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Ricostruzione di un edificio demolito e ristrutturazione edilizia: tra edilizia ed urbanistica

Le norme che, a vario titolo (urbanistiche, tutela del paesaggio, etc.) intervengono dopo la demolizione o il crollo dell’edificio, disciplinando l’uso del suolo in modo che la realizzazione di nuove costruzioni o di nuovi volumi non sia più consentita, sono preclusive anche di interventi di ristrutturazione cd. ricostruttiva.

La sentenza qui in commento ricopre estremo interesse e ritorna sulla vexata quaestio della ristrutturazione che il nostro Legislatore ha ripetutamente modificato nell’ultimo travagliato periodo.

L’Autrice pone in particolare evidenza i limiti alla ricostruzione differita nel tempo rispetto alla demolizione/crollo dell’edificio preesistente che già in una precedente sentenza il Consiglio di Stato aveva precisato non poter essere precedente l’entrata in vigore della norma che l’ha previsto (il d.l. n. 69/2013).

Quel che il Consiglio di Stato qui precisa è che in ogni caso non possono essere disattese o derogate le norme pianificatorie nel frattempo sopravvenute, dando così prevalenza all’urbanistica (il potere di pianificare) rispetto all’edilizia (il diritto a costruire).

Tema rilevante per l’affermazione della gerarchia dei “principi” in materia che si era un po’persa negli ultimi tempi.

Quel che preoccupa ancora però (e che dovrebbe preoccupare i progettisti asseveratori) è che - nonostante la complessità dell’interpretazione normativa delle singole fattispecie che si possono verificare in concreto - gli interventi di questo tipo siano comunque realizzabili con s.c.i.a..

Come l’Autrice ben sottolinea.

*presentazione a cura di Ermete Dalprato.


Ristrutturazione ricostruttiva: è preclusa se posteriormente i piani urbanistici impediscono la realizzazione di nuove costruzioni

Nel corso degli ultimi anni il legislatore ha ampiamente dilatato la definizione di ristrutturazione edilizia ponendo una serie di problematiche legate non solo alla delimitazione tra questa tipologia d’intervento e la nuova costruzione, ma anche alle analisi funzionali ad una corretta programmazione del territorio spettanti alle Amministrazioni locali.

In relazione a queste un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato (sez VI n. 616/2023) rende chiari ed indiscutibili (almeno sotto il profilo logico) principi di carattere generale utili agli operatori del settore.

Nella sentenza in commento viene in questione l’applicazione della disposizione contenuta all'art. 3 comma 1 lett d) DPR 380/01, come modificata dall'art. 30 comma lett a) DL 69/2013, nella parte in cui prevede che “Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.”

La norma non pone un limite temporale di operatività pertanto può essere posto in dubbio che si possa ricostruire oggi un edificio demolito ormai da decenni, definendo tale intervento quale ristrutturazione edilizia con tutto ciò che ne consegue in termini di titolo abilitativo, contributo di costruzione, disciplina urbanistico-edilizia locale applicabile al caso concreto.

Dubbi che vengono risolti dalla sentenza in commento che riguarda un contenzioso generato dall’impugnazione di un diniego di un permesso di costruire, in cui veniva proposta la ricostruzione di un fabbricato andato distrutto nel terremoto che ha interessato la Campania nel 1980, la cui consistenza era stata documentalmente comprovata, in un ambito in cui la normativa urbanistica applicabile inibiva la realizzazione di nuovi volumi.

Per quanto ci interessa, il Collegio parte dal presupposto che la demolizione determina l’eliminazione, fisica e giuridica, della volumetria esistente, di modo che la ricostruzione dell’edificio è, sempre in linea di principio, preclusa nel caso in cui, in epoca posteriore al suo abbattimento/crollo, entrino in vigore nuovi strumenti di governo del territorio (id est: piani regolatori, ma anche piani paesaggistici) i quali impediscano la realizzazione di nuove costruzioni.

 

Ristrutturazione edilizia: la metamorfosi giuridica e il 'valore' dell'edificio preesistente

La nozione di ristrutturazione contenuta nel DPR 380/01, trova origine nell’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa al disposto di cui all’art 31 della L. n. 457/1978 - secondo cui erano interventi di ristrutturazione edilizia “quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.

La norma è stata interpretata nel senso che “la nozione di ristrutturazione edilizia, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi, dovendo essere altrimenti l’intervento qualificato come di nuova costruzione (Consiglio di Stato; Sez. IV, 9 luglio 2010, n. 4462; Sez. IV, 5 ottobre 2010 n. 7310; Sez. IV, sentenza 10 agosto 2011, n. 4765, Sez. IV, sentenza 4 giugno 2013, n. 3056; di recente, con riferimento sempre al periodo di vigenza della legge 457 del 1978, Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3153).” (Cons. Stato, Sez. II, n. 721 del 2 febbraio 2022).

Nel corso del tempo vi è stato il graduale abbandono del concetto di “fedeltà” della ricostruzione che consentiva di mantenere la ristrutturazione edilizia quale tipologia di intervento edilizio di recupero presupponendo la preesistenza e la conservazione di un edificio da rinnovare o modernizzare.

Il tratto distintivo della ristrutturazione edilizia era costituito dall’esistenza, tra l’edificio preesistente all’intervento e l’edificio risultante dall’intervento, di una relazione di continuità, tale da essere percepita esternamente e da giustificare l’affermazione secondo cui l’edificio preesistente continuasse ad esistere anche dopo l’intervento di ristrutturazione ( Cons. Stato, Sez. VI, n. 2294 del 7 maggio 2015).

Prima della modifica normativa d’interesse, questa particolare relazione di continuità tra edificio preesistente ed edificio risultante dalla ristrutturazione, implicava, con specifico riferimento alla ristrutturazione attuata attraverso la demolizione e ricostruzione, non solo il rispetto della volumetria, della sagoma e degli elementi distintivi, ma anche il fatto che le due operazioni, cioè la demolizione e la ricostruzione, avvenissero in un unico contesto, senza soluzione di continuità, comportando che la ricostruzione fosse già programmata al momento della demolizione/crollo spontaneo, dell’edificio da ricostruire.

La modifica legislativa di cui all’art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. n. 69/2013 ha inciso proprio su questo punto, modificando l’art. 3,comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, risolvendo la continuità tra esistente e ricostruito necessaria in precedenza e ponendo la condizione che la consistenza dell’immobile sia documentalmente comprovata (art. 9 bis DPR 380/01).

 

I tipi di demolizione e ricostruzione della ristrutturazione edilizia

In definitiva e limitatamente all’oggetto di discussione, l'art. 3,comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001 include tuttora, nella ristrutturazione edilizia tre tipologie di demolizione e ricostruzione:

  • (i) una connotata dalla unicità del contesto “temporale” di realizzazione dei vari interventi, con rispetto della volumetria preesistente;
  • (ii) l’altra caratterizzata, all’opposto, dal fatto che la ricostruzione/ripristino risulta indipendente dalla demolizione, con possibilità di realizzare i due interventi anche a distanza di tempo, ma anche in questo caso con la necessità di rispettare la “preesistente consistenza”;
  • (iii) da ultimo la demolizione seguita da ricostruzione in zone tutelate, connotata dal rispetto della “preesistente consistenza” indipendentemente dalla contestualità, o meno, dei due interventi, con la precisazione che a partire dalle modifiche introdotte nel 2020 il legislatore ha richiesto, in tal caso, il rispetto di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”, cioè una ricostruzione assolutamente “fedele” all’edificio preesistente.

 

Gli ultimi chiarimenti del Consiglio di Stato: vincoli temporali, possibilità, regime autorizzatorio

Il Consiglio di Stato ha poi chiarito questi ulteriori e rilevanti elementi:

  1. la disposizione introdotta dall’art. 30 DL 69/2013, secondo quanto previsto dal comma 6, trova applicazione dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione (L. 9 agosto 2013 n 98 GU 20/08/2013 n. 194);
  2. rispetto al punto precedente ne consegue che la nuova fattispecie di ristrutturazione trova attuazione solo se i fatti che ne sono presupposto (demolizione/crollo) sono avvenuti dopo la sua entrata in vigore;
  3. nei casi concreti trova poi applicazione la normativa entrata in vigore successivamente alla demolizione/crollo che eventualmente precluda la realizzazione di nuove costruzioni o nuovi volumi.

Fintanto che l’interessato non manifesti l’intenzione di procedere alla ricostruzione nella realtà fisica, il fabbricato non esiste più e quindi non può essere percepito come entità “virtualmente” ancora presente, conseguendone che le norme che, a vario titolo (urbanistiche, tutela del paesaggio, etc.etc.) intervengono dopo la demolizione o il crollo dell’edificio, disciplinando l’uso del suolo in modo che la realizzazione di nuove costruzioni o di nuovi volumi non sia più consentita, devono ritenersi opponibili al proprietario, e quindi preclusive anche di interventi di ristrutturazione nel senso che qui si sta considerando, trattandosi di norme che legittimamente sono partite dalla considerazione del fondo come sgombro dai volumi che si intendono ricostruire, e sulla base di tale considerazione hanno espresso una scelta.

In merito a quest’ultimo punto, il Consiglio di Stato dà pertanto rilievo alle scelte pianificatorie che possono essere state operate anche in ordine a questa tipologia d’intervento, in quanto diversamente si consentirebbe di lasciare il regime giuridico di un fondo in una situazione di incertezza giuridica che ridonderebbe sulla capacità dell’amministrazione di programmare correttamente l’uso del territorio (“Ad esempio, in sede di approvazione di una variante generale allo strumento urbanistico, l’amministrazione non sarebbe certa di poter ritenere la volumetria rinveniente da demolizioni/crolli quale volumetria ancora “impegnata” o esistente, o, al contrario, non esistente e tale da poter essere eventualmente collocata su altri fondi”).

La tipologia di ristrutturazione che qui si sta considerando, in cui il legame di continuità tra l’edificio preesistente e quello ricostruito è fittizio, poiché frutto di una scelta assunta a posteriori, implica che la volumetria rinveniente dalla demolizione o dal crollo di un edificio si estingue, salvo “rivivere” nel momento in cui il privato manifesta concretamente, con la presentazione del titolo edilizio, l’intenzione di utilizzarla nuovamente.

Nella sostanza l’intervento integra una “nuova costruzione”,e l’inclusione di esso tra i casi di ristrutturazione edilizia incide unicamente sul regime autorizzatorio, potendo essere assentito con SCIA, e sul calcolo degli oneri collegati all’intervento.

Sempre secondo il Consiglio di Stato all’atto della sopravvenienza di nuove norme che precludano sul fondo la realizzazione di nuove costruzioni o di nuovi volumi, gli interventi di ristrutturazione in parola devono ritenersi preclusi, salvo che non siano specificamente fatti salvi dalle nuove norme, non potendo a tal fine considerarsi sufficiente il generico riferimento alla possibilità di effettuare interventi di ristrutturazione edilizia.

 

Conclusioni

Seppur l’interpretazione del Consiglio di Stato consenta di dare rilievo anche alle esigenze di una corretta programmazione del territorio, va tuttavia rilevato che siamo nuovamente innanzi ad un diritto c.d. “giurisprudenziale”, cui, in parte, deve essere imputata la responsabilità dei dubbi ed incertezze che frenano la tempestività amministrativa.

E’ infatti evidente che la norma in commento non pone alcun limite temporale tra demolizione e ricostruzione riconosciuto dalla giurisprudenza invece come rinvenibile nella disposizione transitoria relativa all’efficacia del DL 69/2013.

Come chiarito anche dallo stesso Consiglio di Stato (sez IV n 962/2023) nell’interpretazione ed applicazione della legge, il giudice pur dando vita al testo normativo ha quale compito essenziale quello di dipanare i dubbi interpretativi che ciascuna disposizione inevitabilmente solleva.

Tuttavia il problema è stabilire i limiti entro cui la discrezionalità dell’interprete può essere esercitata, impedendo che lo stesso assuma un ruolo creativo individuando, in luogo del legislatore ed in contrasto con il principio della divisione dei poteri, la regola del caso concreto e non si limiti a cercare il corretto significato di una disposizione normativa nell’ambito delle opzioni che il testo, nella semantica della lingua legale, consente.

Qualora poi la norma si ponga in conflitto con principi costituzionalmente garantiti lo stesso interprete dovrebbe astenersi dall’assestare l’interpretazione assumendo ciò che la legge non dice, avendo quale unica strada quella di sollevare la questione di legittimità costituzionale affinché, in esito all’illegittimità della disposizione stessa, si costringa il legislatore ad intervenire correggendo tale conflitto.


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