Restauro e conservazione: il nuovo Codice degli Appalti e il PNRR, riflessioni disordinate e in libertà di un pessimista cronico
Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni dell'ing. Nicola Berlucchi che esprime una serie di preoccupazioni circa l'impatto che il nuovo Codice degli Appalti e il PNRR avranno nel settore del restauro dei beni culturali.
La spinta del PNRR nel settore dei beni culturali
Stiamo vivendo un periodo molto strano e, a mio avviso, pericoloso. Il PNRR ha letteralmente ingolfato gli uffici tecnici dell’Amministrazione Pubblica, e anche tanti progettisti, con centinaia di progetti di restauro racimolati al volo durante la gestione Draghi: vista la disponibilità di fondi europei dovevamo approfittarne inserendo qualsiasi progetto presente nel panorama italiano.
Manutenzioni straordinarie ma anche ordinarie, messe in sicurezza ma anche semplici tetti da sistemare o affreschi da restaurare: tutto fa brodo.
Si è attinto a tutti i progetti che magari giacevano in coda da anni presso il FEC, la Soprintendenza Archeologica, i Segretariati Regionali, i Provveditorati etc. e ne è venuto fuori un elenco che ha interessato l’Italia intera con una grande gara nazionale suddivisa in aree di intervento che spaziavano da Venezia a Rimini nel medesimo “Lotto geografico”, dall’Arsenale alle gronde della Canonica di una chiesa alla Giudecca.
Impatto del PNRR sulla qualità del progetto di restauro
Da un certo punto di vista è stata una azione meritoria, visto che questi lavori troverebbero la copertura dell’Europa, se non fosse che i lavori devono essere realizzati e completati entro Giugno 2026, completati nel senso di funzionanti e aperti al pubblico, non solo collaudati.
L’idea di appaltare in contemporanea il progetto, l’esecuzione e il collaudo è stata geniale dal punto di vista amministrativo: si è potuto così affermare che tutte le somme erano state allocate. Ma non dal punto di vista del restauro: le gare sono state aggiudicate sulla base dei CV e dei ribassi, senza alcun riferimento al singolo monumento, alle sue peculiarità e problematiche conservative - della serie Tacchi, Dadi e Datteri! Le imprese hanno offerto un ribasso senza nemmeno sapere dove era il cantiere e di che cosa si trattasse.
Non si è tenuto conto della burocrazia mostruosa che affianca ogni progetto, delle tempistiche bibliche per le autorizzazioni, gli ODA (leggi Ordine di Acquisto), le validazioni etc. relegando la realizzazione alla fase finale del tempo disponibile, con probabili corse all’ultimo secondo.
Non so come finirà ma temo che i primi sei mesi del 2026 saranno un vero inferno. Tutte le imprese con cui parlo hanno un portafoglio lavori che è almeno il doppio del loro storico con tempi di realizzazione che sono almeno la metà.
I progettisti che si sono aggiudicati le gare rappresentano una piccola percentuale di quelli disponibili, ma è evidente che il PNRR assorbirà tutti gli sforzi dei prossimi due anni, riducendo al minimo altre gare o altri incarichi. Il tutto ripartirà, forse, dal 2027 con probabile contrazione delle attività di progettazione.
Nuovo Codice degli Appalti e preoccupazioni per la qualità nei progetti di restauro
Ma il peggio non è questo, bensì è il nuovo Codice dei Contratti n. 36/2023, partorito il 31 Marzo 2023 a seguito di qualche astruso ragionamento che riteneva troppo farraginose le procedure definite dal buon Codice n.50/2016. Il povero 50 aveva stabilito con chiarezza che il progetto è affare ben disgiunto dalla esecuzione e che servono almeno tre fasi progettuali per un progetto di restauro, al fine di ridurre la madre di tutti i problemi: le varianti in corso d’opera.
Già agli inizi degli anni 2000 si era tentato di demandare il problema della varianti alle imprese, introducendo l’appalto integrato: il committente faceva realizzare i progetti preliminare e definitivo mentre il progetto esecutivo veniva realizzato da progettisti incaricati e sotto lo scacco delle imprese (io ho vissuto questa situazione per la ricostruzione del Teatro La Fenice!).
Ma almeno un buon progetto definivo poteva stabilire i principi, l’approccio metodologico e il tipo di finiture, garantendo un minimo di qualità. Inoltre il Codice invitava a dare la Direzione Lavori al Progettista del Definitivo per dare continuità e controllo.
Ora invece il legislatore ha pensato che un semplice Piano di Fattibilità Tecnico Economico possa definire in maniera univoca un progetto di restauro! Al pari di una strada o una ferrovia.
Il prode legislatore ha pensato che le Soprintendenze possano avere una chiara visione dei lavori e del risultato finale approvando il PFTE e che l’impresa aggiudicataria non cercherà di “peggiorare” le lavorazioni più costose in fase di redazione del progetto esecutivo, dopo aver già vinto il lavoro con prezzi e sconti definiti.
Mi domando che conoscenza abbia il legislatore del mondo dei beni culturali per pensare che un tale meccanismo non porti il disastro nel nostro settore; già ora le autorizzazioni che escono dalle Soprintendenza sono un elenco di distinguo e rimandi al cantiere e al progetto esecutivo che rendono l’autorizzazione del PFTE una pura illusione formale.
Sembra che il progetto sia solo un intralcio, che il rapporto agognato sia quello tra RUP e Impresa, in un mondo ideale dove tutti mirano al meglio e non a massimizzare il profitto. Con l’unico fine di ridurre l’impegno delle Amministrazioni e dei RUP nella speranza, inutile, di ridurre al minimo le varianti in quanto il progetto è realizzato dall’esecutore che letteralmente “se la canta e se la suona”.
Come se non bastasse, in generale la Direzione Lavori viene affidata internamente, a tecnici dipendenti che non hanno l’esperienza sul campo per contrastare imprese super organizzate. Se va bene si incarica il professionista esterno come Direttore Operativo o Ispettore di Cantiere, rimanendo sotto la soglia dei 150.000 euro.
Gli ordini professionali tacciono con un silenzio assordante; le gare vengono vinte dalle imprese e la competenza dei progettisti collabora per massimo 15 punti su cento, punteggio pari ai punti vinti per il ribasso economico.
Come fanno gli Ordini Professionali a non rendersi conto che il meccanismo geniale introdotto dal nuovo Codice ha eliminato una fondamentale fase progettuale, il progetto Definitivo, pensando di spalmare alcune parti nella fattibilità avanzata e il resto nel progetto esecutivo. In tal modo le parcelle, anche se in teoria migliorate e protette dalla Norma dell’Equo Compenso, vengono spezzettate riducendo gli importi globali a favore di incarichi interni affidati ai funzionari che si trovano ad operare senza nemmeno un plotter o un collaboratore.
Mi domando: ma se io fossi un RUP e potessi affidare la fattibilità sotto soglia a un progettista capace che conosco (149.000 di incarico massimo) e demandare all’impresa il progetto esecutivo e l’appalto con un’unica azione, per quale strano motivo dovrei impostare una gara sopra soglia per la fattibilità e l’esecutivo, di seguito un incarico di validazione e infine una gara per l’appalto; complicandomi la vita e assumendomi la responsabilità delle future varianti? La risposta viene da sé, direi, ed è ciò che sta avvenendo.
Pertanto, tutti i lavori al di sotto qualche milione di euro, che saranno comunque pochi visto il boom del PNRR, e che possono avere una PFTE sotto soglia, non saranno più oggetto di gara di progettazione ma solo di incarichi diretti; mentre i progetti esecutivi saranno redatti da progettisti incaricati dagli esecutori: il controllato che incarica il controllore.
Vi lascio con questa immagine: immaginate il progettista dell’esecutivo alla sua scrivania che prepara il computo metrico estimativo con lavorazioni di Nuovi Prezzi non contenute nei prezziari, sotto dettatura dell’impresa esecutrice, che altrimenti non gli paga la prestazione. Anzi è molto più probabile che il Computo Metrico arrivi già completo e revisionato da parte dell’Impresa. La qualità saluta e ringrazia!
Ps. Mi dicono che io sia di natura un Pessimista, io rispondo che sono un Ottimista realista.
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