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Ricostruzione di fabbricato o di rudere: c'è molta differenza. Tra ristrutturazione e nuova costruzione

L'attività di ristrutturazione edilizia presuppone, differentemente dalla nuova costruzione, che sia dimostrata non solo la preesistenza di un manufatto, ma anche la relativa consistenza, ossia il complessivo ingombro plani-volumetrico (altezza, sagoma, prospetto, estensione).

Come si inquadra a livello edilizio-urbanistico la ricostruzione di un edificio?

Se ne occupa il Consiglio di Stato nella sentenza 6331/2023 del 28 giugno, inerente il ricorso di un privato contro il respingimento dell'istanza di rilascio di un permesso di costruire per la ricostruzione di un fabbricato preesistente.

La ricostruzione del fabbricato

Il ricorrente, un privato, era proprietario di un fabbricato abbattuto per motivi di tutela dell'incolumità pubblica.

Con istanza del 3 maggio 2011, l'attuale ricorrente ha chiesto al Comune di poter ricostruire in situ il fabbricato per civile abitazione, volendo beneficiare delle disposizioni introdotte dall’art. 7, co. 8 - bis, l.r. 19/2009 (intervento di recupero edilizio di edifici diruti e di ruderi).

L'amministrazione comunale, dopo aver adottato il preavviso di rigetto della istanza, ha emanato il provvedimento di diniego del rilascio del titolo abilitativo, evidenziando la insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 7, comma 8 - bis, della l.r. n. 19/2009 e s.m.i., stante l’inesistenza di un edificio diruto (dell’edificio originario non resta alcuna traccia, tanto che l’area di sedime è stata recintata, pavimentata e utilizzata a parcheggio all’aperto), nonché in considerazione del fatto che l’intervento ricade in zona B1 “residenziale/vecchio centro storico” del vigente Piano regolatore generale, assimilabile alle zone territoriali omogenee di cui alla lett. A dell’art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, per le quali l’art. 3, comma 1, lett. b) della l.r. della Campania n. 19/2009 non consente la realizzazione degli interventi edilizi di cui agli artt. 4, 5, 6 - bis e 7 della predetta legge.

Il ricorso

L'appellante contesta le conclusioni del TAR competente, evidenziando che l'intervento edilizio per il quale ha presentato istanza di permesso di costruire deve essere sussunto nella categoria della ristrutturazione edilizia, di cui all'art. 3, comma 1, lett. d) del dpr 380/2001.

Inoltre, non può considerarsi ostativo alla assentibilità dell’intervento edilizio il fatto che la parte istante non sia in grado di comprovare la preesistente consistenza, l'autonomia funzionale nonché la destinazione urbanistica del fabbricato non più esistente.

L'onere di dimostrare non solo la preesistente volumetria, ma anche l’esistenza di tracce visibili del fabbricato demolito non sarebbe ravvisabile nel corpus normativo di riferimento.

Infine, gli elementi asseritamente mancanti potrebbero essere desunti dal titolo assentito, da cui si ricavano la consistenza materiale e le caratteristiche del fabbricato preesistente.

Ricostruzione di rudere: bisogna accertarne la preesitente consistenza

Palazzo Spada respinge il ricorso partendo dai presupposti di legge:

  • l'art. 7, comma 8-bis della legge regionale della Campania n. 19/2009 e s.m.i. dispone testualmente: “8-bis. È consentito il recupero edilizio soltanto agli aventi titolo alla data del 1° gennaio 2018, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, mediante intervento di ricostruzione in sito, di edifici diruti e ruderi, purché ne sia comprovata la preesistenza alla stessa data di entrata in vigore della legge regionale n. 1/2016 nonché la consistenza e l'autonomia funzionale, con obbligo di destinazione del manufatto ad edilizia residenziale e secondo le disposizioni di cui all'articolo 5 della presente legge”. Il legislatore regionale subordina quindi la ricostruzione degli edifici diruti e dei ruderi alla condizione che ne sia comprovata la preesistenza alla data di entrata in vigore della l.r. n. 1/2016 nonché la consistenza e l'autonomia funzionale, imponendo la destinazione del manufatto ad edilizia residenziale;
  • l'art. 3 comma 1, lett. d) del dpr 380/2001, nel disciplinare gli interventi di ristrutturazione edilizia, dispone che “Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

E' il privato che doveva provare la consistenza dell'immobile demolito

In questo caso, il fabbricato di proprietà dell’appellante è stato integralmente demolito nel 1986, in esecuzione di una ordinanza sindacale e in relazione all’evento sismico del 1980; l’area è stata successivamente recintata, pavimentata e adibita a parcheggio (all’aperto).

Insomma, siamo già 'arrivati': non residuando nulla del fabbricato preesistente, ai fini della ricostruzione, la parte ricorrente odierna appellante aveva l'onere di comprovare la consistenza dell’immobile abbattuto (e quindi non solo la volumetria, ma anche la tipologia e le dimensioni) e l'autonomia funzionale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1681/2023).

Il principio cardine è quello secondo il quale l'attività di ristrutturazione edilizia presuppone, in ciò consistendo il discrimen normativo rispetto alle attività di nuova costruzione, che sia dimostrata non solo la preesistenza di un manufatto, ma anche la relativa consistenza, ossia il complessivo ingombro plani-volumetrico (altezza, sagoma, prospetto, estensione).


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