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Quale Digitalizzazione? Per quale Settore? Luoghi Comuni e Rischi

Digitalizzazione del settore delle costruzioni, quali trasformazioni e quali rischi?

Information Management, il quadro sulla obbligatorietà in Europa 

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I mandati obbligatori riguardanti l'Information Management sembrano non mancare in Europa, di là di quello italiano.
Si era, ad esempio, parlato di un obbligo differenziato tra il Dicembre 2018, per gli edifici, e il Luglio 2019, per le infrastrutture, in Spagna.
Il 1 Luglio 2019, secondo l'Istruzione Presidenziale del Signor Putin, all'interno della Federazione Russa avrebbe dovuto entrare in vigore l'obbligatorietà del Building Information Modeling (BIM).
Allo stato attuale, la Duma ha, in effetti, approvato in prima lettura, il disegno di legge, legato al Codice dell'Urbanistica, teso a questo fine.
Il Signor Volkov ha, tuttavia, affermato che il Mandato sarà differito al 2024, in attesa che tutto il quadro legislativo e regolamentare sia reso coerente con i processi digitalizzati.
 
Un atteggiamento non dissimile, di attesa che il mercato adotti capillarmente metodi e strumenti dell'Information Management si, riscontra, ad esempio, in Austria o in Polonia.
Ovviamente, tale attesa non è passiva, ma, come accade in Francia e in Germania, è accompagnata da agenzie di riferimento.
D'altra parte, le norme UNI EN ISO 19650-1 e -2, in attesa della -3, hanno sufficientemente formalizzato a livello internazionale le tematiche in questione, sia pure a livello assai generale: in attesa, per Noi, delle ulteriori specificazioni a livello del CEN e dell'UNI.
 
Se si guarda ai diversi scenari continentali si può tranquillamente, perciò, affermare che il «BIM», da innovazione praticata pionieristicamente da rari attori, quale era, si sia istituzionalizzato, almeno nelle intenzioni.

Building Information Modeling (BIM), quali criticità? 

Allo stesso tempo, però, tutto il pensiero globale che ne aveva motivato la necessità in virtù della rilevanza del settore, alla luce della sua inefficienza, inizia a sottolineare alcune criticità: McKinsey, ad esempio, considera che il contesto giuridico-contrattuale costituisca la leva essenziale per lo sviluppo della digitalizzazione, mentre altri osservatori ne illustrano le implicazioni sociali e organizzative, che riguardano i caratteri strutturali del mercato, ben oltre gli aspetti tecnologici.
Vi è, infatti, da dire che la coesistenza tra una indispensabile alfabetizzazione di base degli operatori, tutt'altro che in soddisfacente stato di avanzamento, specie per la committenza, e la possibilità che il settore divenga, come si vedrà, terreno privilegiato per le Giant Tech Company, appare la maggiore incognita per il medio periodo.

La via che conduce alla effettiva digitalizzazione del settore è, dunque, lunga e impervia, a dispetto degli obblighi legislativi recentemente introdotti in Italia e, in qualche modo, come detto, ad esempio, ventilati in Russia e in Spagna, ove pure un recente Regio Decreto ha istituito una commissione interministeriale.

Ciò accade essenzialmente perché l'adozione delle logiche digitali da parte della maggior parte degli operatori è ispirata da una cultura che resta profondamente analogica e che, di conseguenza, tende a utilizzare gli strumenti digitali senza una adeguata consapevolezza: esattamente alla stessa stregua dei cosiddetti nativi digitali in ambiti ovviamente più generalisti. La vicenda del capitolato informativo computazionale, che è oggi oggetto di ricerca sperimentale da parte del Centre for Construction Law and Management (CCLM), ben lo dimostra.
 
Nonostante che, effettivamente, siano già disponibili applicativi utili a far conseguire ai requisiti informativi del committente una parzialmente piena computazionalità (come AEC3 BIMQ oppure Nemetscheck dRofus), ciò che difetta, più che la machine readability delle richieste, è la capacità di deployment di ciò che si commissiona.
Al contempo, però, come è stato palese dalle conversazioni che il CCLM intrattiene regolarmente con l'analogo e più antico centro del King's College, ma anche all'interno del Trans Alliancing Group (TAG), gli «accordi» collaborativi sono imparentabili con la Social Practice.
 
Accostando, dunque, l'esigenza di computazionalità nelle transazioni e la dimensione sociale della collaborazione si può avvicinarsi al terzo elemento connotante la sfida digitale: l'essenza as a Service del prodotto immobiliare o infrastrutturale.
A questo proposito, si avrebbe, perciò, una confluenza tra la «rappresentazione» numerica degli atti tecnico-organizzativi (di committenza, di progettazione, di realizzazione, di gestione), la formalizzazione giuridica delle relazioni e delle interazioni tra gli attori e la componente, sempre più immateriale, della servitizzazione dei prodotti immobiliari e infrastrutturali.
 
In altri termini, si potrebbe dare la convergenza tra gli operatori «tecnici» tradizionali del settore, i loro consulenti «giuridici», che da sempre li accompagnano nelle transazioni che sono, appunto, interrelazioni (molto spesso conflittuali), e le Giant Tech Company che, attraverso modalità differenti, si stanno sempre più insistentemente interessando al comparto per veicolare quelli che promettono, non senza una certa inquietudine, di divenire contratti esistenziali aventi come oggetto esperienze singolari, fortemente personalizzate.
I modi con cui esse si approcciano sono differenti (dalla offerta di servizi in cloud per costituire ecosistemi digitali agli assistenti vocali, dagli investimenti diretti nel settore alla trasformazione della detenzione di cespiti in disponibilità di consumo di spazi), ma il fine destinale è comune.
 
Estendendo il concetto  sostenuto da David Mosey a proposito degli accordi collaborativi, potrebbe darsi che il percorso evolutivo migliore avvenga innescando il cambiamento utilizzando modi consueti: la tridimensionalità nell'Information Management, il contratto convenzionale (transazionale), l'assistente vocale, avvolgendo, cioè, in una specie di «naturalezza» il cambiamento radicale di paradigma.
Il fatto è che ciò equivale a porre a sistema la capacità di utilizzare la computazionalità per concepire spazi di interazione, agire sui nessi tra i contratti per introdurre condizioni dialogiche tra le «parti» in causa secondo criteri di ragionevolezza, erogare servizi che dipendono molto dalla progettazione di comportamenti.

Digitalizzazione del settore delle costruzioni, quali trasformazioni e quali rischi?

Come si osservava nell'incipit, il tema diventa, allora, interrogarsi, come per i dirigenti russi, sulle condizioni strutturali per cui possa verificarsi la mutazione genetica del settore: azioni supportate da modelli e da strutture di dati, cooperazione tra soggetti identitariamenre antagonisti, cespiti fisici «asserviti» all'erogazione di servizi.
 
Le categorie della Smart City richiamano, ad esempio, questa prospettiva, ma, come tutte le accezioni legate alla Smartness, cercano sempre di mostrare in modo puntuale aspetti eclatanti, epperò superficiali.
È palese che nelle attuali strategie di implementazione della digitalizzazione vi sia una contraddizione di fondo, vale a dire la pretesa di ignorare che essa alimenti i paradossi che tendono a trasformare il mercato.
 
Il rischio è, allora, che coloro che possederanno le chiavi della disruption lascino che gli attori tradizionali continuino a operare secondo gli schemi analogici consentendo loro di esercitare una «sorveglianza» digitale, benché imponendo loro ontologie e semantiche funzionali ai loro interessi.
 
A parere di chi scrive è emblematica, tra gli altri, la discontinuità che intercorre tra il celebre wedge diagramme di Mark Bew e di Mervyn Richards, nelle sue parti iniziali, ormai superato dalla normativa EN ISO, e tutto il campionario di Operate & Integrate, Digital Twin, e quant'altro, che lo stesso Mark Bew aveva avviato con lungimiranza accennando ai Social Outcome e alla Service Provision.
 
Dopo aver finalmente convinto la grande platea degli operatori a livello globale della utilità del «BIM», come spiegare loro quali possano esserne le evoluzioni, non lineari, e i rischi, laddove la narrazione non parla che di benefici conseguibili?
Si tratta di un grande dilemma, poiché è insindacabile che la modalità di interazione con l'operatore normale non possa avvenire che secondo il racconto stereotipato, che promette di efficientare le prassi correnti.
Questo racconto, tuttavia, è funzionale a consegnare il settore a logiche che non gli appartengono e che non domina, a meno che non gli si conferisca una sufficienza maturità e consapevolezza digitale.
 
È preoccupante, per questo motivo, osservare che si riproponga costantemente la nozione di «piattaforma» come un insieme di scaffali e di cassetti in cui dati e informazioni, esaustivi e neutri, siano messi a disposizione di chiunque ne intenda fare uso entro una competizione perfetta e trasparente.
Davvero l'interoperabilità e l'interconnessione favoriranno le aspirazioni idealistiche che si professano, più o meno farisaicamente o acriticamente?
Al contrario, i grandi ecosistemi digitali che si profilano, e sui quali è partita una competizione a scala universale, presentano, comprensibilmente, caratteri e intenti tutt'altro che neutrali, dato che il loro fine non è incentrato solo sul valore delle azioni in se stesse, bensì pure sul valore delle ragioni che le muovono. Che sia Artificial o Business, sempre della Intelligence si ragiona...
Inevitabilmente, questi macro ecosistemi digitali andranno a inglobare i micro sistemi che sono definiti piattaforme per il settore specifico.
 
L'importanza del settore, è stato sovente sottolineato, si sposa male con la sua improduttività, anche se vi è da dubitare della appropriatezza dei metodi di rilevazione.
Detto ciò, in realtà, parlare di arretratezza digitale del comparto è improprio, quasi un luogo comune: semmai, esso sta divenendo il tramite per creare nuovi Business Model e nuovi mercati di Living Service.
Ciò che dovrebbe, invece, inquietare è la sua inconsapevolezza nei confronti delle poste in palio e il rischio che esso corre di venire strumentalizzato.
Vi sono, pertanto, due diversi interrogativi da porsi:
  1. in quanto tempo la digitalizzazione convenzionale potrà giungere a compimento?
  2. quanto tempo occorrerà affinché gli ecosistemi digitali settoriali siano incorporati in ecosistemi maggiori?
A proposito del primo punto, anche nelle realtà più avanzate, l'inerzia della consuetudine promette di esercitare una grande influenza molto a lungo.
Per quanto inserisce al secondo punto, sarà necessario capire quali investimenti le Giant Tech Company vorranno intraprendere all'indirizzo del settore della costruzione e dell'immobiliare e in quale misura la detenzione, a vario titolo, del bene fisico possa essere sostituita dal consumo di servizi supportati dal cespite.
Sono, comunque, entrambe questioni molto sensibili politicamente.
 
In merito alla prima, potrebbe esservi una distorsione ottica dovuta alla visibilità dei campioni digitali, che fanno apparire qualitativamente il fenomeno più esteso di quanto non sia quantitativamente.
D'altronde, per assurdo, una adozione nominale degli obblighi di legge consentirebbe al settore di mettere in atto tattiche resistenziali, probabilmente destinate a collidere con i fabbisogni informativi delle Giant Tech Company.
A meno che, a queste ultime, sia sufficiente una digitalizzazione minimale dello stesso, che comporterebbe, tuttavia, dati malamente strutturati, di scarsa qualità e utilità.
Di fatto, il tentativo in atto è quello di ricorrere ai dispositivi digitali nella maniera più tradizionale possibile, finalizzando lo sforzo a una più produttiva produzione di documenti; così facendo, ci si accorge, però, che i dati hanno ben altro valore e potenzialità.
 
Al contempo, tuttavia, quei dati strutturati «fuoriescono» non solo dai documenti, ma anche, in parte, dai modelli informativi, cosicché possano essere usati massivamente, appunto, nei grandi ecosistemi digitali estensivi.
Il che, di conseguenza, comporta che la scienza dei dati assuma un rilievo considerevole, mettendo fortemente a disagio gli operatori tradizionali del settore che, al massimo possono accettare le professionalità del «BIM».
 
Che si prediliga, come in Italia, un approccio alla digitalizzazione verticistico o, come in Francia, un approccio intermedio, oppure, come altrove, un approccio volontaristico, la sfida diviene ormai quella di introdurre un cambiamento di rotta, per andare «oltre il BIM», vale a dire, richiedere agli operatori, nell'atto di «svoltare digitalmente», una maggiore cultura della computazionalità e della machine readability, poiché il futuro appartiene a queste dimensioni.
 
Ovviamente, dato che quell'orizzonte appare lontano o remoto agli attori stessi, forte sarà la tentazione di confermare loro una impostazione più tradizionale, ma, parimenti, occorrerebbe utilizzare linguaggi loro familiari per condurli consapevolmente in ambienti più vasti.
 
Spiegato in modo piano, è evidente che la priorità sia normalizzare una produzione basilare di dati strutturati attraverso i modelli informativi, scontando una quasi generale impreparazione (se si rivolge lo sguardo alla totalità del mercato e alla realtà di alcune prassi proposte come magistrali) e una limitazione tecnologica ancora importante.
 
Ciononostante, saranno proprio gli anni futuri, da qui al 2025, a segnare la qualità della produzione dei dati, proprio nell'ottica della loro utilizzabilità nel nuovo mercato dell'ambiente costruito, all'insegna dei Living Service, della Service Provision, dei Social Outcome.
Questa è la ragione per cui sia CCLM sia eLux Lab si interrogano sul dialogo che possa instaurarsi tra soggetti convenzionali e attori inediti.