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Può essere sanzionato il lavoratore che si rifiuta di indossare la mascherina?

Che cosa può accadere al dipendente che, nonostante venga fornita dal Datore di Lavoro un’apposita mascherina, si rifiuti di indossarla nel periodo dell’emergenza pandemica?

Lavorare senza mascherina e la sanzione dell'azienda: la sentenza del Tribunale di Venezia

Il caso in esame: i fatti 

Il caso è stato esaminato dal Tribunale di Venezia con sentenza n. 387/2021, pubblicata il 04/06/2021: ripercorriamo insieme i fatti, così come ricostruiti dalla magistratura.

Un lavoratore, assunto da oltre 30 anni come operatore ecologico e dal 2017 eletto nel ruolo di rappresentante sindacale, in data 14 agosto 2020 inviava comunicazione PEC all’azienda in cui argomentava “con tono indubbiamente aggressivo e linguaggio del tutto inappropriato, in merito alla pretesa illegittimità della disposizione aziendale relativa all'utilizzo obbligatorio della mascherina da parte dei dipendenti nei depositi, con specifico riferimento all'utilizzo obbligatorio della stessa all'interno degli spogliatoi … corridoi … bagni” e concludeva intimando di “valutare molto bene il fatto di far sanzionare i lavoratori” per il mancato utilizzo della mascherina “in quanto incostituzionale e illecito”.

Il successivo 24 agosto il lavoratore si presentava privo di mascherina alla riunione periodica sulla sicurezza prevista ex art. 35 D.Lgs. 81/08, la riunione che il Datore di Lavoro nelle aziende con più di 15 dipendenti deve indire, almeno una volta all'anno, per il miglioramento della sicurezza complessiva e della protezione da rischi lavorativi e/o malattie professionali.

Nonostante l’invito del RSPP ad indossare la mascherina chirurgica fornita dall’azienda, si rifiutava. 

Non pago, il 26 agosto affiggeva nella bacheca aziendale la PEC del 14 agosto, il cui contenuto veniva così reso noto a tutti i colleghi.

L’azienda procedeva quindi alla contestazione disciplinare per entrambi i fatti:

  • la partecipazione alla riunione senza mascherina, comportamento che contravviene all’obbligo di legge di cui al Protocollo condiviso tra Governo e Parti sociali del 24 aprile 2020, in cui – tra le altre cose – figura proprio l'obbligo di mettere a disposizione e indossare mascherine se, per svolgere il proprio lavoro, non è possibile rispettare il distanziamento sociale;
  • l’affissione in bacheca della PEC, in quanto diffusione di un messaggio volto ad istigare i colleghi a seguire il predetto illecito comportamento.

Il lavoratore si difendeva contestando unicamente l’istigazione verso i colleghi, essendo pacifici entrambi gli altri fatti (autore della missiva PEC inviata e rifiuto di indossare la mascherina alla riunione periodica).

Seguiva la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per n. 3 giornate.

La sentenza del Tribunale: giusta la sanzione della sospensione

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Venezia dichiarava legittima la sanzione della sospensione di n. 3 giornate irrogata: secondo il Giudice non risulta ammissibile la pretesa del lavoratore di non indossare la mascherina sul posto di lavoro, in quanto il Datore di lavoro ha l’obbligo di porre in essere le misure atte a limitare la diffusione dell’epidemia da Covid-19, tra cui appunto l’impiego della mascherina; inoltre, secondo il Giudice non si tratta di una misura irragionevole, né eccessivamente gravosa.

UNA NOTA

Da ricordare che, in passato, la Corte di Cassazione aveva già affermato la legittimità della sanzione disciplinare più grave, il licenziamento, nei casi di grave violazione delle norme di sicurezza, quali il rifiuto di indossare dispositivi di protezione individuale (DPI), nello specifico gli occhiali protettivi (sent. n. 25392 Cass. Civ.– Sez. Lavoro del 12 novembre 2013) oppure il rifiuto di ritirare i DPI e, nonostante ciò, il tentativo di entrare in cantiere, da cui il lavoratore era stato invece allontanato per la sua stessa incolumità (sent. n. 18615 Cass. Civ.– Sez. Lavoro del 5 agosto 2013). 

Chissà se, in futuro, si arriverà addirittura al licenziamento per il rifiuto di indossare la mascherina? 

Cosa può fare il Datore di Lavoro

Certo, il Datore di Lavoro può rendere più tollerabile l’impiego della mascherina acquistando prodotti di buona fattura e soprattutto cercando modelli che garantiscono sì una buona protezione (penetrazione materiale filtrante), ma al tempo stesso una resistenza respiratoria facciale (facial breathing resistance) non gravosa, che i Professionisti della sicurezza possono testare ai sensi della norma UNI EN 149:2009 con un misuratore di flusso tarato.

Ad esempio, per una mascherina FFP2 non si deve superare la resistenza respiratoria in inspirazione di 0,70 mbar (flusso 30 l/min) e di 2,40 mbar (95 l/min) e, in espirazione, di 3 mbar (150 l/min): il consiglio che mi sento di dare è di puntare su mascherine almeno di fascia media e di farle testare: si trovano facilmente modelli senza valvole che fanno misurare valori rispettivamente di 0,30 e 0,90 mbar in inspirazione e 1,90 mbar in espirazione, che si traducono in maggior traspirabilità e comfort per chi le indossa.

E maggior comfort vuol dire minor affaticamento, quindi maggior attenzione e pertanto una miglior qualità della produzione e, soprattutto, un minor rischio di infortuni.

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