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Quelle strane interpretazioni della normativa tecnica

L'autore affronta questioni particolari legate alle intepretazioni della normativa tecnica che hanno creato confusione negli addetti ai lavori, come ad esempio la definizione del metodo di calcolo delle distanze tra costruzioni e la definizione di parete esterna per il Bonus Facciate.

Parodiando il titolo di un ironico film della metà degli anni settanta (“Quelle strane occasioni” - anno 1976) l’Autore richiama alcune interpretazioni della normativa tecnica che hanno dato filo da torcere all’interprete, basate su di una erronea iniziale lettura della norma e che si sarebbero potute evitare dando invece un’interpretazione aderente al testo letterale e alla finalità del Legislatore.

Il quale di recente contribuisce sempre più spesso a rendere confusi concetti tecnici elementari, inducendo dubbi applicativi che sarebbero stati evitabili con più accorte formulazioni e che inducono a rivolgersi ad “interpreti” esterni.

Bisognerebbe ricondurre l’interpretazione tecnica al suo rigore intrinseco riportandola in capo a chi ne ha la competenza.


Lo spunto di queste riflessioni è venuto da una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 6438/2023) che incidentalmente ha richiamato la corretta interpretazione della modalità di misurazione delle distanze tra i fabbricati statuita dal d.m. 1444/68; distanza che si deve misurare perpendicolarmente agli edifici e non radialmente.

Sì perché qualcuno (anche più d’uno) aveva ritenuto che le misurazioni andassero effettuate radialmente anche a fronte di una chiara definizione legislativa che – come vedremo – asseriva il contrario.

E’ lecito allora chiedersi se sia logico e congruo che una siffatta questione interpretativa abbia avuto bisogno di così altolocata interpretazione quando sarebbe bastato che il primo interprete (sia il progettista che il tecnico della P.A. cui è demandata in prima istanza l’applicazione della norma) avesse applicato il principio interpretativo dell’articolo 12 delle pre-leggi (“attribuire … il senso… fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore”: in sintesi l’interpretazione letterale.

Avremmo risparmiato fatica, tempo e denaro (e anche arrabbiature credo).

Se allora andiamo al testo letterale vediamo che il d.m. 1444/68 all’articolo 9 parla di distanza tra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.

Ora, stando appunto all’interpretazione letterale, “antistante” vuol dire “che sta davanti” (e non di lato) per cui appariva abbastanza evidente già ab origine che l’intenzione del Legislatore era quella di considerare la sola prospicienza diretta, rafforzata anche nel tempo dall’interpretazione finalistica tesa ad eliminare le “intercapedini” dannose dal punto di vista sanitario.

Se due edifici non si prospettano con i fronti, non si creano corridoi.

Così anche l’articolo 873 del Codice Civile in materia (ancora una volta) di distanze.

Appariva dunque evidente che l’interpretazione della misura della distanza in modo radiale era un’indebita estensione non voluta dal Legislatore.

Il quale, quando ha voluto che la misurazione fosse radiale, lo ha detto a chiare lettere all’articolo 900 del Codice Civile precisando che la “veduta” è quella che permette “di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”.

Ma qui la finalità della tutela è diversa, si tratta dell’esercizio di veduta (di introspezione appunto) e non di tutela igienico-sanitaria.

Perché allora ci si è infilati in una così contorta lettura?

Difficile dirlo; forse superficialità di lettura, intento punitivo o iper-garantista? Poi, come spesso succede per spirito emulativo, l’interpretazione errata si divulga da sola.

Le definizioni tecniche presuppongono le nozioni di geometria elementare

Precisato però in che direzione si debba verificare la distanza, il Legislatore è intervenuto anche sulla modalità di calcolo, sulla quale, onestamente, non parevano esserci dubbi.

E lo ha fatto con la DTU scaturita dalla Conferenza Stato-Regioni dell’ottobre 2016 tesa a dare uniformità sul suolo nazionale al “linguaggio tecnico”; al punto 30 ha definito che la “distanza” è la “Lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con il confine di riferimento (di proprietà, stradale, tra edifici o costruzioni, tra i fronti, di zona o di ambito urbanistico, ecc.), in modo che ogni punto della sua sagoma rispetti la distanza prescritta”.

Che io ricordi fin dai tempi delle scuole inferiori la distanza tra un punto e una linea (retta o curva che sia (nella geometria piana) o tra un punto e una superficie (nella geometria tridimensionale) è … la lunghezza misurabile sulla perpendicolare mandata dal punto alla linea (o alla superficie).

E come lo ricordo io dovrebbe essere patrimonio culturale minimo di qualsiasi alfabetizzato.

Non vedo per quale motivo si sia ritenuto di disattendere la terminologia tecnica per sostituirla con una (per così dire) “volgare”, introducendo una definizione aliena alla geometria riconducendo la distanza alla misurazione di tutti i segmenti intercorrenti tra tutti i punti della curva (o della superficie). Che è anche più laborioso e faticoso: non c’è bisogno di misurare “tutti” i segmenti che congiungono l’edificio col confine per scoprire qual è il minore. Sappiamo già che è quello sulla perpendicolare: lo ha detto Euclide qualche tempo fa che già aveva trovato la soluzione.

La trovo un modo diseducativo di volgarizzare un concetto tecnico.

La definizione autoreferenziale di parete esterna per i Bonus facciate

A proposito di strane interpretazioni, ancora più emblematica è stata l’interpretazione del concetto di “esterno” applicata alla definizione di “pareti esterne” del decreto Bonus-Facciate la cui interpretazione data dall’Agenzia delle Entrate ha lasciato davvero sbalorditi (v. InGenio - 29.08.2021 – “Bonus Facciate: l’artificiosa definizione di facciata esterna”).

Per il cittadino comune, prima ancora che per un tecnico di media cultura, la parete esterna è quella che perimetra la sagoma dell’edificio, separando l’interno dal mondo intero. E non c’era bisogno di adire a raffinate interpretazioni per stabilirlo.

L’Agenzia delle Entrate invece, nella circolare n. 2/E del 14.02.2020 in cui parla di detrazioni (che sono materia fiscale di Sua competenza), si estende a stabilire - quasi incidentalmente e come fosse scontato e lapalissiano – che la parete esterna è “solo” quella visibile da spazi pubblici (interpretazione di un parametro di tecnica edilizia che non mi pare appartenere alla Sua competenza specifica).

Motivata dall’interpretazione (unilaterale e forse anche un po’ interessata) che, essendo la finalità del Legislatore quella di favorire il “decoro”, andava escluso tutto ciò che non si vede da spazi pubblici.

Ma il Legislatore non lo dice e non si può alterare una definizione tecnica condizionandola ad una finalità occasionale.

Infatti la limitazione empirica data per lapalissiana, lapalissiana non è, anzi cozza col senso comune e appare definizione infondata sul piano tecnico; se per pignoleria volessimo rifarci alle DTU dianzi citate (Definizioni Tecniche Uniformi) vedremmo che, al punto 27, quando parla di “pareti esterne” di un edificio, non porta precisazioni di dove affaccino.

Non mi risulta che qualcuno abbia fatto ricorso avverso tale interpretazione, ma resta la curiosità di sapere cosa avrebbe concluso il Giudice Amministrativo eventualmente richiesto in merito.

Disattendere la coerenza della normativa tecnica non porta bene

Nessuno però se ne è lamentato, nessuno si è opposto e tutti (privati, imprese e professionisti) - preoccupati solo di poter ottenere i benefici fiscali - hanno fatto acquiescenza ad una interpretazione evidentemente irragionevole sul piano tecnico e fors’anche dannosa sul piano operativo.

E dire che proprio quella interpretazione bizzarra di problemi indotti ne ha creati. Anzi una spirale di problemi.

Sì, perché quando si perde il rigore della coerenza poi i dubbi non si risolvono, ma si autogenerano e rimbalzano in rivoli contraddittori come in un gioco di specchi: si ricorderà che l’aver qualificato “esterno” solo ciò che era visibile da spazi pubblici e precisamente dalle strade, fa sorgere immediata una domanda: ma quali strade? Davvero solo quelle pubbliche di proprietà o anche quelle vicinali che pubbliche in senso stretto non sono? Prevale la definizione della proprietà o l’uso? e, ancora, un ulteriore dubbio: se le strade non ci sono? Fino alla richiesta, invero originale, se si debba considerare esterna o no la parete di un edificio direttamente prospiciente sul mare che (in effetti) strada non è.

Un avvitamento su sé stesso di domande e risposte (fantasiose quanto inutili).

Una interpretazione coerente della qualifica di “parete esterna” avrebbe evitato questo discutibile e poco edificante balletto. O, forse ancor meglio, il problema non si doveva neppure porre perché il significato logico era scontato ancor prima di quello tecnico.

Ma oggi è così: quando si insinua un dubbio, anche se palesemente infondato, anziché anteporre la propria preparazione tecnica per la sua coerente interpretazione si preferisce trasferire su altri la responsabilità (?) della risposta.

Si ha bisogno di una GUIDA e si fa un quesito (una FAQ).

Questo è molto deprimente.

Ma anche il Legislatore ci mette del Suo

  • Il bisticcio prospetto/sagoma

Visto che siamo in argomento di bizzarrie si ricorderà che per un lungo periodo abbiamo convissuto con la palese contraddizione della invarianza dei prospetti a seguito delle modifiche della sagoma sostenuta anche da qualche interpretazione autorevole.

Si ricorderà che quando il d.l. n. 69 del 2013 ha riconosciuto che la modifica della sagoma faceva restare nella ristrutturazione “leggera”, ma la faceva rientrare in quella “pesante” se mutavano i prospetti, qualche autorevole interpretazione (per non smentire il Legislatore) aveva sostenuto che si poteva cambiare sagoma senza alterare il prospetto (evidentemente dimenticando che di prospetti ce n’è più d’uno e che inevitabilmente almeno uno di questi muta al mutare della sagoma).

Qui non si tratta solo di incoerenza interpretativa, ma di incoerenza del Legislatore che ha scritto un ossimoro legislativo inducendo in errore l’interprete che ha cercato di dare un senso a ciò che un senso non ha.

Ma se l’ossimoro letterale è innovativo, efficace e fors’anche stimolante, quello tecnico è pernicioso perché prospetta situazioni irreali e irrisolvibili. (v. InGenio 30.03.2020 – “Sagoma e prospetto: una contraddizione insanabile nel dpr 380/01. Analisi delle sentenze e commenti” e 28.08.2020 - “L’incidenza del prospetto nella tipologia degli interventi edilizi”).

  • La deroga alle distanze

Ricorderemo ancor più recentemente il testo letterale del comma 1-ter dell’articolo 2-bis del DPR 380/01 introdotto dal decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, il cui contenuto letterale esprimeva un concetto incomprensibile e incongruo: testualmente l’esatto contrario di quello che il Legislatore voleva dire (come abbiamo già commentato in InGenio 08.03.2021 - “Demo-ricostruzione e distanze nel nuovo articolo 2-bis del DPR 380/01: rose e spine”).

Tanto che due Ministeri (delle Infrastrutture e Trasporti e per la Pubblica Amministrazione) con la Circolare congiunta del 2.12.2020 – facendo finta di nulla e tacitamente – lo hanno re-interpretato (in realtà riformato) riscrivendone il testo in conformità al fine perseguito. Ma questa è una Circolare che, per sua natura e competenza, non potrebbe smentire (o interpretare al contrario) la legge.

Eppure è andata così (tanto che la Regione Emilia-Romagna ci ha messo rimedio – locale - con una sua legge (la n. 14/2020).

Di questo modo approssimativo di fare norma pochi si lamentano, ma così non va bene.

Una riflessione è dovuta

La casistica che abbiamo riportato non vuole essere una mera elencazione di smagliature, ma la segnalazione di un serio problema che sta emergendo visto che non si tratta di casi isolati, ma purtroppo ripetitivi.

Che inficiano l’operatività incrementando le incertezze e proprio per questo, inducono comportamenti fuorvianti che tendono a diventare sistematici. E preoccupanti.

Non è normale che il mondo professionale e imprenditoriale non sia in grado di dare applicazione ad una legge senza l’ausilio di atti interpretativi della norma e di risoluzioni ai quesiti che interpretano l’interpretazione della norma, …….

Davvero la burocrazia alimenta sé stessa.

La causa? un difetto di cultura professionale tecnica direi. Nella stesura delle norme, ma anche nella capacità autonoma di interpretazione.

Difficile dire la causa e l’effetto; un po’ come stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina.

Certo è che l’una incentiva l’altra in un perverso circolo vizioso autoesaltantesi.

Da un lato pare che il Legislatore si senta ormai esonerato dallo scrivere bene (con linguaggio tecnico appropriato) perché poi tanto le cose si aggiusteranno per “successive approssimazioni”.

Dall’altro – per contrappeso - assistiamo ad una moltiplicazione esponenziale degli “interpreti” (istituzionali e/o occasionali) che (limitandoci alle sole norme statali e soprassedendo a quelle regionali) possiamo sommariamente elencare nel Ministero (anzi, nei Ministeri), nelle varie Agenzie o Autorità Specialistiche (a volte di incerto inquadramento costituzionale), o anche negli Enti e/o Istituzioni delegati di volta in volta all’applicazione di determinate normative,

Ciò incentiva un uso abnorme e indiscriminato degli interpelli e delle FAQ che rappresentano una via di fuga, una scorciatoia alla risoluzione di quesiti (spesso semplici e banali o autoprodotti) che esonera dallo studio e dall’approfondimento individuale.

La conseguenza è che, da un lato, si produce una selva invasiva di soluzioni specifiche spesso non generalizzabili e, dall’altro, si deprimono la cultura e la professionalità tecnica individuale creando per di più un effimero affidamento perché, non dimentichiamolo, in ultima analisi l’unico Interprete titolato è il Giudice.

Sarà ora che i tecnici si riapproprino della propria professionalità tecnica che gli conferisca autonomia di giudizio censurando il pressapochismo e rifuggendo dalle pericolose approssimazioni.

Una solida cultura professionale può e deve rivendicare autonomia nell’interpretazione tecnica.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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