Prove di rilascio tensionale su elementi in calcestruzzo armato precompresso
La rilevante età media dei ponti e viadotti presenti oggi in Italia, progettati con criteri poco attenti alla durabilità dei materiali nel tempo, evidenzia quindi la necessità di valutare lo stato di precompressione residua nelle travi da ponte, come mezzo di valutazione del degrado dell’armatura di precompressione, tramite prove distruttive e/o non distruttive. La presente memoria approfondisce modalità e tecniche per effettuare prove di rilascio tensionale per estrazione su elementi in calcestruzzo precompresso.
L’armatura di precompressione è generalmente soggetta a rilevanti variazioni di tensione nel tempo a causa del naturale rilassamento dell’acciaio e dei fenomeni lenti del calcestruzzo. Inoltre, la possibile rottura per degrado di fili e trefoli può ulteriormente ridurre la forza di precompressione applicata e, di conseguenza, la precompressione sul calcestruzzo.
La rilevante età media dei ponti e viadotti presenti oggi in Italia, progettati con criteri poco attenti alla durabilità dei materiali nel tempo, evidenzia quindi la necessità di valutare lo stato di precompressione residua nelle travi da ponte, come mezzo di valutazione del degrado dell’armatura di precompressione, tramite prove distruttive e/o non distruttive, entrambe citate dalle Linee Guida del MIMS in caso di ispezioni speciali. In particolare, la presente memoria approfondisce modalità e tecniche per effettuare prove di rilascio tensionale per estrazione su elementi in calcestruzzo precompresso, una delle prove semi-distruttive maggiormente diffuse oggigiorno.
Sono considerate varie procedure di estrazione su prismi in calcestruzzo e vengono mostrati i risultati dei primi test, per valutare l’importanza di precisi parametri sull’andamento della deformazione rilasciata nel tempo e proporre una configurazione geometrica e di taglio ottimale per ottenere una misura di deformazione affidabile e ripetibile agevolmente in situ.
A volte lo stato di degrado di ponti e viadotti non è visibile superficialmente, o lo è in maniera molto difficile
Gran parte della rete viaria nazionale è stata progettata tra il dopo guerra e i primi anni ‘70, quindi ha largamente superato i 50 anni di vita di esercizio; questo implica che le infrastrutture, ponti e viadotti in particolare, presentino oggi un generalizzato stato di degrado e dissesto, anche perché furono progettati avendo poca sensibilità al concetto di durabilità dei materiali, non preventivando quindi una idonea manutenzione negli anni. Inoltre, i carichi da traffico odierni sono molto più elevati e frequenti di quelli previsti decenni fa in fase di progetto (Bencivenga et al., 2022), accelerando ulteriormente lo stato di degrado.
In questo contesto, risulta di grande rilevanza andare a valutare l’attuale stato di conservazione di viadotti e ponti stradali e il loro livello di sicurezza sia in fase di esercizio che in condizioni eccezionali come in caso di sisma.
Le Linee Guida rilasciate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e approvate dal MIMS (2021), forniscono ai gestori della rete stradale e autostradale e ai tecnici incaricati un innovativo strumento per la valutazione della sicurezza dei ponti esistenti, relativamente a diverse tipologie di rischi, in modo tale da pianificare consapevolmente le successive fasi di monitoraggio e di intervento per la riduzione della vulnerabilità.
In taluni casi, lo stato di degrado non è visibile oppure è scarsamente visibile superficialmente, perché riguarda l’ammaloramento delle parti interne degli elementi strutturali. È questo il caso dei cavi da precompressione inguainati nelle travi da ponte in CAP. Come ben noto, il sistema di precompressione è naturalmente soggetto a perdite per rilassamento dell’acciaio e a causa dei fenomeni lenti del calcestruzzo, quali viscosità e ritiro.
Tali fenomeni sono generalmente prevedibili e tenuti in considerazione in fase di progettazione del sistema di precompressione. L’efficacia e l’intensità dello stesso è, tuttavia, pesantemente influenzata dai possibili meccanismi di corrosione dei cavi di precompressione, in quanto riducono l’area del materiale e diminuiscono drasticamente il valore della risultante di precompressione agente sul calcestruzzo (AICAP, 2016). La corrosione è causata dalla penetrazione di acqua e/o di agenti aggressivi all’interno delle guaine, fino a raggiungere i trefoli grazie ad una parziale o scadente iniezione delle prime mediante boiacca; principale responsabile di tale meccanismo è l’infiltrazione d’acqua dovuta ad uno scarso o inefficiente sistema di convogliamento dell’acqua piovana.
A tal riguardo, le sopracitate Linee Guida nel paragrafo 3.6 prevedono ispezioni speciali per tutti i ponti a cavi post-tesi aderenti, proprio con lo scopo di indagare i possibili difetti interni. I metodi di indagine al giorno d’oggi sono vari, più o meno distruttivi (Latte Bovio et al., 2022), come per esempio prove endoscopiche o prove di prelievo di materiale di iniezione. Tali tecniche, seppur efficaci, risultano invasive e danno informazioni solo localmente. Tra le tecniche diagnostiche in maggior diffusione e preliminari alle precedenti, c’è quella del rilascio tensionale, che consiste nello stimare l’attuale stato di precompressione agente su specifiche sezioni delle travi da ponte precompresse a partire dal rilascio di deformazione di precompressione agente sul calcestruzzo.
Questa viene misurata attraverso estensimetri (o strain gauge), posizionati nella porzione individuata per l’estrazione. La deformazione ottenuta è ricondotta a tensione, la quale andrà in seguito depurata della parte dovuta ai carichi permanenti e variabili agenti sulla struttura al momento della misura. Esistono oggi diverse tecniche di rilascio tensionale, per informazioni sulle diverse procedure si rimanda a (Kesavan et al., 2005; Lofrano, Paolone & Perno, 2018). Nonostante tale tecnica sia di largo uso nella pratica professionale, nella letteratura scientifica non esiste ancora una robusta validazione di questi metodi di diagnostica, in termini di affidabilità e accuratezza (Lupoi & De Benedetti, 2021).
Il presente articolo approfondisce proprio le modalità e procedure per effettuare prove di rilascio tensionale su elementi in calcestruzzo precompresso facendo uso di estensimetri con lo scopo di valutarne i pregi e i limiti. Sono considerate varie procedure di estrazione su prismi in calcestruzzo e vengono mostrati i risultati dei primi test, per valutare l’importanza di precisi parametri sull’andamento della deformazione rilasciata nel tempo e proporre una configurazione geometrica e di taglio ottimale per ottenere una misura di deformazione affidabile e ripetibile agevolmente in situ.
Materiali e provini
Le prove di rilascio tensionale sono state effettuate su colonne in calcestruzzo armato (CA) sottoposte a compressione centrata costante e assegnata. A tal proposito, sono state realizzate 10 colonne di lunghezza 150 cm, a base quadrata di dimensioni 40×40 cm2, come visibile in Figure 1. È presente una leggera gabbia di armatura, non necessaria dal punto di vista meccanico data la sollecitazione di sola compressione centrata, inserita solamente per questioni di movimentazione. La gabbia è costituita da 4 ɸ10 longitudinali d’angolo e da 4 staffe ɸ8, di cui due alle basi e le altre due poste a 35 cm rispetto le staffe di base. Tale disposizione è funzionale per evitare la presenza di staffe nelle aree in cui verranno effettuati i tagli per il prelievo dei provini strumentati.
Il calcestruzzo utilizzato appartiene alla classe C32/40, classe di consistenza S4 mentre l’acciaio è B450C. Sono state eseguite prove di caratterizzazione meccanica del calcestruzzo per valutare la resistenza cubica a compressione, 𝑅𝑐 , e il modulo di Young, 𝐸. I risultati, riportati in Table 1, mostrano un valore me- dio di 𝐸 = 26,927 MPa e una 𝑅𝑐 = 49.9 MPa.
Setup di prova
La cosiddetta prova di rilascio tensionale misura, in realtà, il rilascio di deformazione (mediante estensimetri), andando ad isolare ed estrarre un volume di calcestruzzo superficiale. In questo modo, tale volume non più compresso può espandersi, rilasciando appunto la deformazione di compressione. Alla tensione si risale successivamente facendo uso del modulo elastico, 𝐸, come ben noto. Procedure simili sono già eseguite da tempo da professionisti del settore (Martinello, 2021) ma lo scopo del presente articolo è di studiarne l’efficacia in maniera più sistematica.
Ogni colonna è stata collocata verticalmente all’interno di una pressa idraulica di capacità 6,000 kN, che applica il carico assiale di compressione desiderato. Figure 2 mostra che per ogni colonna sono state previste 5 zone di estrazione dei provini su due facce opposte della colonna ma ad altezze tra loro sfalsate, avendo cura di distanziarle adeguatamente in modo tale che le alterazioni dello stato deformativo conseguenti a precedenti estrazioni non influenzassero quello di altre zone ancora da testare.
Sono state in particolare individuate tre zone su un lato (lato A) e due sull’altro (lato B).
All’interno di ogni zona da estrarre è stato incollato un estensimetro di lunghezza variabile e la relativa basetta di fissaggio, posti anch’essi in verticale, ovvero parallelamente alla direzione di azione del carico di compressione (Figure 3).
In prossimità dell’estensimetro è stato inoltre incollato un fermacavo per evitare strappi alla saldatura del cavo sulla basetta. A tal proposito, per il collegamento con il sistema di acquisizione si utilizza un cavo a 3 fili: 1 in ingresso e 2 in uscita dall’estensimetro.
Durante le prove di estrazione sono stati collegati ad una centralina di acquisizione sia l’estensimetro direttamente interessato che quello presente sulla
faccia opposta della colonna, ad un’altezza simile al primo. Ciò ha consentito di avere un controllo sulle eventuali eccentricità del carico applicato.
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La presente memoria è tratta da Italian Concrete Conference - Napoli, 12-15 ottobre 2022
Evento organizzato da aicap e CTE
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