Recesso anticipato dal contratto di appalto e vizi dell'opera: l'impresa deve risarcire i danni e restituire i compensi
In un contratto di appalto privato per la realizzazione di interventi edilizi, l'esercizio del recesso anticipato da parte del committente non impedisce allo stesso di esercitare diritto alla restituzione degli acconti versati e al risarcimento dei danni che sono derivati dall'inadempimento dell'impresa edile.
Supponiamo che un privato receda dal contratto di appalto con un'impresa anticipatamente (per dei qualsiasi lavori edili), perché si accorge di comportamnti non consoni da parte dell'appaltatore, e con l'intento di non far completare all'impresa stessa l'intervento, bloccando quindi 'in pendenza' il cantiere.
In questo caso, quali tutele ci sono per il committente e quali danni dovrà pagare l'impresa appaltatrice?
Diritto di recesso, restituzione acconti e responsabilità del direttore dei lavori: i principi di diritto
Una sorta di compendio delle regole è contenuta nella corposa sentenza 421/2024 dell'8 gennaio scorso della Corte di Cassazione (Civile), che è piuttosto importante perchè, alla fine, istituisce due nuovi principi di diritto in materia:
- "In tema di appalto, qualora il committente eserciti il diritto unilaterale di recesso ex art. 1671 c.c., non è preclusa la sua facoltà di invocare la restituzione degli acconti versati e il risarcimento dei danni subiti per condotte di inadempimento verificatesi in corso d’opera e addebitabili all’appaltatore e, in tale evenienza, la contestazione di difformità e vizi, in ordine alla parte di opera eseguita, non ricade nella disciplina della garanzia per i vizi, che esige necessariamente il totale compimento dell'opera";
- "All’esito dell’accertamento della responsabilità professionale del direttore dei lavori per omessa vigilanza sull’attuazione dei lavori appaltati, questi risponde, in solido, con l’appaltatore dei danni subiti dal committente, ove i rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dall’appaltante".
Possiamo già notare la portata di questa pronuncia, che affronta degli argomenti di notevole interesse e importanza nel mondo dei contratti di appalto privati, cioè:
- il recesso del committente;
- l'inadempimento;
- la garanzia per i vizi dell'opera.
I lavori edilizi del contendere
Il caso è il seguente: un'impresa, dopo il recesso anticipato del committente, aveva ingiunto causa presso ordinario Tribunale per al fine dell'accertamento dell'inadempimento dell'appaltante all'obbligazione indennitaria in favore dell'appaltatore, avendo la stessa impedito all'assuntore di completare l'esecuzione dell'opera appaltata.
L'impresa chiedeva quindi un risarcimento al privato.
I lavori, nello specifico, consistevano in opere di demolizione e rifacimento di strutture portanti e solai, murature interne ed esterne, del tetto, degli intonaci interni ed esterni, dell’impianto idro-termo-sanitario ed elettrico.
L'andamento dei lavori - a dire dell'impresa - aveva subito notevoli rallentamenti a causa delle ripetute richieste della committente, fino a quando, con telegramma del 18 aprile 2006, la stessa aveva ordinato, senza alcuna motivazione, la sospensione dei lavori.
Il cantiere era quindi rimasto 'sospeso', e a fronte dell'ammontare totale dell'appalto, erano state effettuate lavorazioni pagate solo in una piccola parte dalla committente, che aveva manifestato la volontà di recedere dal contratto, invitando peraltro a una sollecita rimozione, da parte dell'impresa, del cantiere.
La committente si era quindi costituita in giudizio, contestando la fondatezza delle pretese avanzate da controparte e chiedendo che fosse accertato l’inadempimento dell’appaltatrice al contratto di appalto, a causa della parziale e cattiva esecuzione delle opere commissionate, in ordine alle quali sussisteva la concorrente responsabilità del progettista e direttore dei lavori, di cui era chiesta la chiamata in causa.
In via riconvenzionale, la convenuta domandava la declaratoria di risoluzione del contratto di appalto per colpa dell’assuntore nonché l’accertamento della concorrente responsabilità del progettista e direttore dei lavori, per tutti i vizi e i nocumenti patiti, con conseguente condanna degli stessi, in solido, alla restituzione della somma versata e al risarcimento di tutti i danni subiti.
In subordine, chiedeva che, in caso di soccombenza verso l’artefice dell’appalto, fosse manlevata dal direttore dei lavori, anche perché le opere realizzate dalla ditta incaricata erano del tutto difformi da quelle commissionate e ricavabili dal progetto e non erano state eseguite a regola d’arte.
La garanzia per i vizi dell'opera: le decisioni del Tribunale ordinario (confermate in appello)
Il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande proposte dall'impresa, accertava l’intervenuto recesso della committente dal contratto di appalto e condannava l’appaltante al versamento, in favore della società appaltatrice, della somma di euro 29.490,00, oltre rivalutazione e interessi, a titolo di lavorazioni eseguite e non saldate, e di euro 4.000,00, a titolo di spese sostenute, rigettando ogni altra domanda.
Ciò in quanto, tra l'altro:
- il contratto di appalto si era sciolto per iniziativa unilaterale della committente, il che in sé non implicava alcuna necessaria indagine sull’importanza e gravità dell’inadempimento, la quale sarebbe stata necessaria solo allorché la committente avesse preteso anche il risarcimento del danno dall’appaltatore per l’inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso;
- la domanda di risoluzione del contratto doveva essere rigettata e così le conseguenti statuizioni restitutorie formulate dalla convenuta in via riconvenzionale;
- quanto alla domanda risarcitoria, occorreva che la committente avesse conservato l’azione verso l’appaltatore, mentre nella fattispecie essa risultava prescritta, conformemente all’eccezione sollevata sul punto dall’assuntore, secondo la disciplina sulla garanzia per i vizi e le difformità dell’opera, sicché l’appaltatore restava liberato da ogni responsabilità;
- il costo delle opere realizzate era pari ad euro 48.890,00, da cui doveva essere detratto l’importo dimostrato – che risultava corrisposto a titolo di acconti – per euro 19.400,00;
- non era, invece, liquidabile la voce del mancato guadagno, in quanto non provata;
- le spese sostenute dovevano essere liquidate, in via equitativa, nella misura di euro 4.000,00.
La committente ricorreva quindi in appello, dove di fato, con qualche modifica sugli importi, venivano confermate le decisioni prese in primo grado.
Si arrivava quindi in Cassazione, dove veniva ribaltato tutto.
Vizi dell'opera e risarcimento dopo il recesso anticipato: il committente non perde il diritto alla risarcimento. L'impresa deve pagare
Secondo gli ermellini, non resistono alle censure sollevate dalla ricorrente i seguenti asserti di cui alla pronuncia impugnata:
- in primis, il fatto che, a fronte del rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento – una volta accertato lo scioglimento del contratto per effetto dell’esercizio del diritto potestativo di recesso unilaterale della committente ex art. 1671 c.c. –, le domande di restituzione e di risarcimento danni non avrebbero potuto trovare una loro autonoma legittimazione, mentre, invece, tali domande (e, in specie, la prima) ben avrebbero potuto essere esaminate nel merito, quale corollario dell’accertato scioglimento del contratto conseguente allo ius poenitendi esercitato, sicché il recesso azionato ben avrebbe potuto supportare le azioni di restituzione e di reintegrazione del patrimonio in tesi leso;
- in secondo luogo, l’affermazione a mente della quale la domanda risarcitoria sarebbe stata sottoposta alla disciplina di cui alla garanzia speciale per le difformità e i vizi dell’opera e ai conseguenti termini decadenziali e prescrizionali previsti dall’art. 1667 c.c., anziché all’ordinario termine prescrizionale ex art. 2946 c.c., posto che, a fronte della mancata ultimazione dell’opera, l’inadempimento contestato è attratto alla regolamentazione ordinaria e non a quella speciale.
La Cassazione prosegue evidenziando che, quanto al rapporto tra recesso e risoluzione per inadempimento, il committente non può invocare la risoluzione giudiziale del contratto dopo l’esercizio del diritto di recesso, che importa lo scioglimento, con effetti ex nunc, dell’appalto.
Ma il diritto potestativo riconosciuto al committente di risolvere unilateralmente l’appalto può essere esercitato in qualunque momento posteriore alla conclusione del contratto (purché prima dell’ultimazione dell’opera) e può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l’appaltatore per fatti di inadempimento.
Quindi, in caso di recesso, il contratto si scioglie per l’iniziativa unilaterale dell’appaltante, senza necessità di indagini sull’importanza e sulla gravità dell’inadempimento, le quali sono rilevanti soltanto quando il committente abbia preteso anche il risarcimento del danno dall’appaltatore per l’inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso.
Le domande risarcitorie non sottostanno alla disciplina della garanzia per i vizi dell'opera
Inoltre, spiegano gli ermellini, benché l’esercizio del recesso impedisca al committente di invocare, in seconda battuta, la risoluzione per inadempimento dell’appalto, la circostanza che l’appaltante si sia avvalso dello 'ius poenitendi' non impedisce di esercitare, in favore dello stesso appaltante, il diritto alla restituzione degli acconti versati e al risarcimento dei danni che sono derivati dall’inadempimento dell’assuntore.
La Corte suprema, del resto, ha già sostenuto in precedenza che l’esercizio del diritto di recesso riservato al committente non priva il recedente del diritto di richiedere il risarcimento per l’inadempimento in cui l’appaltatore sia già incorso al momento del recesso, anche ove esso sia imputabile a difformità o vizi dell’opera.
Quindi, il rigetto definitivo della domanda di risoluzione – come accaduto nel caso di specie, in difetto di alcuna contestazione, in sede di gravame, della sentenza del Tribunale che aveva disatteso detta impugnativa –, all’esito dell’accertamento dell’intervenuto scioglimento dell’appalto in conseguenza dell’esercizio del diritto potestativo di recesso ex art. 1671 c.c., non vietava affatto al committente di far valere le correlate domande restitutorie e risarcitorie, in ragione del contestato inadempimento dell’appaltatore.
In definitiva: le domande restitutorie e risarcitorie – contrariamente all’assunto della pronuncia impugnata – non sottostanno alla disciplina speciale sulla garanzia per i vizi e al conseguente regime decadenziale e prescrizionale ex art. 1667 c.c.
Ciò in quanto la responsabilità speciale per difformità o vizi, come disciplinata dal legislatore, non è invocabile – ed è invocabile piuttosto la generale responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c. – nel caso di mancata ultimazione dei lavori, anche se l’opera, per la parte eseguita, risulti difforme o viziata, o di rifiuto della consegna o di ritardo nella consegna rispetto al termine pattuito.
Del resto, nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine, ma presenti dei difetti.
Il committente può quindi pretendere di ottenere la riparazione dei danni conseguenti a fatti di inadempimento addebitati all’assuntore e accaduti in corso d’opera, prima che fosse fatto valere il recesso, in quanto ciò ricade nella cornice normativa generale di cui all’art. 1453 c.c., sicché non trova applicazione la disciplina speciale sulla garanzia per le difformità e i vizi, anche con riferimento ai termini di decadenza e prescrizione.
La garanzia speciale per le difformità e i vizi dell'opera 'esiste' solo sull'opera conclusa
La Cassazione spinge sull'assunto che l’integrativa garanzia speciale per le difformità e i vizi della “opera” appaltata si collega alla realizzazione e consegna dell’opera commissionata, mentre, a fronte di “difformità” o “vizi” rilevati in corso d’opera, quali mere lacune in procedendo – ossia non ancora definitive e, quindi, astrattamente sanabili nell’ipotetico prosieguo dell’esecuzione –, il committente può avvalersi delle facoltà di cui all’art. 1662, secondo comma, c.c. e, ove si cristallizzi la definitiva interruzione dell’appalto, indipendentemente dall’imputazione al committente o all’assuntore di detta interruzione, può essere invocata la tutela riparatoria secondo il regime ordinario.
Venuto meno, insomma, il rapporto fiduciario tra le parti dell’appalto, per effetto dell’esercizio del diritto potestativo di recesso dell’appaltante, nessuna equiparazione può essere disposta tra completamento dell’opera e definitiva interruzione dei lavori, cui non si applica la disciplina speciale sulla garanzia per i vizi in ordine agli inadempimenti contestati dal committente per fatti verificatisi prima dell’attuazione dello 'ius poenitendi'.
In definitiva, il giudice del rinvio dovrà rivalutare l’ammissibilità e la rilevanza delle domande di ripetizione e di riparazione, indipendentemente dal rigetto della pretesa di risoluzione e fuori dal contesto della garanzia speciale per le difformità e i vizi dell’opera appaltata.
La responsabilità del direttore dei lavori conseguentemente a vizi dell'opera
Anche per quanto concernela responsabilità del direttore dei lavori, la Cassazione da ragione alla committente.
Secondo gli ermellini nella pronuncia impugnata sussiste la mancata applicazione dell’art. 1176 c.c. quanto alla valutazione della sua corresponsabilità professionale ai sensi degli artt. 2230 e ss. c.c.
Precisamente, "i compiti del direttore dei lavori sono essenzialmente attinenti al controllo sull’attuazione dell’appalto, che l’appaltante ritiene di non poter svolgere di persona, sicché il direttore dei lavori ha il dovere, attesa la connotazione prettamente tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al regolamento contrattuale, al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica durante tutto il corso delle opere medesime, e non già solo nel periodo successivo all’ultimazione dei lavori".
Con riferimento alla responsabilità conseguente a difformità o vizi dell’opera appaltata, il direttore dei lavori, per conto del committente, presta un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultati.
Tuttavia, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della 'diligentia quam in concreto'.
Non si sottrae quindi a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente.
Questa responsabilità comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e, dunque, l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati.
Responsabilità solidale tra direttore dei lavori e appaltatore
All’esito del riconoscimento della responsabilità del direttore dei lavori per mancata vigilanza sull’esecuzione delle opere, avrebbe dovuto essere accertata la sua incidenza in termini eziologici sulla causazione del danno finale.
Infatti, in tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore e il direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale.
Ciò - chiude la Cassazione - indipendentemente dalla compensazione del credito dell’appaltatore, a titolo di indennità spettante quale conseguenza del recesso, con il credito vantato dall'appaltante a titolo restitutorio e risarcitorio.
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