Recupero e conservazione del patrimonio costruito storico: quale impatto hanno le nuove tecnologie
Per saperne di più sul tema abbiamo intervistato il prof. Marcello Balzani dell’Università di Ferrara e presidente del Clust-ER Build Edilizia e Costruzioni della regione Emilia-Romagna.
Innovazione riguarda tre linee di sviluppo industriale: materiali, sensoristica e piattaforme semantiche
Dalila Cuoghi
Qual è l'impatto delle nuove tecnologie nell'ambito del recupero e conservazione del patrimonio costruito storico?
Marcello Balzani
L'impatto riguarda a mio avviso tre linee di sviluppo industriale. La prima linea è connessa alla ricerca e sviluppo di nuovi materiali. Quando parliamo di materiali assistiamo a una duplice sfida: da un lato sviluppo di nuove soluzioni e dall’altra metodologie applicative che richiedono operatori sempre più specializzati. Allo sviluppo di materiali sempre più prestazionali e performanti si accompagna, sempre e comunque, la necessità del rispetto di determinati requisiti di compatibilità e di reversibilità. Ciò che nel settore del restauro viene definito come processo di reversibilità descrive l’obbiettivo di una tendenza di potenziale sostituzione nel tempo: la scelta di componenti e materiali è sempre in funzione di un miglioramento che riduce l’impatto sulla materia storica, sulla preesistenza giunta fino a noi.
In quest’ambito la ricerca è in grande avanzamento. Si stanno testando materiali che possiedono nuove strutture componenti e una chimica al servizio della fisica dei materiali. Riguardo invece il tema dell'applicazione dei materiali, il processo di specializzazione richiede anche operatori più specializzati. Questo accade per un semplice motivo: più i materiali sono “specialistici”, più il grado di competenza dell’operatore che li deve applicare deve essere elevato. Prospetticamente si potrebbe individuare un gap di filiera, che deve essere risolto con attenzione e formazione mirata: materiali più ibridati, più specialistici, multicomponente e multifunzionali sono anche progettualmente più complessi da scegliere, da inserire nel progetto e da applicare. Se, per paragone con un altro settore della ricerca industriale, il progettista architettonico fosse un medico specializzato, risulterebbe indispensabile definire una diagnosi mirata dell'esistente per individuare corrette terapie al fine di contrastare problematiche evidenti ma anche insorgenti nel tempo.
In sintesi, siamo in una grande fase di evoluzione che richiederà quindi maggiore competenza applicativa - dal punto di vista tecnico-scientifico, e maggiore competenza progettuale proprio nella definizione dei requisiti prestazionali in rapporto, ovviamente, al dato storico, al valore di preesistenza, al vincolo di tutela e alla sempre più emergente necessità di valorizzazione.
Una seconda linea innovativa è quella che riguarda la capacità dello spazio architettonico e storico di diventare “parlante”; una integrazione materiali/componenti/sensori per una continua manutenzione e/o una gestione del patrimonio. Si stanno testando, ad esempio, sensori inseriti all'interno degli strati di supporto e/o di sacrificio – es. malte e intonaci – o in giunti strutturali utili a trasferire dati (che poi diventano criticamente analizzati da algoritmi) e informazioni ai modelli inseriti piattaforme attraverso reti wi-fi. Nella realtà industriale del Clust_ER Build Edilizia e Costruzioni si individuano imprese e laboratori di ricerca che sviluppano l’adattabilità (nell’ambito del patrimonio costruito storico) di sensori di questo tipo, imprese che testano neo-materiali “immersivi”, cioè capaci di dialogare attraverso i dati, ed infine abbiamo società spin off che stanno sviluppando piattaforme IoT per la raccolta ed elaborazione dei dati in informazioni utili al recupero e al processo di programmazione degli interventi. È evidente che questa “dimensione della ricerca applicata” riguarda per lo più sicurezza sismica e aspetti manutentivi, in relazione alle condizioni ambientali e di utilizzo in rapporto alle esigenze di conservazione del patrimonio costruito.
Infine, esiste una terza linea di sviluppo industriale ovvero quella che si occupa di piattaforme IoT e semantiche. Un settore di ricerca che si sta sviluppandosi come un vero e proprio settore di mercato in fortissima espansione, connesso non solo alle necessità di documentazione digitale del patrimonio, ma anche alla diagnosi preventiva (e quindi predittiva) che simula operazioni e processi (anche per finalità formative degli addetti ai lavori) che meglio si collegano al tema del BIM.
Utilità del BIM per il patrimonio costruito storico
Dalila Cuoghi
Qual è il valore della metodologia BIM applicata a un progetto di recupero e conservazione?
Marcello Balzani
Per rispondere a questa domanda è bene fornire un dato di mercato e un dato di prospettiva. Negli ultimi due anni e mezzo l’Agenzia del Demanio ha messo in gara molti lotti di documentazione digitale del patrimonio esistente, anche di valore storico. L’obiettivo è quello di ottenere un modello digitalizzato del patrimonio costruito in BIM, rilevabile attraverso scansioni tridimensionali (Scan-to-BIM) e popolato di dati relativi agli stati conservativi materici, di degrado, di valorizzazione energetica e di vulnerabilità e sicurezza strutturale.
Database integrati di questo tipo vengono poi utilizzati come supporto per le gare di appalto volte alla progettazione e rigenerazione del tessuto urbano e del costruito. Diversamente da quanto si crede, anche attraverso una semplice ricerca in rete, è possibile scoprire come una discreta parte del patrimonio di proprietà dello Stato sia stato rilevato e documentato con metodologia BIM. E il processo non si ferma. Tutto questo avviene secondo capitolati e piani informativi che sono in progressivo miglioramento specialistico e si può comprendere come il sistematico impegno dell’Agenzia del Demanio - per migliaia di edifici e contesti costruiti su tutto il territorio italiano, isole comprese - abbia prodotto uno “stile” e un “modello”, connesso anche alla creazione di specifici ACDat per l’archiviazione e l’utilizzo dei dati.
Alla luce di queste evidenze - che vedono anche l’Agenzia nazionale Invitalia agire con un simile impegno di spesa e di messa a bando per rilievi e documentazioni BIM di patrimoni, ad esempio, del MIC - non concordo con chi ancora afferma che, nell’ambito della digitalizzazione del patrimonio costruito, il ruolo del Pubblico sia sempre in ritardo; magari apparentemente può sembrare in ritardo la piccola e media Amministrazione locale. Se si guarda alla scala di valore, dopo l’avvio del DM Baratono n. 560/2017 e delle successive modifiche (Decreto BIM 2021), si percepisce una tendenza positiva al progressivo compimento di un processo atto a validare il BIM all’interno della diversificata costellazione della Pubblica Amministrazione. Appare anche chiaro come una “politica” come quella dell’Agenzia del Demanio, in rapporto alle diverse tipologie di lotti messi in gara, abbia accelerato enormemente la disponibilità di ottimizzazione delle prestazioni ma abbia anche ridotto - con la logica degli sconti per aggiudicarsi la gara - i valori a mq delle fasi di rilievo 3D - terrestre, drone, ecc. - e di modellazione BIM, che sono oggettivamente le fasi più fragili rispetto a quelle più specialistiche del “popolamento critico” - degrado, materiali, energetico e strutturale - dei “supporti descrittivi” 2D e BIM.
Se livello applicativo quantitativo del BIM è aumentato, già questo è un indicatore positivo della sua utilità, bisogna poi cercare di comprendere quale possa essere il grado di utilizzazione prospettica all’interno della gestione del patrimonio. Se si chiede al BIM di fare tutto quello che veniva fatto prima secondo una logica tradizionale, probabilmente la sua utilità si riduce o si annulla; se invece il BIM diviene un passaggio evolutivo di un modello di gestione del patrimonio che serve a documentare, schematizzare criticamente e programmare livelli di intervento, allora sì… ecco che il BIM diviene non solo utile ma necessario.
In Italia siamo all’avanguardia se si tratta di digitalizzazione del patrimonio costruito storico; a titolo di esempio vorrei ricordare che a Roma è già in atto la realizzazione del rilievo 3D e del modello BIM del Colosseo e di Galleria Borghese, mentre il Viminale è già stato completamente digitalizzato. È importante, tuttavia, precisare che non si deve immaginare il modello BIM come un “digital twin storico” dell’edificio privo di funzioni, quanto piuttosto come un sistema/strumento che opera attivamente nell’ambito della gestione del patrimonio, utile, ad esempio, nella definizione degli scenari di vulnerabilità, nella archiviazione e ricerca storica anche in logica semantica, nella programmazione dei cantieri di manutenzione e restauro, nell’individuazione di conflitti impiantistici, nella gestione delle tante opere d’arte in esso contenute, nell’integrazione e gestione dei flussi - visitatori, mostre temporanee, eventi - e così via. Inoltre, tutta la sensoristica immersiva, di cui accennavo poco fa, alimenta e aggiorna di dati il modello BIM, che appare sempre di più come il miglior sistema/strumento di visualizzazione attiva per il progetto e la gestione.
Tutta la diagnosi sul patrimonio storico è sempre stata di tipo “diretto” e di carattere “manuale”. Il patrimonio storico per essere progettato nel suo processo conservativo richiede un’attenta analisi e una precisa diagnosi. Nel campo dell’innovazione, attualmente si stanno elaborando assieme agli algoritmi per la diagnosi predittiva anche algoritmi semantici che segmentano le nuvole di punti per ottenere dati utili ad apprendere e riconoscere diverse tecniche costruttive, degradi ed alterazioni delle superfici anche attraverso l’uso di intelligenza artificiale. Queste “segmentazioni” creano, in sostanza, delle porzioni di nuvole di punti tematizzate, che, dal punto di vista descrittivo e diagnostico, offrono la possibilità di definire con procedure sempre più digitali “segmenti BIM”, che vengono a loro volta poi gerarchizzati e ricollocati all’interno del modello oggetto di studio. Il riconoscimento delle patologie, ad esempio, in una logica auto-apprendente attraverso l’uso di tecnologie di intelligenza artificiale permetterà – sulla base di una personalizzazione, a seconda del contesto storico e della complessità di stratificazione dell’oggetto dell’intervento – ai singoli ricercatori, agli studiosi e ai restauratori di dedicare buona parte del loro lavoro all’analisi e alla ricerca qualitativa, anziché quantitativa, volta alla verifica dei dati (informazioni) e della compatibilità di cura e intervento.
Sostenibilità e conservazione hanno la stessa radice ideologica
Dalila Cuoghi
Quale rapporto intercorre tra il concetto di sostenibilità e gli indirizzi della conservazione?
Marcello Balzani
Su questo tema ho scritto già diverso tempo fa. Il “mandato etico” della sostenibilità e della conservazione sono molto simili. Se fin dal 1987 con il Rapporto Brundtland lo sviluppo sostenibile veniva definitivo come uno sviluppo “che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”, con una consapevole azione conservativa si segue la medesima logica: impegnarsi a lasciare un bene storico nelle condizioni ricevute migliorandole, per permettere alle generazioni che verranno di poterlo fruire e godere, ma anche di poter intervenire in futuro con nuove tecnologie conservative sempre meno invasive e sempre più compatibili e reversibili.
Si percepisce, quindi, una forte sovrapposizione tra sostenibilità e conservazione, perché operano nella medesima prospettiva temporale.
Sostenibilità e conservazione cercano di risolvere un conflitto: la distruzione. La distruzione di risorse, di territori e ambienti e la distruzione del patrimonio culturale. Gli strumenti sono il progetto sostenibile e il progetto della memoria. Memoria e sostenibilità hanno la stessa radice, perché la memoria non è un archivio di ricordi del passato ma “una potente struttura biologica per progettare il futuro”.
Da un punto di vista tecnologico conservazione e sostenibilità sono collegati: misurare il grado di prestazione e di impatto delle soluzioni adottate affinché non si perdano i fattori relativi ai requisiti ambientali, sociali, storico/culturali e di utilizzo efficiente.
Cos’è il Clust-ER Build Edilizia e Costruzioni dell’Emilia-Romagna
Dalila Cuoghi
Lei professore è anche il presidente del Clust-ER Build Edilizia e Costruzioni dell’Emilia-Romagna: cos’è e quali obiettivi in generale si prefigge?
Marcello Balzani
Il Clust-ER Build è una associazione di diritto privato, voluta dalla regione Emilia-Romagna all’interno dell’ecosistema di innovazione industriale regionale e che associa, per la prima volta, diverse tipologie di soggetti: imprese – piccole e grandi, centri di ricerca – pubblici e privati - ed enti di formazione – pubblici e privati.
L’obiettivo del Clust-ER, oltre alla disseminazione delle strategie di specializzazione intelligente (S3*) nel campo della ricerca industriale regionale, punta a migliorare il livello di competitività delle nostre aziende ed anche il livello di occupazione, sempre più qualificato, dei nostri operatori. Il Clust-ER, in estrema sintesi, condivide competenze, idee e risorse per sostenere la competitività del settore dell’edilizia e costruzioni.
Gli obiettivi strategici del Clust-ER si coagulano all’interno dei nostri 4 tavoli di Value Chain: G2B – Green to Build collegato all’energia (involucro-impianto) e alla sostenibilità, SICUCI – collegato alla sicurezza vista a 360° anche per le infrastrutture, RIGENERA – dedicato alla rigenerazione del patrimonio urbano e del paesaggio, ed infine Innova-CHM – indirizzato al patrimonio esistente e al progetto e gestione, anche economica, per gli interventi di restauro, recupero, valorizzazione e social innovation con un forte impegno sulla digitalizzazione, lo studio di nuovi materiali, nonché ricerca e sviluppo di nuovi modelli di integrazioni BIM-sensori, BIM-blockchain e delle piatteforme digitali.
Il Clust-ER è una fucina continua di innovazione.
* La strategia S3 è lo strumento di indirizzo che le Regioni devono adottare per concentrare gli interventi di ricerca industriale e di innovazione verso quegli ambiti a maggior potenziale di innovazione e crescita per il territorio.