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Recupero del sottotetto: bisogna rispettare le distanze tra edifici

In caso di recupero del sottotetto vanno rispettate le distanze tra costruzioni anche se le due abitazioni sono nello stesso stabile, essendo le distanze minime prescritte dall'art. 9 del DM 1444/1968 riferibili a tutte le pareti (di cui almeno una finestrata) che si fronteggiano, anche se riferite a diverse porzioni di un edificio nel complesso unitario.

Il recupero del sottotetto con trasformazione del medesimo in locali a uso abitativo deve rispettare le regole sulle distanze tra costruzioni ex art.9 del DM 1444/1968, anche se si tratta di due abitazioni facenti parte dello stesso stabile.

 

Il sottotetto del contendere

Lo ha chiarito il Tar Lombardia nella sentenza 2087/2024 dell'8 luglio 2024, riferita al ricorso contro il rigetto della domanda di permesso di costruire presentata per un intervento di ristrutturazione edilizia avente ad oggetto il recupero del sottotetto di un'abitazione, inserita all'interno di un unico edificio ricomprendente più autonome unità immobiliari, insistente su un comune mappale e contraddistinto dallo stesso numero civico.

L’intervento in progetto prevede la modifica delle altezze di colmo e di gronda, con un'altezza media ponderale non eccedente la quota di 2,40 metri, ed è finalizzato alla creazione di una nuova stanza abitabile.

 

Distanze tra edifici per il recupero del sottotetto: la querelle

Secondo l'amministrazione, l'intervento edilizio violerebbe l'art.9 del DM 1444/1968 in materia di distanze tra pareti finestrate, che troverebbe applicazione anche nel caso di specie in cui l'edificio, seppur unitario, risulta composto da diverse proprietà immobiliari funzionalmente indipendenti, dotate di accessi autonomi e destinate all’abitazione di singoli nuclei familiari.

I ricorrenti lamentano invece l'inapplicabilità della disciplina delle distanze minime legali di cui all'art.9 del DM 1444/1968 al caso di specie, in cui si discute del recupero del sottotetto di un’unità abitativa inserita in unico edificio, cioè una tipica vecchia cascina lombarda, insistente sul medesimo mappale e sviluppato strutturalmente in senso orizzontale.

 

Recupero del sottotetto: deve rispettare le norme sulle distanze. Ecco perché

Interviene quindi a dirimere la questione il Tar, che da ragione all'amministrazione, partendo dal presupposto che è necessario stabilire se, in considerazione della particolare conformazione dei luoghi (immobili facenti parte di un unico fabbricato) e tenuto conto della natura dell’intervento edilizio in progetto (recupero del sottotetto a fini abitativi), si applichi o meno la normativa sulle distanze tra pareti finestrate, segnatamente l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.

Chiarito tale aspetto, occorrerà valutare se la parete dell’edificio degli odierni ricorrenti oggetto di sopraelevazione sia o meno frontistante alla parete dell’edificio dei controinteressati e se almeno una delle due risulti finestrata.

Infine, in caso di risposta positiva, occorre accertare se la realizzazione dell’intervento costruttivo richiesto dai ricorrenti con il permesso di costruire rigettato dall’amministrazione violi o meno la suddetta disciplina legale.

Sul primo tema, secondo il TAR, non c'è dubbio che la disciplina relativa alle distanze rientri nella 'questione', visto che «laddove vi sia una modifica anche solo dell’altezza dell’edificio (come nel caso di specie) sono ravvisabili gli estremi della nuova costruzione, da considerare tale anche ai fini del computo delle distanze, rispetto agli edifici contigui” e che “la regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell'art. 9 cit. è applicabile anche alle sopraelevazioni”, dovendo essere rispettata anche in caso di recupero dei sottotetti».

 

Il fatto che i due edifici siano nello stesso stabile non conta: i 10 metri vanno rispettati

Interessante anche la parte dove il TAR chiarisce che non conta, per disattendere il rispetto del limite delle distanze tra costruzioni (10 metri), che l'unità immobiliare dei controinteressati e quella dei ricorrenti facciano parte dello stesso stabile ricomprendente più abitazioni autonome, essendo le distanze minime prescritte dall’art. 9 del DM 1444/1968 riferibili a tutte le pareti (di cui almeno una finestrata) che si fronteggiano, anche se riferite a diverse porzioni di un edificio nel complesso unitario.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che non può escludersi la riferibilità della predetta disposizione all’ipotesi di due corpi di fabbrica facenti parte dello stesso immobile, poiché la finalità igienico-sanitaria della disciplina normativa ne impone l’applicazione anche in simili casi.

In realtà, poiché l'art. 9 del DM 1444/1968 è finalizzato a “stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 261.2001 n. 1108), non può dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti”.

Le distanze minime, pertanto, trovano applicazione – siccome funzionali alla tutela di interessi generali connessi ai bisogni collettivi di igiene e di sicurezza e non del diritto individuale di proprietà – anche nel caso in cui i due edifici frontistanti appartengano al medesimo proprietario, ovvero nell’ipotesi in cui le pareti finestrate contrapposte appartengano ai due corpi di un’unica costruzione.

 

Pareti finestrate: le caratteristiche

Altra questione da risolvere: almeno una delle due pareti in questione è finestrata? Tra le stesse sussiste o no un rapporto di frontistanza nei termini richiesti dall'art. 9, n. 2) del DM 1444/1968?

Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, deve intendersi come “finestrata” ogni parete interessata da qualsivoglia tipo di apertura, a prescindere da come quest’ultima sia considerata sotto il profilo civilistico.

La giurisprudenza ha infatti chiarito che, ai sensi dell’art. 9 del dm 1444/1968, per “pareti finestrate” devono intendersi non soltanto le pareti munite di “vedute” ma, più in generale, tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l’esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce) (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 11.09.2019, n.6136).

La medesima parete antistante l’immobile dei ricorrenti, nella sua estensione complessiva, è poi interessata anche dalla presenza di due ulteriori finestre, per cui, a tutti gli effetti, deve essere considerata come “parete finestrata”.

 

Distanze tra costruzioni di diverse altezze con finestre 'sfalsate': quando vale la regola dei 10 metri e quando si può derogare

Cassazione: la regola generale sulle distanze tra costruzioni (i 10 metri dell'art.9 del DM 1444/1968) non esige il rispetto di tale distanza minima in sé e per sé, ma in funzione della salubrità di affaccio sugli spazi intercorrenti tra fabbricati antistanti.


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Pareti fontistanti: ecco quando

In ultimo, si evidenzia come l'art. 9 del DM 1444/1968, a mente del quale è prevista, per i nuovi edifici ricadenti zone diverse dalla A e dalla C, una “distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”, è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata, indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente o che siano perfettamente parallele (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 1.10.2019 n. 24471), purché, proiettando idealmente l’una verso l’altra, almeno per un tratto esse si sovrappongano.

Nel caso di specie, a seguito dell’istruttoria disposta dal Collegio, l’amministrazione comunale ha effettuato un sopralluogo presso l’immobile dei ricorrenti e ha verificato che “i due fronti, dei quali uno finestrato, di proprietà differenti, in caso di avanzamento lineare si incontrerebbero ad una distanza minore di 10,00 metri (vedi allegati) e precisamente ad una distanza media di 4,13 m. (minimo 4,03 m. e massimo 4,23 m.) più lo spessore del muro di 0,27 m. per un totale di 4,40 m”.

Dalla documentazione allegata alla relazione di sopralluogo emerge che, sebbene i due corpi di fabbrica in questione non siano paralleli per la loro intera lunghezza – poiché collocati in modo da risultare parzialmente sfalsati (come dimostra il non perfetto allineamento delle rette di colmo degli edifici) – l’avanzamento ideale di una delle due pareti porterebbe a incontrare l’altra posta di fronte almeno per un segmento: nella specie, peraltro, le due pareti sono separate dal terrazzo dei controinteressati, cui questi accedono tramite porta-finestra, sicché l’avanzamento ideale delle stesse porterebbe alla loro sovrapposizione in corrispondenza della predetta apertura, anche senza considerare le altre finestre pur presenti sulla parete dei controinteressati.

Ciò significa, in definitiva, che la parete dell’immobile dei ricorrenti e quella dell’edificio dei controinteressati sono tra loro antistanti con conseguente applicazione della distanza minima prevista dall’art. 9 del DM 1444/1968.


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