Comfort e Salubrità | Risparmio Energetico
Data Pubblicazione:

Qualità dell’aria interna vs Risparmio energetico

Come conciliare alti standard di indoor air quality con bassi consumi energetici grazie ad un approccio prestazionale alla gestione degli impianti di ventilazione.

All'interno l'analisi delle principali strategie per rispondere alle diverse esigenze.


Gli operatori del settore lo sanno bene, il raggiungimento di elevati standard qualitativi dell’aria all’interno degli edifici, mal si presta a conseguire altrettanti soddisfacenti obiettivi in termini di risparmio energetico.

Questo è facilmente intuibile considerando il fatto che l’ottenimento di una buona qualità dell’aria interna (Indoor Air Quality di seguito IAQ) passa necessariamente dal ricambio della stessa ovvero, dall’immissione all’interno del volume riscaldato (o raffrescato) di aria esterna che, deve essere a sua volta riscaldata (o raffrescata) per portarsi alla stessa temperatura dell’aria interna “viziata” espulsa che va a sostituire.

Oggi che auspicabilmente ci stiamo lasciando alle spalle una delle più grandi emergenze sanitarie della storia moderna, dalla quale tanto abbiamo appreso circa l’importanza del ricambio dell’aria indoor, siamo nel contempo entrati in una crisi energetica che rischia ogni giorno che passa, di diventare una delle più gravi di sempre. 

Ci troviamo pertanto più che mai stretti in una morsa fra la neo-consapevolezza di dover ricambiare l’aria ambiente all’interno degli edifici, privati o pubblici che siano e, la non meno importante esigenza di attuare il massimo risparmio energetico (Energy Saving di seguito anche ES) possibile, se non per coscienza ambientalistica almeno perché abbiamo a cuore il nostro portafoglio.

Data la rilevanza di ambedue le esigenze, sono persuaso che la conciliazione dell’antagonismo che fisiologicamente esiste tra IAQ ed ES, costituirà una delle sfide tecnologiche e normative più importanti dei prossimi anni.

 

Qualità dell’aria VS Risparmio energetico

Vivo in prima persona la difficile convivenza tra IAQ ed ES ricoprendo sia il ruolo di Facility Manager nell’ambito della gestione e manutenzione degli impianti HVAC che quello di Energy Manager. Come F.M. devo garantire il corretto funzionamento degli impianti con particolare riferimento a quelli di VCCC (Ventilazione e Climatizzazione a Contaminazione Controllata) a servizio dei blocchi operatori e delle camere bianche dove è facile immaginare la rilevanza del ruolo giocato dalla IAQ. Come E.M. sono responsabile dell’uso razionale dell’energia nonché promotore di iniziative mirate al risparmio energetico.

Soffermandoci sulle sale operatorie, dove troviamo forse la massima espressione tecnologica degli impianti HVAC nonché un ambiente critico se non altro per quanto concerne il rischio di infezione nosocomiale, in Italia è ormai da un quarto di secolo che siamo vincolati a garantire un rinnovo d’aria minimo di 15 vol/h. Tale limite inferiore da garantire in termini di rinnovo d’aria così elevato, è reso ancora più sconveniente se pensiamo che paesi molto più ricchi in termini di risorse energetiche del nostro, si sono dati limiti ben più bassi. Penso alla Germania (DIN1946:2008) con i suoi ca. 10 vol/h, o alla Francia (ANFORNFS90-351:2013) con i suoi 6 vol/h, per non parlare degli immancabili USA (ANSI / ASHRAE / ASHEstd170:2013) con addirittura un limite inferiore di soli 4 vol/h. 

Le sale operatorie sono naturalmente un caso limite e di nicchia ma, anche passando al più banale contesto domestico, è paradossale constatare che abbiamo passato le ultime decadi ad isolare le strutture opache, a sostituire i vecchi serramenti con nuovi pieni di guarnizioni per non far passare uno spiffero d’aria, tutto magari addirittura certificato da fan door test, per poi scoprire che se non apro le finestre in modo regolare più volte al giorno rischio seriamente di ritrovarmi col muschio sulle pareti, se mi va bene solo dietro agli armadi.

Se è vero che risparmio energetico e qualità dell’aria interna non vanno a braccetto, possiamo in qualche modo rinfrancarci per il fatto che la tecnologia ha compiuto tanti passi avanti negli ultimi anni, venendoci in contro per cercare di perseguire nel modo migliore possibile questi due obiettivi intrinsecamente antitetici. 

 

Le principali strategie per rispondere alle diverse esigenze

Le principali strategie su cui concentrarsi per ottenere questo risultato a mio modo di vedere sono in ordine di importanza le seguenti:

1. Il monitoraggio della qualità dell’aria indoor a cui subordinare la ventilazione;

2. L’efficientamento dello scambio termico tra aria di rinnovo ed aria espulsa.

Mentre il punto primo risponde all’esigenza di “attuare il rinnovo dell’aria dell’ambiente confinato solo quando serve”, il secondo consente di “recuperare più energia possibile contenuta nell’aria interna” altrimenti dispersa all’esterno dell’involucro edilizio.

La consapevolezza dell’importanza di attuare un controllo dell’effettiva qualità dell’aria indoor, ritengo abbia risentito molto della pandemia da SARS-COV2, la quale al di là dell’attenzione al virus specifico ha puntato l’accento sul potenziale esprimibile dai sistemi di monitoraggio dell’aria interna. 

Storicamente i parametri principali che si sono sempre usati per limitare il funzionamento in continuo dei sistemi di ventilazione e quindi per risparmiare energia sono stati per esempio “la presenza” in ambito domestico (luce accesa nei bagni ciechi) sostituibile anche dalla U.R. e, la CO2 ottimo biomarcatore di presenza umana da monitorare nei luoghi ad elevato affollamento. Quindi i parametri da controllare sono fortemente influenzati dalla destinazione d’uso degli ambienti e sono pertanto da selezionare in funzione di quest’ultima, attività per attività. In effetti non vi è nulla di nuovo in tutto questo, ma l’applicazione su larga scala del concetto “cambio l’aria solo quando serve”, si scontra con numerosissime prescrizioni legislative in termini di portate minime da rispettare in modo del tutto aprioristico.

Venendo invece al recupero dell’energia contenuta nell’aria espulsa, è da diversi anni che la tecnologia ha iniziato a fare passi da gigante, con particolare fermento da quando si è iniziato ad introdurre la VMC nel residenziale per compensare le problematiche indotte dalle varie “sigillature domestiche” citate nei paragrafi precedenti. Tali tipologie di macchine hanno avuto tanta attenzione da parte delle case costruttrici di impianti HVAC nella ricerca della massimizzazione dell’efficienza nello scambio termico, sia esso a flussi incrociati che a mezzo di fluidi intermedi che prevenga in toto il rischio di miscelazione massica tra aria “viziata” in uscita ed aria “buona” in entrata. Anche su quest’ultimo aspetto il COVID ci ha messo del suo, demonizzando gli scambiatori di calore aria-aria a flussi incrociati a vantaggio di quelli utilizzanti un fluido intermedio.

 

Criterio prescrittivo vs prestazionale

È ormai da diversi anni che il mondo ingegneristico, anche e soprattutto grazie all’evoluzione tecnologica, ha virato verso un approccio più di carattere prestazionale anziché prescrittivo. Sono termini che si sentono con particolare frequenza nel mondo della Prevenzione Incendi ma, vale lo stesso principio per quanto riguarda l’universo dell’IAQ e sicuramente anche di tanti altri.

È da quando ho mosso i primi passi nell’ambito della termotecnica, ormai circa 15 anni fa, che si sente parlare di una prossima pubblicazione della revisione della UNI 10339:1995, regola tecnica di 31 pagine recante titolo “Impianti aeraulici ai fini di benessere. Generalità, classificazione e requisiti. Regole per la richiesta d'offerta, l'offerta, l'ordine e la fornitura”. Norma dalla marcata connotazione prescrittiva come usava in allora e che definiva puntualmente l’affollamento tipo delle principali categorie di edifici e la portata d’aria da immettere o da estrarre in funzione di esso, in allora per lo più ai fini della salubrità dell’ambiente interno.

 

Cosa conterrà la futura UNI 10339

La nuova UNI 10339 che ad oggi non ha ancora visto la luce e la gestazione della quale non è certo stata accelerata dalla pandemia, ha tutt’altro spirito ed è permeata da un più moderno carattere prestazionale. Inoltre sarà di tutt’altra estensione tanto da essere stata nel tempo suddivisa in 4 numeri, per un corpo totale superiore al centinaio di pagine.

Tale impostazione prestazionale si esprime col relazionare la qualità dell’aria indoor (IDA), non solo con l’affollamento come in estrema sintesi fa l’omonima UNI oggi ancora vigente, ma altresì con la qualità dell’aria esterna (ODA), di quella espulsa (EHA) e di quella immessa (SUP), classificando le stesse su più livelli alla stregua di quanto faceva la UNI EN 13779, oggi sostituita dalla UNI EN 16798-3. 

È però da notarsi che le due famiglie di norme succitate, purché entrambe afferenti alla ventilazione, hanno una mission sostanzialmente differente e ben identificata dai relativi titoli.

  • UNI 10339 - Impianti aeraulici per la climatizzazione
  • UNI EN 16798 - Prestazione energetica degli edifici - Ventilazione per gli edifici 

La futura 10339, che ha sempre parlato solo Italiano, avrebbe il precipuo scopo di disciplinare la progettazione degli impianti aeraulici interpretando gli stessi quale strumento per il mantenimento dell’opportuno livello di qualità dell’aria negli ambienti confinati. Il più specifico titolo della serie 16798, norma di derivazione europea e che si articola in ben 18 numeri, mette in luce una connotazione più propriamente votata agli aspetti energetici legati alla ventilazione.

Le norme cd. di buona tecnica o quantomeno i rimandi alle stesse, fanno fortunatamente sempre più spesso capolino all’interno dei testi legislativi che, data la costante evoluzione tecnologica non possono naturalmente fare altro. Sarebbe necessario quel piccolo sforzo in più da parte del legislatore nell’affidarsi completamente ai tecnici, dando la possibilità alle norme di superare eventuali barriere prescrittive provenienti dal passato, quando la tecnologia non dava ancora certe opportunità e gli enti di normazione non erano ancora strutturati come lo sono oggi.

Oggi più che mai occorre inseguire la prestazione lasciandoci alle spalle la prescrizione, quest’ultima fondata su presupposti per lo più superati. 

 

Controllo della IAQ quale mezzo per risparmiare energia

Tornando all’ottimo esempio delle sale operatorie, dove il limite inferiore della portata d’aria esterna di 15 vol/h ha il precipuo scopo diluire la concentrazione dei gas anestetici nell’aria di sala a difesa della salute dell’equipe chirurgica (di fatto trattasi di Dispositivo di Protezione Collettivo), oggi lo stesso potrebbe essere facilmente superato in presenza di un sistema di monitoraggio in continuo della concentrazione di suddetti gas, senza nulla togliere alla sicurezza dell’equipe ma apportando un beneficio enorme in termini di risparmio energetico.

Ormai questa tipologia di sistemi di monitoraggio è sempre più diffusa all’interno delle sale operatorie, anzi mi permetterei di suggerirne l’obbligatorietà se non altro nelle sale ISO5 dato che oltre ai gas anestetici, consentono di controllare in continuo anche il particolato aerodisperso, a tutto vantaggio della qualità della prestazione chirurgica ed all’abbattimento del rischio delle infezioni correlate alle pratiche assistenziali (cd. ICPA).

 

Controllo della IAQ quale mezzo per risparmiare energia

Figure 1 e 2 - Due schermate rispettivamente raffiguranti il monitoraggio in continuo della qualità dell’aria nelle sale operatorie. L’Analisi Polveri dà la possibilità di verificare il rispetto della classe ISO di riferimento della sala operatoria mentre, le concentrazioni di gas eventuali campanelli di allarme per fughe o utilizzo improprio degli stessi.

 

Se alla visibilità dello stato in tempo reale aggiungiamo la possibilità di registrare questi dati minuto per minuto e poterli estrapolare all’occorrenza, va da sé che l’impianto di monitoraggio diventa a tutti gli effetti una “scatola nera” dell’ambiente in cui si realizza il processo chirurgico, influenzato sia dall’impianto VCCC che dalla condotta dell’equipe di sala.

Ora immaginiamo di affiancare al caso estremamente specialistico delle sale operatorie, tutte le attività citate dalla UNI 10339, o da qualsiasi altra legge o linea guida riferita a specifiche destinazioni d’uso, per le quali si prescrivono una certa quantità di ricambi d’aria in modo totalmente aprioristico, indipendentemente dal fatto che l’attività stia esercendo, dall’affollamento, dall’ora, dal giorno o da qualsiasi altro parametro che ne possa influenzare l’effettiva ragion d’essere. Non varrebbe forse la pena iniziare ad intendere questo numero di ricambi minimo quale indicazione per il dimensionamento dell’impianto, piuttosto che di funzionamento in continuo dello stesso?

L’esperienza ci insegna (e anche una vecchia pubblicità) che “la potenza è niente senza il controllo”. Nel nostro caso la potenza è sostituita dalla portata ma in effetti la prescrizione, come anche il sovradimensionamento e la ridondanza, rischia di dare un falso senso di sicurezza sovente anticipatore di disastri anche colossali.

Tranquillo…carica pure…tanto il solaio è sovradimensionato!

Tranquillo…nessun rischio…tanto l’impianto antincendio ha l’alimentazione di tipo superiore!!

Tranquillo…no problema…tanto se salta la corrente c’è il gruppo elettrogeno e se non dovesse partire c’è anche l’UPS!!!

Mi permetto di ritenere più sicuro un sistema “isostatico” tenuto sotto dovuto controllo che uno “iperstatico” lasciato alla deriva perché “tanto ci pensa l’altro” a compensare eventuali carenze del primo. Un buon dimensionamento o più genericamente un buon progetto non ha né più né meno di quello che serve e l’esecuzione che ne risulta costa né più né meno di quello che vale, o almeno così dovrebbe essere!

Sia ben chiaro, virare verso un approccio prestazionale non è detto che sia più economico, sicuramente non è più facile ma è decisamente più evoluto, al passo con i tempi e oggi mi sentieri di dire anche necessario, se non altro quale strada alternativa a quello prescrittivo, per chi sa assumersene la responsabilità progettuale/costruttiva prima e gestionale/manutentiva poi. 

 

Massimizzazione dell’efficienza di recupero dell’energia contenuta nell’aria espulsa

Se da una parte il controllo in tempo reale dell’effettivo stato di qualità dell’aria indoor, esercitato con la misurazione dei parametri scelti quali discriminanti, può far si che il ricambio d’aria avvenga solo quando serve, proprio il “quando serve” è il momento di sfruttare al massimo la tecnologia del recupero di calore, intendendo con calore anche quello “negativo” alias raffrescamento estivo. 

Le recenti normative ERP hanno fatto crescere a dismisura oltre che nelle dimensioni anche nei costi i recuperatori di calore a flussi incrociati, rendendoli meno appetibili di quanto non fossero fino a poco meno di 10 anni fa. Allora, prima degli ultimi inasprimenti normativi e soprattutto della pandemia, quella che sfruttava “l’incrocio dei flussi” era decisamente la tecnologia di recupero energetico aeraulico che massimizzava il rapporto benefici-costi. Ultimamente tale rapporto si è ridotto drasticamente soprattutto a causa dell’emergenza sanitaria, dato che tali recuperatori non garantiscono l’impermeabilità tra il flusso d’aria in ingresso e quello in uscita, uno dei grandi spauracchi enfatizzati dalla pandemia soprattutto negli ambienti sanitari.

Oggi l’unica tecnologia che consente di recuperare calore, garantendo la totale immiscibilità dell’aria in ingresso con quella in uscita, è quello che utilizza un fluido termovettore intermedio tra i due flussi. Finora, se non altro negli impianti a tutta aria con particolare riferimento al settore sanitario, il fluido termovettore utilizzato è storicamente sempre stato l’acqua. Ma l’efficienza di recupero ha altrettanto storicamente lasciato sempre un po’ a desiderare.

...CONTINUA

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