popolazione.

   


4. Quali sono gli elementi chiave di una progettazione “circolare”?

Quali sono gli elementi-chiave di una progettazione “circolare” che, come lei sottolinea, fanno la differenza in ottica LCA?

Riccardo Gulli:

Come detto, il concetto di “Deep Renovation” è una formula semplificata che nasce dall’assunto dell’abbattimento dei consumi, quindi degli impatti, parametrato rispetto ad un edificio nuovo con l’obiettivo di una riduzione massima, prossima allo zero. Una impostazione che considera “l’energia al primo posto” e che conseguentemente è incentrata sulla valutazione delle prestazioni in termini di GWP (Global Warming Performance) su una scala temporale standard, di 50 anni.

Tutto ciò però si scontra con alcune evidenze di ordine tecnico e pratico. Gli edifici, così come i materiali, hanno una vita utile differente e che è correlata alla loro natura costitutiva e ai cicli manutentivi. Un edificio massivo in muratura portante o anche uno a scheletro in c.a. con tamponamenti pesanti monostrato ha una durabilità e un processo manutentivo sicuramente superiore ad un edificio leggero ed assemblato a secco, come quelli in legno, soprattutto per gli edifici multipiano.

Ciò rappresenta il primario vulnus delle valutazioni oggi assunte per la stima dell’LCA e che riguardano sia l’ambito della riqualificazione che quella della nuova costruzione. Nel primo caso tale vulnus è ancora più rilevante in quanto in tale valutazione la stima degli impatti generati dalla costruzione originaria è oltremodo aleatoria per l’assenza di dati attendibili.

In sintesi, i punti chiave in questa valutazione sono rappresentati dall’effettiva valutazione della vita utile dell’edificio che non va confusa con la vita nominale, che è un indicatore assunto nella normativa sulla sicurezza strutturale degli edifici (NTC 2018), di altra natura e finalità.

     


5. Qual è il ruolo della sicurezza sismica in questo confronto?

In Italia, però, c’è un tema sismico da considerare. Come si incastra la questione della sicurezza strutturale nel confronto tra “Deep Renovation” e “Reconstruction”?

Questo è una tematica fondamentale a cui è difficile rispondere in poche battute. Solo alcuni dati. I 2/3 del patrimonio edilizio al 2050 avranno superato i 100 anni di vita. L’80% di questo patrimonio è stato costruito senza prescrizioni di tale natura e con modalità che non prevedevano neppure il collaudo statico. Gli edifici in cemento armato di tale campione hanno di norma dei valori di resistenza del calcestruzzo a compressione inferiore alla metà di quello di norma attuale.

Dunque, il problema non è di natura sismica ma statica. Molti di questi soffrono di condizioni di vetustà strutturaleche potremmo, con una metafora medica, considerare affetti da osteoporosi.

Tutto ciò è però assente in una visione degli incentivi fiscali e delle relative EPBD che hanno sostenuto la pratica della riqualificazione energetica considerando che intervenire su un edificio di qualità scadente rappresenti una scelta virtuosa perché ovviamente risulta più semplice ed efficace attuare una riduzione dei consumi.

È chiaro che la condizione di obsolescenza che interessa un vasto comparto dell’edilizia residenziale, costruita con poche norme e con l’obiettivo della ricostruzione e poi della speculazione edilizia del secondo dopoguerra, non sia una tematica semplice per i risvolti sociali che comporta.

Ma al contempo va anche evidenziato che le politiche che hanno sostenuto una forma indiscriminata di sostegno alle politiche dei bonus indipendentemente dalle condizioni che definiscono lo status dell’edificio, soprattutto di obsolescenza strutturalenon possano essere giustificate in nome di una visione ideologica delle misure ambientali.

   


6. Come incentivare scelte più coraggiose da parte di amministrazioni e operatori?

Per le amministrazioni e gli operatori economici, le scelte di demolire e ricostruire possono essere più complesse da gestire. Come si può promuovere un approccio più coraggioso alla rigenerazione?

Come evidenziato sopra il tema è oltremodo complesso perché implica una revisione complessiva degli strumenti, da quelli di ordine normativo a quelli fiscali e finanziari.

In estrema sintesi. In termini di bonus edilizi, sarebbe opportuno attivare una strategia ex post nell’erogazione dei finanziamenti sulla base dell’effettivo conseguimento dei risultati di riduzione dei consumi prefigurati dall’intervento.

Una formula di natura analoga a quella dei certificati bianchi adottati più di venti anni fa nel comparto industriale.

Oltre a questo, dovrebbe essere introdotto un sistema simile a quello adottato dalla regione Toscana con il progetto VSCA (Valutazione della qualità dei materiali in edifici esistenti in cemento armato) con il quale valutare preventivamente lo status dell’edificio (con diagnostica leggera, non invasiva e poco onerosa) al fine di modulare gli incentivi, secondo un ordine gerarchico che premia la ricostruzione nei casi più sfavorevoli e la riqualificazione in quelli di qualità più elevata.

VSCA (Valutazione della qualità dei materiali in edifici esistenti in cemento armato)

La Regione Toscana ha avviato il progetto VSCA (Valutazione della qualità dei materiali in edifici esistenti in cemento armato) per migliorare la sicurezza sismica degli edifici pubblici. L’iniziativa prevede indagini diagnostiche sui materiali strutturali e assegna contributi agli enti locali, dando priorità agli edifici strategici nei comuni a rischio sismico. Sono esclusi edifici privati o già adeguati secondo norme recenti. Le risorse regionali finanziano analisi strutturali e del terreno, con istruzioni tecniche pubblicate sul BURT.

Nel caso della demolizione e ricostruzione, le Amministrazioni dovrebbero prevedere una progettazione per comparti alla dimensione minima dell’isolato, individuando bonus volumetrici e benefici fiscali correlati agli impatti di natura ambientale, dei servizi e della logistica (aree verdi, rifiuti, mobilità, socialità).

Il 70% della popolazione in Italia vive al di fuori dei centri storici.

Il futuro dello sviluppo della qualità della vita nelle nostre città passa necessariamente nella rimodellazione dei quartieri che sono nati nel secondo dopoguerra e che si sono espansi in forma radiocentrica secondo un ordine temporale.

Oggi quelli meno periferici sono anche quelli che hanno il maggiore valore fondiario ma al contempo la minore qualità edilizia e dei servizi.

   


7. Come colmare il gap tra metodologia LCA e pratica professionale?

L’LCA, come metodologia, non è ancora molto diffusa nella pratica quotidiana di architetti e ingegneri. Come colmare questo gap?

LCA è una metodologia oggi affetta da un elevato grado di aleatorietà perché fondata su assunti teorici e non verificabili, come le certificazioni fornite dai produttori e la frammentarietà delle banche dati delle filiere.

Peraltro, tali strumenti non sono pensati per un uso professionale, ma per Enti o soggetti terzi, come nel caso dei protocolli LEED e similari.

Se invece la domanda riguarda l’attenzione che dovrebbe avere un professionista nell’attività progettuale per tale tematica, si crede che la risposta implichi una considerazione a scala più ampia dell’LCA e che interessa aspetti di altra complessità e di cui è difficile parlare.

Si può solo accennare che l’ambito professionale, sia quello degli architetti che degli ingegneri, ha subito in questi ultimi decenni un processo che ha progressivamente espulso il senso pratico, ovvero è stato sempre più indirizzato ad applicare in forma pedissequa i protocolli, normativi, tecnici, procedurali.

La consapevolezza delle scelte tecniche è subordinata a questo e ad una serie di dettami normativi che lasciano poco spazio all’invettiva progettuale, sia nell’ambito ingegneristico, ormai confinato al solo ambito della sicurezza, che in quello architettonico, oggi sempre più incentrato sugli aspetti comunicativi e di rappresentazione, ma con poca consapevolezza delle determinanti tecniche, per lo più appannaggio dei produttori e dei costruttori.

Purtroppo, questo indirizzo è connaturato anche all’ambito della formazione universitaria con una visione sempre più nozionistica che recepisce le formule semplificate dei mainstream dominanti, tra cui indubbiamente quello della decarbonizzazione.

La consapevolezza delle scelte è frutto di una etica del costruire che si crede debba precedere, e non seguire, l’applicazione sistemica dei protocolli di valutazione ambientale come LCA.

   


8. Quale futuro per la rigenerazione urbana sostenibile?

Pensando al futuro, in che direzione immagina che evolveranno le ricerche sulla rigenerazione urbana sostenibile?

Una domanda a cui non ho capacità di rispondere perché non ho elementi su cui fondare tale valutazione essendo troppo complessa ed imponderabile.

Posso solo auspicare che in Italia si inizi a ragionare in termini di un grande piano di ricostruzione che si interroghi non sulla soglia del 2050 ma su quella del 2125, perché questa è la misura temporale con la quale dobbiamo confrontarci parlando di edilizia e tessuti urbani.

Se si considera che i regolamenti edilizi attuali sono per lo più strumenti normativi rispondenti ad un modello sociale ed urbano ormai datato, essendo frutto dell’espansione degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, è chiaro che ogni azione non può che passare attraverso un radicale rinnovamento dei principi su cui sono fondati tali modelli e che richiede l’applicazione di strategie che non possono essere facilmente risolte con gli slogan mediatici, come il tanto decantato “rammendo”.

Nel 2043 l’Istat stima che 4 famiglie su 10 saranno monocomponente. Già oggi lo sono il 50% delle famiglie a Milano.

La pezzatura degli appartamenti dell’attuale patrimonio edilizio residenziale è per 2/3 compreso tra gli 80 e i 130 mq.

Tutto ciò è figlio di un modello che oggi, appunto, non corrisponde all’evoluzione dei modelli sociali, indipendentemente da una valutazione etica.

Ritenere che tra 30 anni servano ancora i garage sotterranei per parcheggiare l’auto sotto la propria abitazione è una valutazione che ha forti elementi di aleatorietà.

Ma i regolamenti oggi prescrivono questo se si vuole seguire una pratica “sostenibile” nella costruzione di nuovi alloggi.

Adottare misure sostenibili significa soprattutto pensare in una ottica temporale che è quella della soglia di vita di un edificio. Secondo la nostra visione ciò corrisponde a 100 anni.

   


9. Un consiglio ai professionisti che si avvicinano a queste analisi?

Un consiglio che darebbe ai colleghi professionisti che vogliono avvicinarsi a questo tipo di analisi?

Non ritengo di poter fornire consigli ai colleghi professionisti se non quello di ragionare prima in termini di tempo e materia (durabilità e densità) e solo dopo in termini di consumi ed impatti (energia e CO2).

In Italia vi è una cultura costruttiva che è stata fondata sul concetto di alta densità materica e su una durabilità elevata.

Diversamente nei paesi oltralpe in quella dell’assemblaggio e della leggerezza. La nostra cultura costruttiva si è sedimentata in secoli di storia in cui il materiale principe è stata l’argilla, non il legno.

Su questo è opportuno riflettere al fine di non essere soggetti ad assumere acriticamente e passivamente una visione che è fondata sull’omologazione dei modelli costruttivi per adattarli ai dettami dei protocolli normativi decisi dalle Direttive UE.

   


10. Perché è urgente ragionare su circolarità e NZEB?

Un’ultima battuta: perché è così urgente ragionare in termini di “circolarità” e “NZEB” sul patrimonio edilizio?

Il concetto della circolarità è alquanto generico, quasi al pari di quello della sostenibilità, ma se è chiaro nelle finalità lo è molto meno nelle modalità.

Oggi la circolarità dei processi nei prodotti da costruzione è alquanto limitata perché vi è un tema decisivo che riguarda la certificazione del prodotto, soprattutto se riferito a quelli che devono rispondere ai requisiti della sicurezza strutturale.

In sintesi e in poche battute si può dire che la riciclabilità dei prodotti è un principio accettabile e che deve essere perseguito, almeno per i componenti edilizi.

Il riuso è invece per buona parte uno slogan.

Tutto ciò però ha soprattutto un senso per la nuova costruzione o per la demolizione e ricostruzione, e meno per gli interventi sull’esistente, dove la maggior parte della “materia” è quella che viene conservata.
Riguardo invece al “NZEB”, si ritiene che la sua applicazione al comparto del patrimonio edilizio esistente sia conseguente ad un altro assunto.

Se riteniamo possibile trasformare un edifico multipiano in un modello “adiabatico”, ovvero totalmente isolato termicamente tramite impiego di VMC, allora tale soluzione ha una sua valenza, a valle di una verifica della vita utile di cui si è detto sopra.

Altrimenti, come correttamente riportato dallo STREPIN del 2020le altre misure sull’involucro combinato con l’efficientamento del generato sono pratiche non sostenibili in termini di costi-benefici, con un payback finanziario di circa 68 anni.

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