Riflessioni di Galimberti sulla Sostenibilità e il Futuro dell'Umanità: i miei commenti
Nell’evento di Green Building Council Italia recentemente tenutosi all’Acquario Romano – Casa dell’Architettura, dal titolo “La responsabilità del cambiamento per il benessere delle persone” dedicato ad attivare un ampio e partecipato confronto orientato a ridefinire il concetto di “Sostenibilità” è intervenuto il prof. Umberto Galimberti.
Le parole di Galimberti mi hanno colpito profondamente e in questo editoriale voglio condividere i suoi concetti principali con i nostri lettori.
L’uomo deve essere salvato, ma se fosse l’uomo la causa del disastro della terra ?
Galimberti è entrato a piè pari sull’argomento sostenibilità, partendo proprio dal nocciolo. Noi tutti oggi affermiamo che l’uomo debba essere salvato, ma “se fosse proprio l’uomo la causa del disastro ambientale della Terra?”.
Questo pensiero forte nasce da una considerazione già emersa nella sociologia moderna, ovvero che la specie umana è la forza distruttiva più potente che oggi possa esistere, molto di più di quelle naturali, quelle geofisiche.
E consapevoli di questo fatto, se vogliamo salvare la terra, se vogliamo salvare l’uomo, il primo passaggio è quello di superare l’antropocene.
Abbandonare la visione centrica dell’uomo
Per uscire dall’antropocene Galimberti ci chiede di “abbandonare la visione omocentrica, che pone l’uomo al centro dell’Universo”, e ricorda come nella filosofia greca si creò e sostenne la cultura del limite “incatenando il dio della tecnica Prometeo”.
Galimberti, facendo eco a Ulrich Beck in ‘La società globale del rischio’, evidenzia che “la nostra capacità del fare è diventata superiore alla nostra capacità di prevedere gli effetti che possiamo generare” ed è per questo che “l’imprevedibile diventa un’angoscia, proprio per l’eccesso della capacità del fare rispetto a quella di prevedere, e se non riusciamo a prevedere questo crea un turbamento, un angoscia profonda nella nostra società”.
A differenza della cultura greca è quella cristiana che pone l’uomo al centro del creato. Galimberti lo sottolinea citando il versetto del Libro della Genesi 1:28, che dice: "Dio li benedisse e disse loro: 'Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela; dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che si muove sulla terra'".
Un pensiero che ha fortemente inciso nel nostro agire.
Posso ricordare - a sostegno della riflessione di Galimberti - anche la citazione del versetto che si trova nel Libro della Genesi, precisamente in Genesi 1:26-27. Qui si legge: "Poi Dio disse: 'Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza'... Così Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò", sottolineando che però questo passaggio non è solo fondamentale nel contesto della teologia cristiana, ma soprattutto nella tradizione ebraica, proprio riguardo la natura speciale dell'uomo nel creato.
Per Galimberti sono quindi religioni e culture a porre l’uomo al centro del sistema.
Galimberti lo ribadirà in modo chiaro: la sua considerazione non è un attacco alla cultura cristiana (e aggiungo giudaica), ma un’interpretazione che erroneamente considera l’uomo al centro come utilizzatore della terra e non come custode.
Quando la verifica non è più possibile
Riprendendo il concetto dello squilibrio tra il fare e il rischio, Galimberti ha ricordato Cartesio (René Descartes), colui che ha posto le basi del metodo scientifico moderno, e il suo pensiero sull'importanza della sperimentazione e dell'osservazione diretta come mezzi per acquisire conoscenza. Cartesio affermava infatti che attraverso un metodo sistematico (dubbio e analisi), si potesse arrivare a conclusioni certe e indubitabili.
Il suo approccio enfatizzava l'uso della ragione e l'importanza di non accettare verità preesistenti senza una verifica critica e sperimentale.
Quindi fare e sperimentare: ma quando la sperimentazione va oltre i confini della possibile conoscenza degli effetti, in cui i limiti del rischio non sono noti, partendo dal concetto della reversibilità, in cui l’uomo diventa signore della natura, e non custode, allora si supera anche il pensiero cartesiano..
Il problema per la terra è che l’uomo si sente signore della terra.
Il passato è il peccato, il futuro è la redenzione
Galimberti torna sul pensiero cristiano, perchè sottolinea che il cristianesimo non è solo religione, ma anche cultura, in cui la visione portante si fonda sull'idea che il passato è negativo, esso rappresenta ciò che è stato fatto di sbagliato: il peccato, che ricordiamo nasce originalmente insieme all’uomo stesso, contrapposto ad un futuro positivo, in cui vi è redenzione e salvezza.
E ricorda come anche Freud definisse l’avvenire con questa chiave positiva, quella dell’illusione umana, in cui il futuro è sempre positivo.
Peraltro, dobbiamo osservare come il nostro modo di salutarci appaia intriso di questa visione ottimistica: “ci vediamo domani”, “arrivederci”, “a presto". Formule di consuetudine che di fatto permeano la nostra coscienza di un senso si eternità.
Ma Galimberti ci pone una domanda: questa visione ottimistica per il futuro, che caratterizza l’uomo dalla notte dei tempi, la possiamo riscontrare anche nei nostri giovani? “Chiediamolo ai nostri giovani se il futuro è positivo. Per noi il futuro è li ad attenderci. Ma quale percezione hanno i giovani del futuro? Dovremmo evitare di usare frasi come ‘ai miei tempi’ quando parliamo con loro. Il futuro per i giovani ha un colore diverso, intriso di nichilismo. Perchè devo fare, perchè devo studiare … perchè devo stare al mondo, ecco perchè abbiamo suicidi, anoressia, isolamento. Il futuro è finito per loro perchè è finito come attrazione.” Ecco quindi perchè i giovani assumono alcool e droghe, si isolano con i videogiochi, ecco perchè nasce il fenomeno Hikikomori. Per i giovani queste scelte nascono dal bisogno di anestetizzarsi.
Il futuro non è una premessa, ma un’angoscia.
Education and the Good Life
Nel suo lavoro "Education and the Good Life", Bertrand Russell sottolinea l'importanza dell'educazione scientifica per un futuro di felicità e democrazia, collegando l'essere umano con l'ambiente circostante. Egli insiste sulla necessità di un equilibrio tra scienza e umanità per comprendere e valorizzare il mondo, sostenendo che solo attraverso l'immaginazione si può percepire cosa potrebbe essere il mondo. Russell riflette sulla relazione tra costruzione e distruzione, e come queste attività umane impattano l'ambiente, ponendo l'accento sull'influenza ambientale nello sviluppo umano.
Mettere al centro la vita, non l’uomo
Galimberti sostiene con convinzione la necessità che il modello antroprocenico debba essere abbandonato
L’uomo non può più vivere nel suo centralismo. “La biosfera è la condizione che rende la Terra ospitale ... Bio, vita, è la vita che va al messa al centro dell’attenzione della nostra azione.” Un cambio di paradigma che ci porta alla necessità di sviluppare la cognizione dell’irreversibilità.
“Non basta chiedere alla tecnica di contenersi. L’etica può solo implorare la tecnica di fare quello che può, ma non quello che non può. La tecnica è diventata globale e afinalistica. Abbiamo perso il concetto di fine, questa tecnica non è più finalizzata. La tecnica ha perso orizzonti di senso. Per la tecnica il passato è soltanto qualcosa di superato. La tecnica punta al perfezionamento dei mezzi, al continuo perfezionamento del funzionamento, non ha un fine.” E’ questo il messaggio che ci trasmette Galimberti e che ci pone di fronte a una questione fondamentale. Torniamo al concetto di Società globale del rischio posto da Ulrich Beck.
In un evento recente ho sentito il sociologo Belardinelli evidenziare che quello che distingue con forza il pensiero umano dall’intelligenza artificiale è l’intenzionalità. Nella tecnica governata dalla tecnica non c’è intenzionalità, non c’è interesse per il fine, per l’umano, ma solo per l’efficienza, per il risultato, ce lo ricorda Galimberti “Per i big data non c’è interesse per chi siamo, ma come funzioniamo, a cosa serviamo. In questa evoluzione anche l’essere umano perde il suo valore identitario. La dittatura della tecnica è la base su cui è nato il nazismo. L’aguzzino che gestiva le camere a gas aveva obiettivi numerici, doveva raggiungere un numero di persone gassificate al giorno, non c’era spazio per l’obiezione etica. Così come avviene per il bancario a cui viene dato l’incarico di liberare la banca dai titoli tossici: il suo obiettivo è quello di vendere 1000 titoli ammalorati, non di porsi la domanda a chi li sta vendendo, che conseguenze avrà questa sua azione sulle persone. Il suo premio viene calcolato sul numero di titoli venduti.”
L’evoluzione smisurata e senza limiti della tecnica ci ha portato a perdere il concetto di taboo, e in questo Galimberti richiama Franz Baermann Steiner. Il suo approccio mette in discussione la visione occidentale che tende a considerare il tabù come una forma di superstizione irrazionale. Steiner suggerisce che, anche nelle società moderne, i tabù giocano un ruolo cruciale nel definire i valori e le norme sociali, contribuendo a strutturare la nostra comprensione del mondo e delle relazioni interpersonali.
La predominanza della tecnica ci porta a vedere come nemici quei valori umani che sono alla base dei principi di tutela della vita: l’amore, il dolore, la fantasia, l’ideazione, il sogno …
Edifici sostenibili: la percezione degli italiani
Durante l'evento GBC è stata presentata l'indagine demoscopica del prof. Renato Mannheimer sugli edifici sostenibili.
“Primario dato che connota l’attuale scenario italiano è il riconoscimento del ruolo attivo attribuito all’edilizia rispetto alla sostenibilità ambientale e nel contingentare l’impatto dell’uomo sull’ambiente” – evidenzia il Professor Renato Mannheimer – “Un’evidenza condivisa da oltre il 78% degli intervistati. Il 66% dei cittadini italiani coinvolti nell’indagine, inoltre, ritiene necessario sostenere interventi mirati ad efficientare il proprio immobile, esprimendo una convinta posizione a guardare con concretezza ai temi del vivere sostenibile. Per farlo, ben l’89% gradirebbe aver a disposizione una guida e indicazioni chiare per procedere in questa direzione, in adeguamento anche alle normative europee; così come ampia è la condivisione nel ritenere necessaria l’azione svolta da un soggetto indipendente nel certificare la qualità del lavoro svolto”.
Per saperne di più
La sfida per l’umanità
Per Galimberti la sfida moderna per l’umanità è quella di “sostituire al modello antropocenico il modello biocentrico, ovvero VITA, introdurre i diritti della vita, degli essere viventi. Questa è la sfida dell’umanità, in cui deve difendersi da se stessa, da quella posizione che l’ha portata a sballare tutti i rapporti, a cominciare tra quello delle disponibilità e la domanda. Non si può trattare l’aria, l’acqua, la vegetazione come un mezzo. Sono dei fini, non solo dei mezzi.”
Vita, che cosa comprende
Sébastien Dutreuil, nel suo approccio filosofico e linguistico, propone una visione innovativa: utilizzare la maiuscola per la parola 'Vita' per catturare non solo gli esseri viventi, ma anche l'intero ambito della loro influenza - mari, montagne, suolo, atmosfera - in un unico grande concetto. Questo uso trasforma 'Vita' in un nome proprio, specifico per la Terra e la sua composizione unica. Tuttavia, Dutreuil avverte che ciò potrebbe generare malintesi, dato che la parola 'vivente' è comunemente associata agli organismi, e un tale ampliamento del termine potrebbe offuscare la linea tra esseri viventi e l'ambiente inorganico che hanno plasmato.
Abbiamo una speranza? sì, per Galimberti esiste ancora una possibilità: “Economia e tecnica hanno superato i confini dello stato. Allora possiamo includere anche questo pensiero, questa percezione, queste posizioni in questa strasnazionalità: i principi dell’umanità devono attraversare i confini, per arrivare a una deterrioralizzazione che crea differenze, contrasti, conflitti.”
Un pensiero che ritroviamo anche in Bruno Latour quando evidenzia il superamento del concetto stesso di frontiera, “che avrebbe dovuto servire a proteggere i cittadini degli Stati-nazione ma che, alla fin fine, impedisce loro di vivere.”
Come fare quindi? Ce lo dice Galimberti:
“Dobbiamo lasciarci evolvere culturalmente, da una politica che ci divide tra ogni stato, raggiungendo il terzo messaggio della rivoluzione francese. Ci siamo ricordati del concetto di Legalitè, abbiamo lottato per l’Egualitè, ma abbiamo smarrito quello di “Fraternitè”, ci siamo persi il messaggio cristiano dell’amore.”
Come avevo sottolineato all’inizio di questo mio articolo Galimberti non attacca il pensiero cristiano, ma lo analizza, lo affronta.
Galimberti in tal senso richiama il pensiero di San Francesco
Il "Cantico delle creature" di San Francesco d'Assisi è un'inno che celebra la natura e l'universo come manifestazioni della grandezza di Dio. In questa preghiera, San Francesco si riferisce al sole e alla luna come "fratello" e "sorella", esprimendo una profonda connessione e rispetto per tutti gli elementi della creazione.
Il messaggio principale è quello di amore, umiltà e armonia con il mondo naturale, vedendo in ogni aspetto della natura un riflesso dell'amore divino.
San Francesco esorta all'unità e al rispetto reciproco, sottolineando il legame spirituale dell'umanità con tutto il creato.
Ecco l’esortazione finale di Galimberti, tornare a questo pensiero, altrimenti dobbiamo rassegnarci all’estinzione.
E lascia un monito: “A Venezia, durante il covid ,nei canali invece delle pantegane si sono visti i delfini.”.
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