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Quando le strutture urbane diventano carburante per gli incendi

Il cambiamento climatico porta a temperature più alte e a siccità, in tutto il mondo divampano sempre più spesso incendi devastanti e scopriamo che le strutture umane diventano carburante per il fuoco. Dovremo ripensare la progettazione delle città?

Gli incendi delle Hawaii hanno fatto un numero di vittime incredibilmente alto, ancora oggi non determinato. La novità è stata che le fiamme hanno distrutto gran parte di una città moderna come Lahaina, e che la stessa città è stata un carburante per la propagazione dell’incendio.

L’incendio nell’isola di MAUI non è stato solo boschivo

Leggendo le cronache di quanto accaduto si trovano i racconti dei residenti di Lahaina, in cui emerge che quando le fiamme hanno attraversato la città ed essi si sono tuffati nell'oceano per trovare sollievo, hanno visto andare a fuoco anche gli scafi delle barche.

E’ la città che è diventata l’anima dell’incendio: con i suoi materiali combustibili, con i carburanti e le batterie dei mezzi pubblici e privati, non più le foreste e la parte vegetale.

E’ successo quello che il climatologo Daniel Swain ha definito memorabilmente come la "tempesta di fuoco urbana."

Quello degli incendi urbani, che ricorda un passato remoto in cui il fuoco era un incubo delle città industriali dell’ottocento, è un fenomeno purtroppo in crescita.

La serie di esempi riguarda tutti i continenti : l'incendio di Tubbs a Santa Rosa, California, nel 2017, l'incendio di Camp a Paradise, California, l'anno successivo e l'incendio di Marshall a Boulder County, Colorado, nel 2021, che dopo aver bruciato molta vegetazione circostante si è spostato verso un centro commerciale con un Costco e un Chuck E. Cheese e ha infine distrutto oltre 1.000 case per gli Stati Uniti. Ma possiamo elencare gli incendi di quest’anno a Palermo per l’Italia, a Corfù a Rodi, a La Palma alle Canarie …

In genere questi eventi hanno due fasi: la prima quando il paesaggio naturale inizia a bruciare, a causa di un fulmine, o un fiammifero caduto o una linea elettrica abbattuta, e la seconda quando quell'incendio, spesso potenziato dalle condizioni climatiche, si trasferisce a edifici e automobili e altre infrastrutture moderne - e continua a bruciare.

L’innovazione dei materiali per le costruzioni ci aveva fatto sentire al riparo dagli incendi

In generale, abbiamo a lungo creduto che l'ambiente costruito offrisse formidabili barriere antincendio, preoccupandoci di ciò che potrebbe essere perso quando gli incendi passavano vicino alle case come una forma di tragico danno collaterale.

Certo, ci siamo occupati del problema, ma da un punto di vista micro, ovvero concentrandoci sull’infiammabilità dei singoli materiali del singolo edificio. Ma quanto sta accadendo ci fa capire che occorre una visione più ampia, che riguardi tutte le componenti della città.

Perchè sempre più spesso, gli incendi che emergono più caldi e intensi dal paesaggio naturale stanno bruciando le strutture umane non come danno collaterale, ma come carburante - saltando da casa a casa, da auto ad auto, da centrale termica a centrale termica … - come i fuochi precedenti avrebbero saltato dalla corona di una albero all’altra,

E come accennavo poc’anzi queste tempeste di fuoco possono sembrare un ritorno al passato - a un'epoca di un secolo o più fa, quando le città e i paesi, in un'epoca di edifici con telaio in legno e lotta antincendio pre-moderna, erano regolarmente sotto la minaccia del fuoco.

Non a caso, quando ci troviamo in città - come Londra - ancora oggi costituite principalmente da costruzioni in legno ci colpisce la grandissima attenzione alla prevenzione antincendio: fornelli elettrici, dispositivi di rilevazione degli incendi, grande informazione, attività di formazione negli hotel (una mattina mi sono ritrovato in mutande in strada in pieno centro a Kensigton per una esercitazione incendio alle 6 del mattino) … 

Il disastro di Maui è già diventato l’incendio più mortale americano in oltre un secolo, superando l'incendio di Camp, che ha incenerito 18.000 case e strutture e ha mietuto 85 vittime, con la maggior parte dei danni nei primi momenti dell'incendio.

Il bilancio ufficiale delle vittime a Maui ha superato i 100 morti, ma quasi l'1% di tutti i residenti è ancora oggi introvabile, e molti locali suggerivano che il bilancio delle vittime potrebbe aumentare significativamente nei giorni a venire.

Peraltro stiamo parlando di un territorio avvezzo al problema: le isole hawaiane sono abituate agli incendi, e per anni scienziati e ufficiali di incendi e persino la compagnia elettrica locale avevano avvertito del rischio in questa particolare zona, incluso il fatto che un incendio boschivo potesse sfruttare un vento eccezionale fornito da un tifone in transito. Una causa legata al clima lanciata dall'isola contro le grandi compagnie petrolifere nel 2020 citava specificamente un ulteriore rischio di incendi boschivi. Ma ancora, quando è scoppiato l'incendio, quasi nessuno sembrava adeguatamente preparato.

Antropizzazione dei territori e resilienza

Questi disastri - incendi, alluvioni, … - devono farci riflettere a tutto tondo, considerando anche quale attività di antropizzazione ha compiuto l’uomo per comprendere quali azioni compiere.

Le Hawaii sono isole di origine vulcanica - con vulcani ancora attivi - in mezzo all’oceano, quindi soggetto a forti eventi eolici. La sua situazione climatica l’ha resa un obiettivo residenziale e turistico di molti americani, e di conseguenza il paesaggio è stato radicalmente trasformato, anche in modi che potrebbero aver contribuito a questo incendio da incubo. La domanda che ci poniamo, e gli incendi di oggi ci danno una drammatica risposta, è se i piani urbanistici hanno tenuto conto del problema degli incendi.

Potremmo ragionare allo stesso modo pensando ad altri territori sensibili americani: quando gli americani contemplano i futuri climatici per il sud della Florida e la California meridionale, possono ricordare a se stessi che ciascuno era un "paradiso" costruito su un deserto inospitale, da un lato, o su una palude, dall'altro.

Solo partendo da una visione ad ampio spettro è possibile pensare a prevenire questi fenomeni che il cambiamento climatico sta rendendo sempre più critici.

New York e la Sfida della Resilienza Climatica: Il Piano OneNYC 2050

New York, la città che non dorme mai, è determinata a non farsi cogliere impreparata di fronte alle sfide del cambiamento climatico.

Il suo ambizioso piano, chiamato "OneNYC 2050" o "One New York: The Plan for a Strong and Just City", rappresenta una strategia integrata per costruire un futuro sostenibile e resiliente.

Lanciato inizialmente nel 2015 sotto la guida dell'amministrazione del sindaco Bill de Blasio, questo piano dettagliato si concentra su molteplici aspetti fondamentali per la città, tra cui la modernizzazione delle infrastrutture, l'ottimizzazione energetica degli edifici, lo sviluppo di un sistema di trasporto più ecologico e l'implementazione di soluzioni green per l'ambiente urbano.

Il cuore del progetto OneNYC 2050 è la visione di una New York più verde, equa e resiliente, pronta ad affrontare non solo le sfide climatiche, ma anche le problematiche sociali come le ineguaglianze. L'obiettivo principale è creare una città che protegga i suoi abitanti dalle emergenze climatiche, promuovendo nel contempo la crescita sostenibile e l'inclusione sociale.

Con un approccio olistico, il piano punta a integrare architettura e paesaggio, unendo funzionalità e estetica, per garantire che la metropoli continui a prosperare nel XXI secolo, rappresentando un modello di resilienza climatica per città in tutto il mondo.

Ripensare la progettazione delle città, avviare riqualificazioni non solo sostenibili ma anche resilienti

Il riscaldamento globale è solo parzialmente responsabile di quanto sta accadendo.

Il problema è che non c’è una visione resiliente ne da un punto di vista dello sviluppo sociale dei territori che della gestione e progettazione degli stessi.

In Bangladesh, i flussi di popolazione puntano direttamente nella pianura alluvionale; in Florida, lo stesso vale. In America, 59 milioni di case si trovano entro un chilometro da un incendio recente e tra il 1990 e il 2015 sono state aggiunte più di 30 milioni di case nelle regioni più a rischio di incendio del paese. Nel nostro territorio quanti sono i Paesi in aree a rischio frana, alluvione, terremoto ?

Stiamo rendendo sempre più esposte aree vulnerabili aumentando di conseguenza il rischio di disastri ambientali e sociali.

In Romagna, le recenti alluvioni hanno colpito maggiormente i centri cittadini perchè in questi anni non si è mai considerato che lo sviluppo urbano negli ultimi secoli ha riguardato aree sotto i livelli dei fiumi, e non si sono considerati i cosiddetti cigni neri dei fenomeni ambientali.

Nel 2021 e 2022, secondo i dati di Redfin analizzati da Bloomberg, il numero di americani che si trasferiscono nei codici postali con il più alto rischio di alluvione, calore o incendio è aumentato in ogni categoria rispetto agli anni 2019 e 2020. Secondo un'analisi separata, il 55% delle case americane costruite in questo decennio è a rischio di incendi boschivi, rispetto al solo 14% delle case costruite tra il 1900 e il 1959.

Ulrich Beck sottolinea come la nostra sia diventata una società del rischio globale ed evidenzia come, in tale contesto, la progressiva insicurabilità ne sia un chiaro elemento di prova.

E infatti le compagnie di assicurazione stanno già cambiando i loro comportamenti, e piuttosto drasticamente. Ne ho già parlato in recenti articoli, che richiamo in calce, le assicurazioni hanno smesso di stipulare polizze in numerose aree a rischio tifoni e alluvioni negli Stati Uniti, e solo l’intervento del nostro stato rende possibile l’attivazione a costi accettabili di polizze sulla nostra architettura.

Arriveremo al momento in cui la sottoscrizione delle polizze su aspetti urbani sarà o troppo costosa o non attuabile anche nel nostro Paese.

E qual’è il vero problema: culturale. Manca la cultura della prevenzione.

Siamo abituati a pensare che il rischio riguardi sempre gli altri, che il problema del terremoto non ci possa mai toccare, che il rischio di un incendio sia un problema solo della Grecia e delle nostre isole, che la sicurezza di un fiume dipenda solo dalla raccolta di rami all’interno degli o argini.

Siamo portati a pensare che sia sufficiente un allarme che suoni in tempo per poterci salvare dal disastro.

E allora chiediamoci, a Lahaina, quando è arrivato l'inferno, gli allarmi non sono nemmeno scattati. Se fossero suonati, sarebbe stato sufficiente? nelle nostre città se un allarme suonasse 10 secondi dopo la scossa sismica sarebbe sufficiente ?

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