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Riformare la Pubblica Amministrazione: si può (si deve)

Torna alla ribalta il tema della riforma della Pubblica Amministrazione di cui la stampa ha dato istantanea notizia subito offuscata dalle emergenze di più ampio interesse giornalistico.

E’ opportuno invece, in una sede tecnico-professionale come questa, riprendere il tema, non solo perché di interesse professionale, ma anche perché si imposta su affermazioni di principio non banali e, forse, inaspettate in un periodo di crisi.

E anche perché, è bene sottolinearlo, mentre le leggi di riforma chiudono spesso con la clausola che “non comportano maggiori spese per lo stato” (frase invero di difficile ed equivoca comprensione) questa volta le risorse ci sono e sono tratte dai finanziamenti straordinari per la ripresa economica.

Come dire: non solo dichiarazioni di principio...

Il che rende l’iniziativa più concreta e credibile, su cui tutti dovremmo investire.

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E’ notizia di questi giorni che il nuovo governo Draghi (Brunetta ministro per la “Semplificazione e la Pubblica Amministrazione”) ha messo a punto un accordo con le organizzazioni sindacali per procedere al rinnovamento della Pubblica Amministrazione. Ritenuta “motore di sviluppo” e “catalizzatore della ripresa” (sono parole testuali del Presidente del Consiglio).

La cosa non può che farci piacere visto che da tempo, in epoca non sospetta, avevamo ritenuto che una pubblica amministrazione funzionante ed efficiente fosse elemento fondamentale per lo sviluppo e la ripresa del paese. (v. “Opere pubbliche, ripresa economica e … burocrazia” - InGenio  07/05/2020).

 

Una vera novità

Quello del nuovo Governo è sicuramente un atteggiamento in controtendenza rispetto a quella generalizzata opinione che la pubblica amministrazione altro non sia che un apparato burocratico inefficiente e ostacolo al rinnovamento del Paese, tant'è che i provvedimenti che il Legislatore ha messo in campo in periodi più o meno recenti sono quasi sempre orientati a scavalcarla proprio per evitare che le operazioni di rinnovamento cadano nelle sue maglie.

Le cosiddette norme di semplificazione (che di semplificazione non sono state) si sono sempre più spesso basate sulla traslazione al privato del ruolo pubblico in base ad un (malinteso) principio di sussidiarietà (v. “In attesa della riforma dell’edilizia: tra semplificazione e liberalizzazione” – InGenio 08/09/2020).

Ciò ha comportato un disinteresse alla professionalizzazione della Pubblica Amministrazione ed ha indotto una sua marginalizzazione, escludendola dai ruoli attivi dei procedimenti salvo poi chiamarla in causa nelle attività (queste sì meramente formali) dei controlli ex post con le conseguenze poco edificanti che sono ormai sotto gli occhi di tutti.

Se la pubblica amministrazione non funziona bene – ed è innegabile che soprattutto in questi ultimi tempi stiamo assistendo ad un suo decadimento - bisognerebbe chiedersi il motivo anziché ignorarla e basta; troppo semplice e anche troppo autoassolvente liquidare la questione in un assioma perché è evidente che le cause dell’inefficienza sono dentro al sistema e non fuori.
Così si evita solo un sano esame di coscienza che potrebbe mettere in luce politiche sbagliate.

 

Sarà un percorso lungo…

Il governo non si nasconde che questo è solo un inizio e che di per sé quest'iniziativa non rappresenta nulla e non porterà a nulla se non avrà poi il dovuto seguito, tant'è che lo stesso Presidente del consiglio ha sottolineato che ancora tutto è da fare.

Ma l’importante è cominciare. E cominciare dall’affermazione di principio della consapevolezza del ruolo che la Pubblica Amministrazione deve svolgere.

Si sa, non è mai tempo di mettere mano all’organizzazione: quando le cose vanno perché farlo?, quando le cose non vanno non c’è tempo per farlo perché siamo in “emergenza” e invece organizzare richiede tempo e ponderazione, ma in emergenza si bada solo all’immediato (e, magari, si approvano solo decreti-legge …).

Per questo affermare che “Il buon funzionamento del settore pubblico è al centro del buon funzionamento della società” (cito ancora testualmente dal Presidente del Consiglio) può apparire strano a molti in questo particolare momento di affanno della società in cui ci si preoccupa della “tenuta” dell’economia; e invece no, è proprio la drammaticità di questi momenti di crisi che ha messo in luce le inefficienze (o, per dir meglio, le debolezze) del sistema pubblico che ne fanno comprendere l’importanza. Perché è strumentale alla tenuta dell’economia.

È perciò ancor più significativo che in un momento in cui ci si era preoccupati fin qui di dare sostegno (anche materiale) alla parte “produttiva del Paese”, ci si renda conto che l’obiettivo non si raggiunge se non si pon mano anche alla parte “organizzativa” del Paese; e si destinino a questa una parte delle risorse riservate al “rilancio”.

Non solo vuote esortazioni fine a sé stesse, ma concreto investimento di risorse motivate dal riconoscimento di un ruolo. E finalizzate alla funzionalità di quel ruolo.

 

… ma necessario

Perché “burocrazia” significa organizzazione (dell’amministrazione) e se non si ha organizzazione qualsiasi politica è destinata a fallire.

Poi c’è la burocrazia buona e quella cattiva (e questa è quella che ha dato la connotazione negativa al termine che, di per sé, sarebbe asettico). Ma quella cattiva ne è la degenerazione non la sostanza.

La burocrazia – se vogliamo metterla così – è un “male necessario” ma se si vuole far sì che un Paese funzioni si deve avere, da una parte, una classe imprenditoriale e libero-professionale efficiente, capace e all'altezza del compito e dall'altra parte una classe burocratica con cui interfacciarsi altrettanto efficiente, capace e, perché no?, consapevole di svolgere un ruolo istituzionale fondamentale finalizzato ad una funzione pragmatica ma motivato da una finalità “etica”.

Una vera riforma della pubblica Amministrazione (forse l’unica che si ricordi) risale al 1990, quando si tentò una integrale riorganizzazione della pubblica amministrazione con le leggi 142 e 241.

Due provvedimenti legislativi praticamente coevi perché sinergicamente legati l'uno all'altro e che hanno dato frutti parziali: la 241 ancor oggi sopravvive integrata e perfezionata; la 142 è stata per molti versi coercita in provvedimenti limitativi di varia natura.

 

Riforma della P.A e semplificazione

Riforma della P.A e semplificazione è un binomio che sempre si associa parlando di efficienza ed anche l’accoppiamento terminologico del Ministero di Brunetta lo vorrebbe sottolineare (“Ministero della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione”).

Se riformare la P.A. spetta (in primis) al ministro Brunetta, semplificare è certamente compito non solo Suo ma che travalica il Suo ministero: è compito dell’intero Governo; meglio del Parlamento.
Se di riforma della P.A. fin qui si è parlato poco, di semplificazione si è parlato molto ….. ; i risultati sono stati scarsi.

Ma qui il problema è più in generale di tecnica legislativa.

 

Efficienza e misura della produttività del sistema

Spesso ci si lamenta dell’inefficienza del Parlamento perché produce poche leggi come se l’efficienza di un sistema si misurasse in quantità: questo sì che è un modo burocratico di misurare la funzionalità.

Non basta solo fare leggi; bisogna fare “buone” leggi e le leggi sono “buone” solo se sono “adeguate” ai destinatari ovvero se sono capite e condivise e se ci sono adeguate strutture e adeguate competenze per metterle in pratica.

Perché, va detto, le difficoltà burocratiche sono spesso da attribuire ad una formulazione legislativa malfatta, frammentaria, affannosa e incompleta che la rende di difficile interpretazione sulla quale necessariamente si instaurano diverse linee di pensiero (anche tra gli stessi organi istituzionali).

E qui entra in gioco la “professionalità” degli operatori, di quelli che le devono applicare tra cui (in primis) la pubblica amministrazione, come drammaticamente ha dimostrato – proprio e ancor più in periodo di emergenza – la messa in opera di quelle misure eccezionali di ripresa economica che si sono subito scontrate con la confusa formulazione giuridica (prima) e con la difficoltà interpretativa e applicativa (poi).

Non bastano le forze imprenditoriali e professionali private.

Riprendere in mano il tema della pubblica amministrazione riformarla e ridarle efficienza non sarà cosa facile né di breve periodo perché occorre recuperare un diffuso atteggiamento di costante disinteresse (quando non esplicitamente di ostilità) e non si potrà pretendere pertanto che dalla mattina alla sera si producano risultati miracolistici in questo senso.

Il lavoro è lungo e comporterà impegno e costanza e soprattutto continuità di azione politica anche in futuro (è solo l’inizio ha detto consapevolmente il Presidente del Consiglio) ma l’importante è cominciare con consapevolezza degli obiettivi: che si sta riformando una parte “del motore” del Paese.

Le risorse umane ci sono; vanno solo formate e motivate.

 

I punti cardine della riforma

Sei sono i punti strategici su cui il Governo intende agire:

  • Lavoro Agile
  • Sistemi di classificazione professionale
  • Formazione
  • Partecipazione
  • Welfare Contrattuale

Alcuni sono di carattere per così dire materiale e operativo e si potranno risolvere con leggi, contratti e risorse dedicate all’acquisto, come la dotazione di strumentazione informatica che porterà alla digitalizzazione della pubblica amministrazione e che comporterà indubbiamente un agilità operativa di fatto e un miglioramento e una rapidità dei rapporti.

Ma non basta; cardine della riforma deve essere la professionalizzazione della P.A.

 

La “cultura” della Pubblica Amministrazione

La vera riforma della Pubblica Amministrazione è quella immateriale, rivolta alla formazione del personale che la costituisce; in parole povere nella formazione culturale e professionale degli operatori.

Tesa a ridare loro riconoscimento del ruolo e coscienza dell'appartenenza ad un corpo strategico che ha funzioni specifiche nella attività dello Stato: recuperando quell’“etica” che pare essersi un po’ scolorita.

La formazione professionale è veramente l'elemento chiave su cui dobbiamo insistere per ridare slancio alla pubblica amministrazione; se ci sarà ben vengano le dotazioni materiali per migliorare il comportamento e le attività, tenendo presente però che le dotazioni materiali altro non sono che lo strumento, ma, come ogni strumento, va messo in mano a chi ha la consapevolezza, la conoscenza e le capacità tecniche per poterlo usare. E l’esito dipende da come lo si usa.

Avere computers e fare video conferenze aiuta e rende più rapidi e snelli i rapporti, ma non semplifica l’interpretazione di nome inintelliggibili; ed è lì che continuiamo a perdere tempo ed energie che poi addebitiamo alla burocrazia.

La riforma della P.A. investe il ministero e il governo per l’attività di impulso, ma per la sua attuazione riguarda tutti.


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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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